Joris-Karl Huysmans / Ultimo addio al realismo

Joris-Karl Huysmans, Vite di coppia, tr. Filippo D’Angelo, Prehistorica Editore, pp. 248, euro 18,00 stampa

Joris-Karl Huysmans (1848-1907) è noto in Italia quasi esclusivamente per i suoi due libri più famosi: À rebours del 1884 e Là-bas del 1891. Il primo – classico imprescindibile della storia letteraria – fu la “bibbia” del Decadentismo, e definì la categoria dell’estetismo, del dandismo di fine secolo, che, nella figura del protagonista, Jean Floressas Des Esseintes, – in precario equilibrio fra superomismo e nevrosi, nella vana ricerca della sintesi fra arte e vita – apriva la strada ai suoi epigoni, il Dorian Gray de Il ritratto di Dorian Gary (1890) di Oscar Wilde e l’Andrea Sperelli de Il piacere (1889) di Gabriele D’Annunzio, segnando una delle stagioni più feconde e affascinanti della cultura europea: quella decadente e simbolista. Il secondo, frutto degli interessi occultistici e “magici” dell’autore e della frequentazione dell’ex prete eretico Joseph-Antoine Boullan, percorreva le torbide vie del satanismo attraverso una Parigi esoterica e negromantica, ricostruendo le nefandezze di Gilles de Rais – il barbablù, luogotenente di Giovanna d’Arco, stupratore e assassino seriale di fanciulli – e descrivendo minuziosamente una messa nera: vera o inventata che fosse, la testimonianza diretta avrebbe costituito il modello di tutte le messe nere a venire – celebrante in abiti talari, crocifisso rovesciato, padre nostro recitato al contrario, donna nuda come altare, profanazione delle ostie, ecc.

A seguito di esperienze del genere, come già aveva intuito il collega, scrittore e dandy, Jules Amédée Barbey d’Aurevilly scrivendo di lui “dopo un simile libro non resta all’autore che la canna di una pistola o gettarsi ai piedi della croce”, Huysmans si convertirà al più stretto cattolicesimo e concluderà la sua vita come oblato benedettino sotto il nome di frère Jean (conversione dettagliatamente descritta nei suoi ultimi romanzi: En route, 1895; La Cathédrale, 1898; L’Oblat, 1903).

Lo scrittore aveva però mosso i suoi primi passi letterari nel pieno della temperie naturalista, compagno di strada e intimo amico di Émile Zola, Guy de Maupassant e Gustave Flaubert. Nel 1880 il suo romanzo breve Sac au dos era stato inserito, accanto a Boule de Suif di Maupassant e L’attaque du moulin di Zola, nella raccolta Les soirées de Médan, manifesto del Naturalismo francese, dedicato al ricordo della guerra franco-prussiana. Prima di imboccare il percorso antitetico del Decadentismo, già nel 1882 con A vau l’eau, Huysmans aveva iniziato a distaccarsi dalle vie del Naturalismo: il romanzo che Prehistorica Editore, con l’ottima traduzione di Filippo D’Angelo, ha da poco pubblicato, En ménage del 1881, è quindi l’ultimo addio a quel realismo, a quella pretesa di oggettività, a quell’aspirazione al tranche de vie, che i naturalisti ricercavano.

Come acutamente nota Pierre Jourde nella prefazione al volume, il romanzo eccede in quel compiacimento per il sordido e l’escrementizio che è uno dei tipici vezzi naturalisti: miasmi urbani, spurghi fognari, perfino dettagli precisi sull’igiene personale alla toilette delle commesse di un atelier di abbigliamento, con tanto di goccia di sangue mestruale lasciata sul pavimento. Questo disgusto che diventa angoscia metafisica, però, già trascende il mero dato obbiettivo e trasla a catastrofe psicocosmica: non è un caso se André Breton sceglierà per la sua Anthologie de l’humour noir del 1939, proprio una desolante scena di bistrot tratta da questo testo e se lo schopenaueriano Michel Houellebecq, in Sottomissione, definirà il libro “incontestabilmente un capolavoro”.

Nei personaggi dei due protagonisti, lo scrittore André Javant e il pittore Cyprien Tibaille (già comparso nel 1879 in Les Soeurs Vatard), amici e artisti mediocri e perdenti, Huysmans già anticipa, molto prima dell’esteta Des Essaintes e dei superuomini pseudonietzschiani di D’Annunzio, una delle figure principali della futura stagione decadente: l’inetto, di cui Svevo, Pirandello o Gozzano offriranno l’immagine a noi più presente. Questi squallidi borghesi non hanno grandi sentimenti né grandi passioni, solo meccanismi e bisogni. E il determinismo naturale – bisogno di confort e bisogno di sesso – detta il percorso che è l’unica linea narrativa del romanzo, per altro costruito tutto su vivide descrizioni della Parigi del tardo Ottocento, dei suoi quartieri popolari, delle banlieue e dei viali, delle botteghe e dei bistrot. Il tema abusato dell’adulterio che conduce André dalla scoperta in flagrante del tradimento della moglie, il conseguente abbandono e la nuova vita da solo, in castità o con amanti saltuarie – quando, come fosse una malattia, è preso dalle “crisi donnesche” – fino alla decisione, per comodo, di perdonare l’adultera e riprenderla con sé, è vissuto senza dramma e senza pathos. Nella grottesca scena iniziale il cornuto non uccide né la traditrice, né l’amante, ma con imbarazzata gentilezza riaccompagna lo sconosciuto giù per le scale dell’appartamento, fino in strada. E quando confessa la brutta esperienza all’amico Cyprien, più preoccupato dei pettegolezzi che del fatto in sé, viene preso da un forte attacco di diarrea. Mai si parlerà di amore, la misoginia di Huysmans è suprema: l’amore è puro soddisfacimento di bisogni, la donna ideale è mezza domestica e mezza prostituta, per il resto la femminilità è detestabile. “Avere il conforto del matrimonio, ma senza la moglie!” commenterà Cyprien, che alla fine si prenderà una compagna brutta e volgare ma gentile e sottomessa e rinuncerà – almeno parzialmente – al sesso in nome del confort. Analogamente anche ad André converrà riprendersi la moglie fedifraga alla quale per altro conviene a sua volta farsi riprendere: dopo un rapido amplesso consumato a ridosso della rappacificazione, la coppia esce, per la prima volta dopo anni di nuovo insieme, tenendosi teneramente a braccetto: “Camminavano rassegnati”.

L’ultimo deprimente incontro fra i due amici, André e Cyprien, ormai definitivamente separati dalla presenza ingombrante delle rispettive mogli, si conclude con la comune consapevolezza di aver ormai ceduto in tutto e di meritare l’accoglienza tra l’universale idiozia umana dove finalmente vivere rispettati e stupidi: “– Bell’ideale – rispose André. – Sai, questo o un altro…”. Impossibile non dare ragione a Houellebecq: incontestabilmente un capolavoro.