Il filo rosso che lega i quattro racconti presenti nell’antologia, originariamente pubblicati nel 2012 e tradotti in Italia quest’anno, è la colonizzazione del reale da parte del virtuale, quando ancora – come afferma l’autore in un’intervista fatta recentemente – era ancora possibile distinguere tra vita reale e virtuale. Col passare del tempo, credo che ne siamo consapevoli tutti: l’impatto di internet e dei social è così evidente e invadente che questa differenza non esiste più. La tecnologia è entrata prepotentemente nel quotidiano e non ha cambiato solo il nostro modo di comunicare ma ha inciso profondamente sulle nostre abitudini: oltre ai tempi di comunicazione istantanei, a prescindere dalla distanza, sono le informazioni in tempo reale, anche se spesso non verificate, l’essere sempre rintracciabili, la possibilità di contattare persone che non si conoscono, il mettere un like a un post senza argomentare, la distanza fisica che spesso non viene mai accorciata e la mancanza di tempo per metabolizzare un rifiuto o un’affermazione con cui non siamo d’accordo a fare la differenza. E questi sono solo alcuni esempi. Pretendiamo tutto e subito, senza mai approfondire rapporti e situazioni, preferendo la quantità alla qualità.
Joshua Cohen ci racconta realtà paradossali, intuendo già dieci anni fa l’influenza sempre più monopolizzante di internet sulle nostre esistenze, al confine del surreale, infarcendo la narrazione di ironia e sarcasmo ma con la capacità di far sentire il lettore dentro la storia. Ci sono modi per ridicolizzare e distruggere gli altri come in Emissione, il primo racconto, in cui uno spacciatore di eroina viene distrutto da un video virale, oppure un copywriter che perde la creatività a causa di una parola che non riesce a pronunciare e a scrivere, perdendosi in occupazioni senza scopo e concludendo che “basta scrivere: non c’è niente di più intelligente”. Poi troviamo uno pseudo scrittore, Maury Greener, invitato a fare lezioni di scrittura mentre usa i suoi studenti per vendicarsi di New York, la città che secondo lui lo ha bocciato. Per concludere con Inviato, in un mondo che forse esiste solo in rete dove un aspirate giornalista vaga per rintracciare una ragazza vista in un video porno.
I protagonisti sono spesso incapaci di adeguarsi alla vita quotidiana e la fuga verso un altrove è uno dei modi per non sentirsi estranei, per evitare di non sentirsi in grado di coltivare rapporti interpersonali e affrontare situazioni troppo complicate. Lo stile dell’autore americano è particolare e originale, frasi che sembrano sconnesse e inconcludenti ma solo in apparenza, un po’ come i protagonisti delle sue storie, persone problematiche e incomplete che non riescono a trovare mai una soluzione definitiva alla loro vaghezza e insicurezza. E non potremo evitare, noi lettori, di sentirci solidali con personaggi in cui spesso possiamo riconoscerci, nonostante la loro (quindi anche la nostra) confusione. C’è la vie, e non possiamo fare altrimenti a questo punto, sembra volerci dire Cohen.