Jósef Czapski / La caparbietà dell’umanesimo

Jósef Czapski, La terra inumana, tr. Andrea Ceccherelli e Tullia Villanova, Adelphi, pp. 459, euro 28,00 stampa, euro 13,99 epub

Viaggiando attraverso la Russia alla ricerca di un’armata scomparsa, quindicimila uomini che improvvisamente potrebbero essere utili all’Unione Sovietica invasa dalle truppe di Hitler, Jósef Czapski incontra implacabili generali e reticenti funzionari usi all’arte del depistaggio, percorre interminabili distese di una terra che non esita a definire inumana. Un luogo nel quale gli uomini appaiono a guisa di spettri, come accade per il tenente Sołczyński, la cui testa sembra quella di un morto che, per imperscrutabili ragioni, è ancora in vita; pare restargli solo il tempo di narrare una storia atroce e dolorosa, ambientata in paesaggi danteschi nei quali strani tronchi d’albero si rivelano essere arti umani di cadaveri nudi e congelati che emergono dalla neve, spogliati delle loro misere cose dagli altri prigionieri.

Sono queste le coordinate della Terra inumana, terribile testimonianza lasciataci dallo scrittore, pittore e intellettuale polacco. Un luogo gelido dove la fame regna sovrana, dove si assiste all’annientamento totale degli esseri umani. Per comprenderne la portata è necessario chiarire il contesto storico. Infranto il patto di non aggressione fra Molotov e Ribbentrop a causa dell’invasione dell’URSS da parte dei nazisti, Stalin sigla con il generale Sikorski, Primo ministro del governo in esilio, un accordo per la costituzione di un’armata polacca composta da soldati catturati e deportati in precedenza dagli stessi sovietici. L’improvviso rovesciamento dei ruoli non infrange il muro di diffidenza. Coloro i quali, fino a un anno prima, venivano definiti furfanti e sanguinari fascisti, divengono improvvisamente fedeli alleati. Con l’arguzia che lo contraddistingue, Czapski percepisce il mutamento intervenuto nel Paese: nella Russia prerivoluzionaria le persone si interrogavano su tutto, esercitando il libero pensiero. Con l’avvento di Stalin ogni vivacità intellettuale è estinta. La propaganda è ovunque. Allora il semplice gesto di un ragazzino, l’agitare il pugno di fronte al ritratto del dittatore, assume un significato enorme, e fra l’altro è l’ultimo ricordo che lo scrittore porta con sé prima di abbandonare l’Unione Sovietica.

La memoria è un baluardo contro l’oblio. Ciò che si credeva perduto per sempre può essere ritrovato. Czapski, da fine intellettuale quale è, porta con sé la lezione di Proust (ricordiamo come la Recherche fosse messa all’indice in Unione Sovietica quale emblema di decadenza borghese). La letteratura diviene bagaglio indispensabile nel percorrere la “terra inumana”, viatico verso una possibile salvezza. A tale proposito è d’obbligo citare la raccolta di conversazioni riunita nel volume Proust a Grjazovec, anch’esso edito da Adelphi, modello di resistenza contro ogni tentativo di annientamento intellettuale. La visione di un telo in terra straniera richiama alla mente il canapè sul quale il giovane Czapski ascoltava la voce del padre leggere innumerevoli libri, ritrova il suo aspetto, l’emozione provata nei passaggi più toccanti. Dopo tanti anni, nel caldo torrido della Persia, lo scrittore recupera intatto l’incanto di quelle letture serali; un vero antidoto contro le pressioni alle quali viene sottoposta l’anima. Instancabile, Czapski annota, prende quegli appunti che costituiranno il libro. Perché il suo interesse è tutto per l’uomo, per le storie che gli vengono narrate e che egli conserva per fissarle sulla carta, affinché non vadano disperse. “Ma io che ci posso fare se non sono mai stato capace di vedere le cose se non attraverso le persone?” afferma.

Il viaggio infero attraverso l’orrore diviene allora tollerabile proprio in virtù dei singoli episodi nei quali emerge prepotente l’umanità che rende possibile il riscatto. Uomini perdono l’unico treno che potrebbe portarli verso la salvezza perché, in un estremo gesto di altruismo, abbandonano il vagone per mettersi alla ricerca del cibo necessario a salvare i compagni più deboli, mentre infermiere instancabili lottano con poveri mezzi contro le ferite e le pestilenze. Czapski, inoltre, rivendica il diritto alla spiritualità. In Unione Sovietica chi prega è esposto al dileggio e al disprezzo. Attraversando le remote lande dell’Oriente, lo scrittore è colpito dal fervore religioso. Libro attualissimo e lucido sui meccanismi della storia. La Polonia, illusa dalle promesse, dopo la guerra diviene una semplice pedina di scambio nella partita con i sovietici. In conclusione restano i destini individuali, imperscrutabili nelle loro traiettorie. La ricerca dell’armata scomparsa si conclude con l’evidenza del massacro. Molte migliaia di ufficiali polacchi, insieme a giornalisti, professori e altri esponenti dell’intellighenzia, vennero trucidati dai sovietici fra l’aprile e il maggio del 1940. “Perché proprio io sono uno dei settantotto sopravvissuti sui quattromila prigionieri di Starobel’sk, mentre tutti gli altri sono scomparsi nel nulla?”, si chiede Czapski. Domande destinate a restare senza risposta, così come misteriosi e in gran parte imprevedibili sono i percorsi della storia.