Kafka scrive a Milena

Franz Kafka, Lettere a Milena, a cura di Guido Massino e Claudia Sonino, tr. Isabella Bellingacci, Giuntina, pp. 434, euro 20,00 stampa, euro 12,99 epub

La storia è nota. Nell’autunno del 1919 Franz Kafka riceve da Milena Jesenská una lettera in cui gli si chiede l’autorizzazione a tradurre in ceco alcuni dei suoi racconti. Inizia una corrispondenza che si protrae intensa attraverso tutto il 1920, per concludersi nel dicembre di quell’anno, salvo alcune sporadiche riprese a partire dal 1922 (di essa, l’ultimo documento che ci è pervenuto è una cartolina postale di Kafka del dicembre 1923).

Milena è, come Kafka, di Praga, ma a differenza di lui è ceca e cristiana (anche se sposata a un ebreo, Ernst Polak, con il quale vive un rapporto burrascoso, passionale e fondamentalmente infelice), e vive a Vienna, da dove collabora con articoli e corrispondenze a riviste e giornali praghesi.

Di tredici anni più giovane (era nata nel 1896), Milena appare tuttavia più esperta della vita, più inserita nel mondo, e questo è un motivo dell’attrazione e anche degli imbarazzi che costellano la complessa manovra di avvicinamento di Kafka alla sua nuova corrispondente: dal carteggio emergono i passi di timido corteggiamento, che forse è eccessivo chiamare tentativi di seduzione, data anche la goffa ritrosia di Kafka che lo spinge a continue ritirate, ma che pure sfociano in una relazione, dapprima solo epistolare, poi consumata a Vienna, tra il 30 giugno e il 4 luglio 1920, sul quale si proiettano le ombre della reticenza kafkiana, ma anche l’empito di entusiasmo e di caos delle lettere che precedono e seguono quell’incontro.

Ne seguirà un altro, a Gmünd, a metà agosto: ma provocherà delusione reciproca e un raffreddarsi del loro rapporto. La storia di Kafka e Milena di fatto si chiude qui, anche se ci saranno altri incontri, a Praga, quando Milena andrà a trovare l’amico ammalato: e benché, nell’ottobre del 1921, Kafka scelga di consegnare a lei i suoi diari e il manoscritto di Der Verschollene (America), in lui non si diraderanno mai del tutto i dubbi e le diffidenze rispetto a colei che pure ha segnato un capitolo fondamentale nella sequenza delle sue esperienze umane e amorose, tanto da scrivere, in seguito a una visita successiva di Milena nel gennaio 1922, di aver sentito in quell’occasione “qualcosa di stanco e forzato, come nelle visite agli ammalati”.

Come racconta nella sua introduzione Claudia Sonino, curatrice insieme a Guido Massino di questo volume, le lettere di Kafka, conservate da Milena e salvate avventurosamente dai fortunali della storia – Milena era scomparsa nel 1944 nel Lager di Ravensbrück, dove era stata internata per la sua attività politica di opposizione al nazionalsocialismo – vengono pubblicate nel 1952 a cura di Willy Haas, per l’editore Fischer, in una versione purgata, prima di essere riprese nel 1980 in una nuova edizione e infine presentate nel 2013 nell’edizione critica definitiva, sempre da Fischer e a cura di Hans-Gerd Koch.

Ora, finalmente, il volume di Giuntina le mette a disposizione anche del pubblico italiano l’edizione critica, nell’accurata, efficace traduzione di Isabella Bellingacci condotta sui manoscritti originali conservati presso il “Deutsches Literaturarchiv” di Marbach, insieme a un ricco apparato di corredo: oltre all’introduzione (“In ogni caso lei non sembra avere alcun timore dell’ebraismo…”. L’incontro di Kafka con Milena Jesenská di Claudia Sonino) e alla postfazione (La “Vita Nuova” di Franz Kafka di Guido Massino) dei due curatori, studiosi kafkiani di lungo corso ed entrambi tra i massimi esperti di letteratura ebraico tedesca, queste Lettere a Milena comprendono anche un ricco repertorio iconografico, con riproduzioni di manoscritti originali, alcune lettere di Milena Jesenská (o Polak, come si firma in diverse occasioni con il suo nome da sposata) a Max Brod, otto in tutto, pubblicate da Brod nella sua biografia di Kafka del 1963 (Franz Kafka. Eine Biographie) con alcune omissioni (gli originali, come scrivono i curatori in nota, “conservati verosimilmente nell’archivio di Max Brod sparso tra Zurigo e Gerusalemme, non sono ancora accessibili”), e, infine, due brevi testi della stessa Milena, entrambi di straordinario interesse.

Il primo è un articolo, uscito in ceco sul giornale praghese Národní Listy nel gennaio del 1923, intitolato “Il diavolo del focolare”, e rimanda alla condizione di infelicità di donne e uomini all’interno del ‘matrimonio moderno’ con evidenti e pulsanti richiami alla situazione vissuta da Milena stessa con Kafka e agli argomenti dei loro confronti e delle loro discussioni. Il secondo è il necrologio di Kafka, pubblicato sullo stesso Národní Listy il 6 giugno 1924, in cui in poche frasi Milena scolpisce un ritratto definitivo dell’amico scomparso, con parole che, forse dettate dal coinvolgimento emotivo, pur tuttavia hanno un sapore di sentenza che nel corso del tempo troverà via via conferma nel giudizio del pubblico e della critica, andando a formare il ritratto del Kafka che tutti conosciamo: “Conosceva gli uomini come li può conoscere solo un uomo di grande sensibilità nervosa, che è solo e capisce l’altro quasi profeticamente a un unico lampeggiare degli occhi. Conosceva il mondo in un modo insolito e profondo. Ha scritto i libri più significativi della letteratura tedesca moderna”. Come non essere d’accordo?