Uscito nel 1935, arriva in edizione italiana solo oggi, per i tipi di Safarà e tradotto da Bruno Arpaia, il singolare romanzo Ieri del cileno Juan Emar. Per capire la particolarità di questo scrittore è forse utile spendere due parole sul suo pseudonimo. All’anagrafe Álvaro Yáñez Bianchi – “Pilo” per gli amici – prenderà il nome di Juan Emar per l’assonanza con la frase francese “J’en ai marre”, traducibile in “Sono stufo”. Nell’interessante prefazione di Alwjando Zambra leggiamo che Emar non voleva essere uno scrittore e vivere come tale, ma dedicarsi al puro ozio, alla ricerca, a captare il mistero e l’incertezza. E in effetti più che con uno scrittore, spesso sembra aver a che fare con un filosofo: le sue pagine contengono più idee che trama, più suggestioni che fatti, più elucubrazioni che azioni.
Tutto il racconto si svolge in una sola giornata nella città di San Agustín de Tango – ai più attenti forse non sfuggirà il lieve richiamo alla capitale Santiago (del Cile) –, un luogo inventato come la Macondo di Marquez e, in quanto tale, ambiente ideale per accogliere vicende assurde e ragionamenti profondi sul tempo, lo spazio, le persone. In quest’unica giornata vengono raccontati diversi episodi particolari, tendenti al surreale. Un uomo viene ghigliottinato nella pubblica piazza accusato d’aver diffuso il segreto dell’amore: parrebbe che solo facendo collaborare cervello e corpo si possano raggiungere godimenti insospettati, di un’intensità sorprendente e così duraturi da poter tranquillamente sostituire la quantità dei rapporti sessuali con la qualità. Nello zoo cittadino ascoltiamo un superbo cantico al sole che si leva da un gruppo di scimmie cinocefale a cui il narratore e sua moglie non riescono a sottrarsi, rapiti da un’estasi di armonia mai ascoltata.
Nello stesso zoo incontriamo uno struzzo che inghiotte una leonessa defecandola poi, nella sua interezza, come si trattasse di un astro reale che sorge in una splendida alba. Successivamente la coppia si reca in visita a un amico pittore e lì assistiamo a una totale immersione nel colore verde e nelle sue infinite sfumature, per poi trascorrere qualche ora in una sala d’aspetto in contemplazione della pancia di un uomo che genera, nel protagonista, in maniera alquanto sorprendente, ragionamenti riguardo all’osservare e al vedere, al conoscere e al sapere, e considerazioni su quel tipo di umanità che esiste solo per attraversare le vetrine dei negozi. «Dio creò prima di tutto i caffè, i negozi e i cinema. Poi i caffè, negozi e cinema crearono gli uomini. Li crearono quando ormai l’impulso iniziale di Dio aveva iniziato a smorzarsi e dovettero cercare sostentamento con i propri mezzi. Dio, vedendo questo, si sentì felice. Poi gli venne un’idea degna di Satana: “Se togliessimo l’alimentato e lasciassimo soltanto l’alimento?”». Il nostro protagonista, infine, durante una visita ai genitori, si confronterà lungamente con le sue più intime paure – la morte e l’ignoto – per terminare poi in un ristorante dove, mentre libera la vescica nel gabinetto, avrà una rivelazione sul tempo che lo folgorerà.
Fa sorridere il fatto che ognuno di questi episodi termini con una sorta di fuga del protagonista e dell’inseparabile moglie, i quali non riescono a non allontanarsi dalla realtà che stanno vivendo, annoiati dal presente e inevitabilmente attratti dal futuro, verso una nuova inaspettata avventura. È anche interessante vedere come l’autore, tra le pieghe di tutte le situazioni strampalate citate prima, riesca a muovere critiche alla società, all’ingerenza della Chiesa, al modello della famiglia borghese e condivida con noi lettori molteplici ragionamenti interessanti e utili a indagare anche il mondo attuale.
In questi episodi, che sembrano non avere alcuna connessione tra loro, pare di leggere anche una sorta di avvertimento su come sia complesso l’animo umano e come sia comunque necessario indagarlo, sulla necessità di cercare di scorrere in modo diverso la realtà che ci circonda e su come l’equilibrio, nella vita, difficilmente si possa trovare da soli perché occorre sempre qualcuno con cui confrontarsi, su come anche le cose in apparenza più banali possano assumere una dimensione differente e su come sia fondamentale perdersi nell’immaginazione e liberare la mente che, nel navigare senza timone e senza una rotta ben precisa, potrebbe trovare un’illuminazione tale da cambiarci l’esistenza.