Per una singolare coincidenza, mentre Philip Dick pubblica The Man in the High Castle – forse il romanzo di storia alternativa più famoso e influente del secolo scorso – nello stesso anno (1962), dall’altra parte dell’Atlantico, Joan Aiken dà alle stampe The Wolves of Willoughby Chase, il primo libro di una saga per l’infanzia (The Wolves Chronicles) ambientata anch’essa in un universo ucronico e destinata a un grande e duraturo successo in Inghilterra anche attraverso l’adattamento cinematografico del 1989.
All’epoca, Joan Aiken è una giovane vedova, figlia d’arte, che aveva esordito già da adolescente, ma non aveva ancora raggiunto un successo tale da poter vivere di letteratura: The Wolves segnerà un punto di svolta dopo un periodo di ristrettezze, consentendole di dedicarsi pienamente alla scrittura. La sua sarà una lunga carriera costellata da un centinaio di opere più o meno bizzarre (fra cui una versione buffonesca di Moby Dick) e coronata da numerosi e importanti riconoscimenti.
Risulta perciò paradossale la sua mancata ricezione in Italia: pochissime traduzioni e perlopiù dei suoi testi dedicati al pubblico adulto. Non certo il corpo principale della sua produzione. Di conseguenza, non si può che apprezzare l’ultima proposta della collana di Adelphi per l’infanzia (i cavoli a merenda), già nota per la diffusione delle opere di Maurice Sendak presso i lettori italiani. La felice traduzione di Irene Bulla è infatti la prima edizione italiana de I lupi di Willoughby Chase, corredata inoltre dalle meravigliose illustrazioni originali di Pat Marriott e da un saggio illuminante di Brian Phillips (anche lui in catalogo Adelphi con Le civette impossibili).
Nato come un pastiche parodistico dei romanzi d’appendice ottocenteschi, il carattere ucronico dei Lupi viene brutalmente esplicitato in esergo tramite una nota dell’autrice: nell’Ottocento inglese alternativo di Aiken, la Gloriosa Rivoluzione non è mai avvenuta e gli Stuart siedono ancora sul trono di una monarchia mai trasformata in senso costituzionale e parlamentare. Inoltre, la Gran Bretagna è unita al continente con un tunnel sotto la Manica, attraverso il quale migliaia di lupi hanno invaso l’Inghilterra. Se nelle opere successive della saga l’autrice dettaglia meglio il suo universo narrativo, in questo primo romanzo si limita a segnalare solo il punto di divergenza, senza che questo abbia particolari conseguenze nella storia narrata. La principale alterità perturbante del romanzo è la costante presenza dei lupi, la cui funzione è del tutto simile a quella che ricopriranno gli zombie nel filone narrativo relativo e successivo rispetto ai Lupi di Willoghby Chase: una presenza pericolosa e costante, sicuramente più facile da affrontare rispetto agli antagonisti umani, ma in grado di irrompere in ogni momento nello scenario per scompaginarlo. Ad ogni modo, questo vale solo per la prima metà del romanzo, perché con l’arrivo della primavera i lupi emigrano a Nord, di fatto scomparendo e confermando il carattere stralunato e posticcio dell’universo narrativo di Aiken.
Come evidenzia brillantemente Phillips nel saggio conclusivo, I lupi di Willoughby Chase nasce infatti per accumulazione di cliché, soprattutto derivati da Dickens e da Hodgson Burnett: abbiamo gli orfani, il ruolo ambivalente degli adulti, una consistente eredità sottratta a chi ne ha diritto, l’agnizione, eccetera. Eppure, per citare Umberto Eco riguardo a Casablanca, “quando tutti gli archetipi irrompono senza decenza, si raggiungono profondità omeriche. Due cliché fanno ridere. Cento cliché commuovono”, ed è esattamente quello che succede leggendo il romanzo di Joan Aiken.
Inoltre, qualsiasi affezionato lettore di Daniel Handler e della sua saga A Series of Unfortunate Events (come il sottoscritto), non potrà che trovare un’aria di casa fin dalle prime righe, per poi capire definitivamente già a metà libro (soprattutto nella parte dell’orfanotrofio) quanto Lemony Snicket non sia altro che un epigono di Aiken, peraltro nemmeno altrettanto brutale rispetto al modello originale. Un altro aspetto cruciale che Phillips evidenzia nella postfazione. Non resta quindi che attendere la pubblicazione dell’intera saga dei Lupi in lingua italiana, con la garanzia che può dare Adelphi e la sua lussuosa collana per piccoli e grandi lettori.