R.U.R. è un’opera teatrale scritta e rappresentata poco più di cento anni fa e che ebbe immediatamente un grande successo. Nel giro di pochi mesi questa strana storia è sui palcoscenici di tutto il mondo, e riesce a conquistare rapidamente l’immaginario e popolarlo di nuovi e incredibili esseri: i robot.
R.U.R. è anche la prima opera di Čapek che poi scriverà molti romanzi e racconti senza mai abbandonare la fantascienza. A quell’epoca Praga era diventata la capitale della prima repubblica cecoslovacca e viveva un importante fervore culturale. Soprattutto suo fratello Josef Čapek, pittore e scrittore, contribuì alla stesura del testo e a intentare la parola “robot”. In un precedente racconto intitolato L’ubriacone, che costituisce una sorta di prologo di R.U.R., la creatura meccanica è chiamata “automat”, ma Josef gli proporrà una derivazione del termine ceco robota che stava a rappresentare “persona addetta a lavori faticosi”. L’opera di Josef Čapek è fondamentale nella cultura mondiale per due elementi fondamentali. Il primo è l’invenzione dell’essere artificiale costruito in fabbrica per sostituire i lavoratori umani, e che condurrà ai replicanti di Blade Runner e agli odierni sistemi di automazione industriale.
I robot progettati dallo scienziato e industriale Rossum sono costituiti di materia organica e costruiti su un’isola in mezzo all’oceano, rappresentando il percorso che porterà la biologia e la cibernetica a essere le scienze fondamentali dei decenni successivi. Rapidamente ogni lavoro è eseguito da robot e la razza umana entra in decadenza, smette di aver uno scopo produttivo e di degrada. L’altro riguarda evidentemente la fragilità della società occidentale e dello stato liberale che sembra caratterizzare l’inizio del Novecento di fronte alle istanze sempre più forti delle masse. Čapek coglie la grande novità della rivoluzione bolscevica e ancora non immagina la possibilità che i lavoratori possano anche essere impegnati in una sorta di rivoluzione conservatrice. In ogni caso ha compreso la grande potenzialità della vita collettiva e le contraddizioni dell’egualitarismo, la violenza che implica, contraddizioni che provocano una diffusa paura di un annullamento dell’identità. I robot di R.U.R., infatti, si ribellano, uccidono i loro padroni e si sostituiscono a loro.
La fumettista Kateřina Čupová ha ripreso in mano la storia di R.U.R., che era stata rappresentata in teatro e che aveva avuto una riduzione della BBC, e dal bianco e nero della documentazione storica che ci è pervenuta lavora su una storia dai colori molto accesi e un disegno personalissimo, che riesce a rappresentare sia la grande tragicità del testo sia l’ironia e il grottesco con cui Čapek rappresenta l’estinzione dell’umanità. La copertina è aggressiva. Un cuore palpitante su sfondo nero che, con una targhetta di proprietà in bella vista, sancisce il paradigma della modernità che ha sostituito la schiavitù con il possesso industriale, con il copyright. Lo sviluppo della storia a fumetti segue con rigore il testo teatrale, anzi, sembra quasi ne sia una naturale evoluzione, una forma in qualche modo adatta a riprendere i dialoghi lasciando massima libertà di espressione a questa scenografia cartacea.
Un libro a fumetti bellissimo che ha anche il merito di riportare alla lettura un classico non facile come R.U.R. Notevole anche la postfazione di Alessandro Catalano che riprende alcuni temi di quella classica, redatta da Angelo Maria Ripellino, e che chiudeva l’edizione Einaudi del testo teatrale.