Julio Cortázar: una passeggiata da rabdomanti

Julio Cortázar, A passeggio con John Keats, tr. Elisabetta Vaccaro, Barbara Turitto e Elido Fazi, Fazi Editore, pp. 672, euro 20,00 stampa, euro 9,99 epub

In occasione del bicentenario della morte di John Keats, avvenuta a Roma nel febbraio 1821, ritorna in libreria – in una nuova edizione, ma sempre per la casa editrice Fazi e con gli stessi traduttori – A passeggio con John Keats: studio rigoglioso, ai limiti dell’esplosione fluviale, dedicato al poeta romantico inglese dallo scrittore argentino Julio Cortázar.

Si potrebbe parlare, a questo proposito, di un secondo anniversario, perché Cortázar iniziò a comporre quest’opera, ossia cominciò a prendere gli appunti che poi costituiranno la principale struttura formale di Imagen de John Keats, esattamente settant’anni fa, nel 1951 – mostrando, quindi, un interesse per Keats che precede e in qualche modo offre il viatico alla pubblicazione delle successive opere dello stesso Cortázar.

Del resto, se il titolo dell’opera originale, pubblicata postuma nel 1996, è questa, si può facilmente intuire come la composizione del ritratto di Keats sia, allo stesso tempo, la creazione di un autoritratto, da parte di Cortázar. Tuttavia si tratta di un processo che travalica i confini di un semplice rispecchiamento e del facile psicologismo che ne potrebbe derivare. Non si basa nemmeno, in modo esclusivo, sulla traduzione: benché l’opera originale sia costellata delle molte traduzioni di Keats operate da Cortázar, si è deciso di non privilegiare la dimensione, quasi filologica, del quaderno di traduzioni, sostituendo, invece, alle versioni in spagnolo le pregevoli traduzioni keatsiane di Elido Fazi e di aggiungere, poi, una ricca appendice con i testi originali, in inglese.

Il volume non ne trae grande danno, appunto, poiché l’obiettivo principale dell’opera sembra essere un altro, che si rende maggiormente manifesto là dove, ad esempio, le frequentazioni letterarie e culturali del poeta inglese (Robert Burns, William Wordsworth, Percy Bysshe Shelley, etc.) si sovrappongono senza soluzione di continuità a quelle dello scrittore argentino (Luis Cernuda, Juan Ramón Jiménez, Daniel Devoto, Ricardo Molinari, etc.), componendo, così, uno scenario che abbraccia due secoli di produzione letteraria internazionale. Un’altra importante sovrapposizione arriva con il viaggio di entrambi in Italia, indispensabile per quelli che sono tra gli accostamenti forse più densi ed evocativi operati da Cortázar, tra la poesia di Keats e la storia dell’arte italiana. In tutto il volume in modo decisivo si percepisce la presenza di un approccio critico assai strutturato che, senza indulgere in alcun impressionismo o soggettivismo, ci offre una biografia obliqua, e comunque pedissequa, di John Keats che costituisce anche un’autobiografia, altrettanto obliqua e pedissequa, di Julio Cortázar.

Nella traduzione italiana, si preferisce rendere questo rapporto tra ritratto e autoritratto, biografia e autobiografia, nei termini di una “passeggiata” di Cortázar “con John Keats”, con una scelta assai azzeccata, poiché la passeggiata, ai limiti del pedinamento (e dell’auto-pedinamento), è una delle primissime immagini offerte da Cortázar nel volume – “Prendo sottobraccio John Keats…” – nella sezione significativamente intitolata Metodologia. Per un Cortázar ancora fresco di studi universitari, eppure già alla ricerca di nuove soluzioni culturali e letterarie innovative, la passeggiata con Keats risulta, infatti, un “atteggiamento più naturale per conoscerlo rispetto all’altro, così frequente, in base al quale issano il poveretto su una nuvola, mentre il critico riunisce sedie e tavoli per edificare una piattaforma di cui non c’era il benché minimo bisogno”.

Se il contributo della critica al processo di canonizzazione letteraria può portare a simili aporie, Cortázar – che, in ogni caso, analizza Keats con l’armamentario critico effettivamente disponibile nei primi anni Cinquanta, e che poco dopo prende a riferimento il lavoro di Andrés Maurois su Percy Bysshe Shelley… del 1923! – riconosce che l’alternativa rispetto a queste aporie, nel prendere a braccetto Keats, non può essere un approccio fintamente orizzontale, tutto schiacciato sulla dimensione psicologica e quindi, nel migliore dei casi, con un esito impressionista. Il suo obiettivo è, invece, quello di ripercorrere, con il lettore, un processo in cui la presenza di Keats “è più letteraria […] che personale, finché il contatto con questa letteratura restituisce l’uomo nella sua totalità, in quanto la totalità di un poeta è sottomettersi alla sua poesia, ridurlo tutto a essa, esserla”. Questa è l’immagine di Keats ritrovata da Cortázar nel corso della loro passeggiata, secondo una metodologia critica che conosce i propri limiti, e infatti, a chiusura del paragrafo, Cortázar scrive: “(Dio mio, salvami dalla metafisica)”.

Naturalmente, nelle sue pagine Cortázar è tutto fuorché metafisico, anche se talvolta indulge nella fuga dalla storia, come ad esempio quando scrive: “Non eri un ente storico, e in questo almeno ci somigliamo” (dove la presenza di quell’“almeno” restituisce il processo di doppia creazione del ritratto e autoritratto: simili e contigui, e tuttavia radicalmente diversi, in ultima istanza). Allo stesso tempo, Cortázar è perfettamente consapevole del fatto che nella poesia di Keats vi è un interminabile elenco di oltranze, di altrove, di “al di là di”, ma anche che “l’impulso irrazionale, alla scelta di questi temi, era lo stesso che di generazione in generazione, mantiene vivi certi simboli, certi racconti ‘per l’infanzia’; e che un tale impulso è predominante nella regione in cui la poesia è suggestione, incantesimo, sortilegio: il luogo dove il mago vinto cede la sua bacchetta al poeta che continuerà, su un piano diverso, il suo compito di dominio.”

Come non accostare questo paragrafo agli appunti critici inediti di Giorgio Manganelli, recentemente studiati e analizzati con accuratezza da Federico Francucci, a un Manganelli che, soltanto qualche anno prima di Cortázar, scriveva: “Keats morrà giovane – ma la sua verginità poetica è un incubo – è arrivata fino a noi – e s’è macchiata due volte nel maligno – in Poe e in Baudelaire che vengono diretti dal ceppo keatsiano. E, si sa, il più vergine, il veramente tale, fu Baudelaire”?

Al di là dell’esito irrazionale e metafisico, e grazie a Poe e Baudelaire, si può dunque rintracciare, in John Keats, un’intera genealogia della modernità, una genealogia che, in modo diverso ma con finalità congruenti, torna a disposizione di due autori, critici e forse, più che altro, rabdomanti della cultura internazionale del secondo Novecento. Cortázar, del resto, sarebbe forse stato d’accordo anche con un altro appunto di Manganelli, per il quale Keats “è eroico, dove gli altri sono al più facinorosi”.

È sulle tracce di questo eroismo che si muove tutta la passeggiata di Cortázar con John Keats, rifuggendo tonalità celebrative o false identificazioni apologetiche e auto-apologetiche e ricercando invece il modo per riportare in vita, opportunamente trasformata, quella forma di eroismo che continua a essere richiesta (e, in seguito, adeguatamente disattesa) da un serio e appassionato confronto critico con la letteratura e con la scrittura.