Jonathan Littell, Antoine D’Agata / L’arma della memoria

Jonathan Littell, Antoine D'Agata, Un luogo scomodo, Einaudi, pp. 369, euro 20,90 stampa, euro 10,99 epub

Jonathan Littell è l’autore del celebre romanzo Le Benevole (Einaudi, 2007), che narra in prima persona la storia di Maximilien Aue, un ufficiale delle SS durante la Seconda Guerra Mondiale. Questo libro, vincitore del prestigioso Prix Goncourt, ha suscitato dibattiti e controversie per la scelta dell’autore di dare voce e rendere protagonista un carnefice piuttosto che una vittima. Un carnefice con cui il lettore tende a empatizzare, grazie alla profondità delle sue riflessioni, alle domande che si pone e a un sottofondo morboso legato alla descrizione di efferate violenze.

Dopo essersi dedicato a temi legati alla Cecenia e alla Siria, Littell torna in Ucraina a esplorare il dolore della memoria con Un luogo scomodo, opera composta di 222 frammenti numerati che intrecciano narrazione e riflessione, accompagnati dalle potenti fotografie di Antoine D’Agata. Un luogo scomodo si riferisce, in realtà, a due luoghi nei dintorni di Kiev: il burrone di Babyn Yar e il sobborgo di Bucha, quest’ultimo teatro di crimini contro civili commessi durante l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. A Babyn Yar, invece, si consumò uno dei peggiori massacri di ebrei durante il secondo conflitto mondiale: oltre 33.000 persone furono assassinate, in un unico giorno!, tra il 29 e il 30 settembre 1941 dalle forze naziste con il supporto di fin troppo zelanti collaboratori ucraini. Questo luogo è rimasto a lungo malamente ricordato ed elaborato. L’URSS e l’Ucraina sovietica per molti anni si opposero alla costruzione di un monumento a Babyn Yar, sostenendo che “i monumenti vengono eretti per gli eroi. Ma queste persone sono andate volontariamente, come conigli nella bocca di un boa”.

Per Stalin e quindi per tutta l’URSS, l’Olocausto non esisteva: le vittime delle politiche di sterminio tedesche venivano semplicemente descritte come “cittadini sovietici”. Il burrone stesso fu riempito per rendere il terreno edificabile, e Babyn Yar dovette attendere oltre vent’anni anni per avere un monumento. Questo, però, riportava iscrizioni in russo e ucraino che ricordavano genericamente le vittime del nazismo, senza menzionare gli ebrei. Solo nel 1989 venne aggiunta una targa in yiddish ed ebraico dedicata specificamente alle vittime ebree. Anche dopo la fine dell’URSS, l’Ucraina non affrontò seriamente le responsabilità storiche delle formazioni nazionaliste, come l’Oun (Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini), spesso ignorate o minimizzate. Si arriva al paradosso di una targa aggiuntiva a Babyn Yar che commemora 621 membri nazionalisti caduti nella lotta antinazista, ignorando le loro compromissioni passate.

Littell, dopo l’invasione del 2022, nota come la propaganda russa riprenda i luoghi comuni sovietici per accusare l’intero popolo ucraino di nazismo. Questa retorica essenzializza gli ucraini, riducendoli a collaboratori nazisti e giustificando la necessità di una “denazificazione”. L’autore sottolinea che, sebbene le responsabilità dei nazionalisti ucraini durante la Seconda Guerra Mondiale siano storicamente documentate, questi gruppi rappresentavano una minoranza. Fa notare che nessuno suggerisce di “denazificare” i francesi, nonostante il collaborazionismo della Repubblica di Vichy, o i russi stessi, considerando il patto Ribbentrop-Molotov. Oggi, molti ucraini vedono figure come Stepan Bandera come eroi nazionali, un simbolo di resistenza più che una figura storica compresa nella sua complessità e il motto nazionalista “Gloria all’Ucraina” è diventato un modo di dire comune in un impasto di pragmatismo e costruzione identitaria, necessario per resistere a un’aggressione esterna.

L’autore scrive: “questa identità fai-da-te, per metà fantasiosa e per metà autoreferenziale, fatta di una miscela di profonda ignoranza, umorismo di bassa lega e menefreghismo, è senza dubbio la cosa più caratteristica dell’Ucraina”. Eppure questa memoria per niente rigorosa, ha contribuito a unire un Paese frammentato contro l’aggressore russo. La memoria non è mai lineare, ma un campo di battaglia e Littell mostra come i luoghi del dolore, come Babyn Yar e Bucha, testimonino la difficoltà di preservare una memoria autentica e come, nonostante tutto, una memoria frammentata possa essere un’arma potente per costruire resistenza e resilienza capaci di unirsi di fronte alle sfide imposte dall’invasione russa. Alla fine è davvero necessario sapere chi fosse Bandera o “chi ha fatto chi a cosa a chi in tutto questo territorio” per resistere a una invasione? In ogni caso il libro di Littell e D’Agata è scritto anche per tenere fede alla verità storica sia di Babyn Yar che di Bucha, e così è giusto che sia.