Jessica La Fauci, autrice genovese che con il romanzo d’esordio Croste è stata finalista alla XXXV edizione del Premio Calvino, narra la storia di Nina. Con il termine narrare, però, si perde quel senso di spaesamento che ci invade quando entriamo nelle sfumature frammentarie della costruzione della storia – perciò, riformuliamo. La Fauci ricompone la storia di Nina. Tenta di metterne assieme i pezzi, di avere un quadro quanto più completo della sua esistenza, di trovarci i fiumi che l’hanno plasmata e seguirli per vedere dove sfociano – anche se questo, nemmeno Nina lo sa.
Nina ha trent’anni, molte domande e quesiti esistenziali in testa, poche risposte giuste – per lei che si è sempre sentita estranea ai moti consuetudinari propri delle fasi generazionali che ha attraversato con la paura di esporsi troppo, di mostrarsi agli altri. Nina è silenziosa ma pensa continuamente, narrazioni mentali su ciò che le viene incontro e che lei attraversa come per inerzia. Nina non si riconosce, anzi, è proprio in una continua fase di costruzione, plasmandosi come un fluido a contatto con gli angoli che entrano nel suo campo vitale: il matrimonio di qualcuno che pensava indispensabile, un’eredità che non sa come gestire, amicizie solide, luoghi che non riesce ad abitare. Nina non crede ai meccanismi perfetti, alla possibilità di credere abbastanza in sé stessa, al “sapersi muovere negli spazi senza averne paura”, al considerare normale qualcosa che lo è già per gli altri. Nina non sa che farsene di un corpo ingombrante e slegato da sé come il suo, delle delusioni e delle ammaccature che le persone provocano le une alle altre.
Allora cosa può fare, Nina, quando non comprende ciò che la circonda? Viviseziona parti di sé stessa, della sua infanzia, della sua adolescenza, della sua vita adulta, del suo mondo interiore che è la lente con cui guarda il mondo esterno. Analizza frammenti, ricordi, sensazioni, fiumi di parole che scorrono in senso contrario verso l’interno. L’intero romanzo prende le sembianze di frammenti di Nina – narrazioni, anzi no, ricomponimenti non lineari, come dettati dalla memoria, da un riaffiorare in superfice di eventi da lungo tempo assorbiti dal tempo. Nina, poi, arriva a trovare le risposte che cerca, a sentirsi più stabile, più parte del cosmo che l’ha generata? Croste è un romanzo fatto di domande, che procede per frammenti, istantanee, punti fermi e punti instabili – amplifica quesiti universali, che tutti noi ci poniamo, che sentiamo sulla nostra pelle, come segni del tempo che scorre.