Neanche trentenne, la scrittrice e traduttrice svedese Johanne Lykke Holm pubblica il suo primo romanzo, Strega, per i tipi di NNE che, giustamente, lo inserisce nella serie “Le fuggitive”, collana caratterizzata da copertine fucsia – colore simbolo del movimento femminista di questi ultimi anni – dove si propongono “storie di donne in fuga, alla ricerca di libertà e di una rifondazione della propria esistenza”.
È una strana storia quella che ci viene raccontata. Esiste un posto sulle Alpi che si chiama Strega e lì, in una valle isolata, si trova l’albergo Olympic, un tempo molto frequentato ma che, da un certo momento in poi – nessuno ricorda da quando – ha iniziato a cambiare e apparire ripugnante a qualunque persona sana, come possedesse una forza intrinseca e malvagia capace di respingere la clientela. L’Olympic confina con un monastero abitato da suore che vivono fuori dal comune ritmo di vita, e pare che tra queste e il personale dell’albergo ci sia un conflitto profondo, ma mai rivelato, come se le suore possedessero una forza particolare e, nell’avvicinarsi troppo a loro, si corresse il rischio d’esser risucchiati da un campo magnetico, di restare imprigionati lì nel monastero, per sempre.
In quest’ambientazione gotico-fiabesca incontriamo Rafaela, la giovane protagonista del romanzo che, insieme ad altre otto ragazze e tre responsabili, si trova a vivere e lavorare nell’albergo come cameriera per la stagione invernale: “Nessuna di noi voleva fare la domestica e nessuna voleva diventare moglie. Eravamo state spedite lì per guadagnarci il pane, per diventare parte della società. Eravamo figlie di madri lavoratrici e padri invisibili che scivolavano lungo le pareti. Eravamo in montagna perché qualcuno aveva venduto qualcosa.”
All’interno dell’Olympic, in attesa di ospiti che non arrivano, le ragazze imparano a stirare, stendere la biancheria lontano da occhi maschili, impastare e lavare le stoviglie, ma fanno anche lezione di conversazione e di ritmica perché è importante per una donna essere abile, spiritosa, dolce nel parlare e ridere come una vera signora: “I nostri genitori si erano tutti illusi che i cambiamenti accaduti nel mondo non fossero permanenti. Non credevano in un futuro senza la brava donna e i suoi doveri. Volevano prepararci a una vita in cui avremmo accudito i bambini e la casa, in cui saremmo rimaste accanto a un uomo, non importava chi fosse, in cui le mani avrebbero ripetuto gli stessi movimenti”.
Col trascorrere del tempo, le ragazze diventano quasi un corpo unico, si muovono insieme e fanno addirittura gli stessi sogni, si adeguano in qualche modo a questa monotona serie di giornate in cui c’è sempre una strisciante sensazione di oppressione e malessere e, nell’ubbidire senza protestare mai, parrebbero dare ragione a chi crede che le donne siano in qualche modo “portate” a sottomettersi. Le cose però cambiano quando, finalmente, arrivano gli ospiti per un ballo di fine ottobre: sono tutti uomini, di quel genere che afferra le ragazze per le braccia, chiede loro di sedersi in braccio, accarezza le cosce, vuole baciare le mani. Il mattino dopo una di loro è scomparsa. I seguenti giorni di ricerca saranno infruttuosi e, di fronte al dolore per la probabile morte dell’amica, Rafaela ha come una folgorazione: e se si potesse essere libere? Libere di muoversi, vestirsi come più piace e lasciarsi alle spalle una vita decisa da altri? Da questo pensiero alla decisione di lasciare Strega il passo è breve e Rafaela trova il coraggio di liberarsi, ribellandosi a una violenza che si era insinuata nella sua vita giorno dopo giorno.
La scrittura di Lykke Holm, serrata e magnetica, è particolarmente suggestiva; le frasi molto brevi sono ricche di aggettivi, di colori e di sapori come per allertare tutti i nostri sensi per meglio riconoscere, nella costante dimensione simbolica di questa storia, una riuscita allegoria della cultura patriarcale. La bella immagine di copertina della fotografa Marinka Masséus – autrice, fra le altre cose, di un interessante reportage sulla diversa bellezza delle persone down – ritrae una ragazza i cui occhi sono celati dalla sua stessa treccia di capelli. A volte, viene da pensare, ci nascondiamo a noi stesse per non vedere la violenza che ci circonda, ma questo libro dà lo spunto per riflettere sulla possibilità di affrontare le nostre paure, combattere i nostri limiti e allontanarci da situazioni di sottomissione e condizionamento, per ritrovare la libertà e affrontare il mondo come donne consapevoli, emancipate e padrone di sé stesse.