Jem Calder / Post, reel, relazioni azzurrine

Jem Calder, Ricompense, tr. di Isabella Pasqualetto, Einaudi, pp. 208, euro 18,50 stampa, euro 9,99 epub

L’arrivo di Jem Calder nel mercato editoriale italiano è la dimostrazione che la narrativa breve può ancora raccontarci qualcosa e farlo con risultati superbi, soprattutto quando diventa cartina tornasole di un quotidiano sempre più frenetico. La raccolta Ricompense, pubblicata da Einaudi nella traduzione di Isabella Pasqualetto, contiene sei storie – indipendenti e insieme intrecciate come un romanzo – con protagonista la generazione tra la fine dei venti e l’inizio dei trent’anni. Sullo sfondo, una città senza nome nel periodo immediatamente precedente e poi durante la pandemia, una fase cruciale nella crescita vertiginosa della nostra dipendenza dalla tecnologia.

Julia e Nick sono ex, fungono da filo conduttore delle vicende. Il primo racconto è dedicato a Julia, alle prese con un nuovo lavoro da sous-chef e la relazione con un uomo più grande; nel successivo, intanto, Nick è messo davanti alla precarietà della sua esistenza durante una festa di amici in comune. Si rincontrano finalmente nel quarto, fino alla loro ultima conversazione nel sesto. Il quinto è una parentesi sui rapporti nell’ufficio dove lavora Nick, copywriter demotivato. Al centro del libro, un intermezzo brillante sul dating contemporaneo e sulla dittatura dell’algoritmo nelle esperienze sentimentali di un’utente donna e un utente uomo qualsiasi.

Sono personalità segnate dall’incertezza, dalla necessità di mostrarsi migliori, determinate. Si sforzano di sembrare, fingono nonostante ne ottengano solo un fallimento dopo l’altro. Finiscono così per comunicare in modo poco efficace: i dialoghi di Calder sono perlopiù brevi, fatti di percezioni errate e lunghe elucubrazioni dietro cui gli interlocutori evitano di parlare con autenticità. Predomina la volontà di fuggire da pensieri ingombranti, per non dover accettare delusioni e perdite passate. Julia e Nick non hanno mai affrontato a viso aperto la loro separazione, per questo il rivedersi comunica a chi legge – e a loro stessi – un senso di non-finito: pur senza tornare insieme, riprendono i contatti e alla lunga ciò diviene un mezzo per allontanarsi definitivamente. «Più parlavano, più Nick faticava a trovare argomenti di conversazione. Era lui, o sembrava che tra loro aleggiasse un enorme, elefantiaco non detto che entrambi cercavano d’ignorare? Ma quale? L’inarrestabile scorrere del tempo? Gli avvenimenti mondiali? Il fatto che, un tempo, si erano resi davvero felici?»

In questa diapositiva accurata della modernità, a rendere prezioso Ricompense è la prosa di Calder. L’autore britannico fa un uso vivido e anticonformista della lingua, capace di restituire l’artificiosità di tanti gesti nel nostro stare in mezzo alle persone: ci muoviamo seguendo coreografie che ci illudono di avere sempre il controllo, creiamo maschere che si spezzano non appena abbassiamo la guardia. La sintassi possiede un ritmo tutto suo, equilibrato nella ricerca di soluzioni inedite. È una scrittura di luci e riflessi, perché malgrado recite e silenzi si aprono, imprevedibili, momenti di chiarezza. A volte basta un raggio filtrato dalla finestra a colpire un viso, oppure la luminosità artificiale di uno schermo per mettere i protagonisti davanti ai loro desideri più genuini, anche solo per pochi secondi. «Ed eccolo, a un tiro di schioppo, prima che Julia fosse pronta a vederlo, seduto da solo a un tavolo vicino alla vetrina, sotto una cascata di polvere illuminata da un blocco di tersa luce antimeridiana: o la persona che amava o la persona che incarnava una persona che amava».