È il resoconto non tanto di una relazione in procinto di naufragare, l’esordio di Julia Armfield, quanto del processo di annegamento dentro di sé, là dove ristagnano le tracce dei traumi. Fin dalla pubblicazione originale nel 2022, Le nostre mogli negli abissi ha raggiunto rapidamente il successo sui social grazie all’intreccio inquietante e ipnotico e alla prosa abile nell’incrociare i cinque sensi e atmosfere da incubo, portando chi legge nelle profondità dell’oceano e dell’anima umana.
Il mare e le sue creature sono l’ossessione di Leah, una biologa marina rimasta intrappolata per mesi negli abissi con la sua squadra durante una missione. Sua moglie Miri stenta a riconoscere la donna tornata a casa: dell’entusiasmo e della personalità di Leah ci sono solo detriti, mentre il suo corpo comincia a decomporsi. Miri assiste al disfacimento del loro matrimonio e a quello della stessa partner, affetta da epistassi, problemi alla pelle e inspiegabili fuoriuscite di acqua e sempre più propensa a trascorrere le giornate nella vasca da bagno. La narrazione contiene i punti di vista di entrambe: da un lato, l’esperienza di Miri da sposa sulla terraferma in attesa di notizie, i suoi ricordi del prima e la sua quotidianità nel dopo; dall’altro, le memorie di Leah, che rievocano la prigionia.
Muovendosi tra frammenti di presente e passato, la scrittura di Armfield restituisce il malessere interiore delle protagoniste attraverso l’amnesia e il deterioramento fisico, la violenza dei sogni e la confusione delle percezioni. Miri, ipocondriaca e incapace di comunicare agli altri le sue emozioni, si isola, accetta a fatica di non poter riportare indietro l’orologio e la felicità smarrita; Leah, invece, sembra ancora rinchiusa in quelle settimane di impasse, in cui ha visto i colleghi perdere gradualmente il contatto con la realtà, senza sapere se sarebbero sopravvissuti. Nessun momento dell’oggi viene proposto dalla sua prospettiva, come se fosse restata davvero nel cuore dell’oscurità. “Di tanto in tanto scorgo nei suoi occhi una sorta di inquietudine: lo sguardo di chi ha contemplato abissi troppo profondi e non riesce a dimenticare quello che ha visto”, nota Miri.
Le due, quindi, abitano un abisso differente, eppure simile: non parlano l’una con l’altra né si confidano con gli amici, non recuperano una routine di azioni e gesti condivisi. Il silenzio complice diventa una frattura incolmabile che le allontana dal mondo, anche se delle voci – in forme e modalità diverse – tentano di sottrarle all’apnea e di costringerle a fare i conti con ciò che non riescono, o non vogliono, vedere. In parallelo, di pagina in pagina si insinua il dubbio che Leah non sia stata la vittima di un incidente, bensì la cavia inconsapevole di un esperimento.
Una storia d’amore dalle sfumature gotiche, horror e thriller, in cui vengono anche indagati i limiti del bisogno umano di ottenere risposte, di saziare la sete di conoscenza. Perché Miri rifiuta l’idea di dover rinunciare alla sua compagna di vita senza comprendere appieno cosa le accade, fino al suggestivo e commovente finale; dal canto suo, anche negli attimi più spaventosi Leah abbraccia appieno il mistero dell’oceano, la sua eterna irrequietezza, ma soprattutto una certezza: ciò che appartiene all’abisso fa pulsare la sua essenza fino alla superficie, ma non abbandonerà mai il buio. “Ho sempre avuto l’impressione che conoscere l’oceano significhi accettare i misteri che nasconde”.