“Scopo dell’arte è di trasmettere l’impressione dell’oggetto, come ‘visione’ e non come ‘riconoscimento’; procedimento dell’arte è il procedimento dello ‘straniamento’ degli oggetti e il procedimento della forma oscura che aumenta la difficoltà e la durata della percezione.” (Viktor Šklovskij, Teoria della prosa, 1925)
Questo sensazionale romanzo dell’inglese Jeff Noon, pubblicato nel 2017 e primo episodio di una serie dedicata al detective John Henry Nyquist, sembra raccogliere letteralmente le parole di Viktor Šklovskij sullo scopo dell’arte. La struttura del romanzo, pubblicato nella consueta, magnifica veste grafica dall’editore 451 (marchio di Edizioni BD) imita quella di un hard-boiled classico: il detective Nyquist accetta l’incarico di rintracciare una ragazza scomparsa: Eleanor Bale, giovane figlia di un ricco imprenditore.
Sembra la trama di un noir, o di un romanzo d’indagine, ma l’ambientazione stravolge completamente questa impressione. L’azione si svolge in una grande città divisa in due parti nettamente distinte, o se preferiamo in due città gemelle: Diurno e Nocturnia. La prima è il luogo della luce; non esiste mai l’oscurità, e non perché vi sia radiazione solare a ogni ora del giorno, ma perché ogni strada, ogni piazza, ogni edificio pubblico o privato è costantemente illuminato da una quantità esorbitante di lampadine elettriche:
“La città delle luci e dei bagliori e della vita e dei luccichii, del fascino e dello splendore, del fuoco e dei neon, dei venti milioni di orologi, e degli innumerevoli miliardi di lampadine, incandescenti, luminose, che rifulgono e splendono, luccicano e lampeggiano con energia e forza.“ [pp. 380-1]
La seconda città, Nocturnia, non è ambiente meno artificiale della prima; nel cielo le costellazioni che orientano gli abitanti sono fisse, immutabili nella notte. Le peregrinazioni in automobile di Nyquist, che non si rassegna anche dopo che Patrick Bale gli ha ritirato l’incarico, sembrano tratte davvero da un noir anni Cinquanta nella città in cui è sempre notte.
Primo intermezzo di precisazione: la storia si svolge nel 1959, ma siccome l’ambientazione è totalmente svincolata dalla realtà fattuale, il dato serve solo a immaginare i dettagli dell’azione: per esempio i mezzi di trasporto, come i treni che percorrono la distanza tra le due parti della città attraverso la zona del Crepuscolo, o le situazioni hard-boiled con i loschi trafficanti di droga, e persino l’abbigliamento dei personaggi e i dettagli degli oggetti.
Nyquist lavora per conto di Patrick Bale, padre di Eleanor, un magnate nel business del Tempo. Infatti, a differenza dell’entroterra che circonda le città, a Diurno/Nocturnia non esiste un flusso temporale condiviso: ogni abitante può adottare un proprio tempo personale, o magari acquistare una delle linee temporali commercializzate da Bale:
“«La nostra città è un luogo alquanto speciale, un esperimento vivente, si potrebbe dire. Suddividiamo il tempo nelle sue parti costitutive per poi ricostruirlo da zero. Ciò richiede coraggio e abilità, e grande desiderio. Il desiderio della gente che il giorno duri per sempre.»” [p. 48]
Secondo intermezzo di precisazione: la questione del tempo è un’ossessione assoluta che percorre tutto il romanzo, in maniera speciale nella prima parte ambientata a Diurno: se non ci si può basare sui ritmi dell’ora atmosferica, è naturale che ogni abitante possa pensare di ritagliarsi un tempo proprio, modellato sul ritmo di vita personale. Ciò naturalmente nel romanzo si riflette in piccoli episodi anche grotteschi, come l’esercente che non vuole servire da bere perché l’orologio del cliente indica un’ora in cui il locale è chiuso.
L’indagine porta Nyquist da una città all’altra, attraverso la misteriosa zona degradata di Crepuscolo, al confine tra le due: quartieri di edifici fatiscenti e avvolti in una perenne foschia, attraversati da treni che non effettuano fermate tra la stazione di Diurno e quella di Nocturnia. Crepuscolo è in continua espansione, come una metastasi, o meglio come una metafora dell’entropia. Lì hanno luogo eventi chiave della trama, come il confronto finale, e la scena dell’omicidio in cui Nyquist si rende conto che gli sono stati sottratti alcuni minuti di tempo oggettivo, o ancora fuoriscena come la scomparsa del padre di Nyquist. Il lettore ha la continua sensazione di muoversi in un mondo di simboli, come se dovesse esserci una realtà sottostante al livello zero della narrazione: per esempio, nella scena in cui il detective decide di approfondire cosa c’è in cielo, sopra l’abbacinante coltre di milioni di lampadine che illumina Diurno, e salito in cima al palazzo in cui si trova si imbatte nell’ex “scimmia delle luci”, Lucille Firstborn.
“«Non c’è il cielo» disse la donna, «Qui no. A Diurno non c’è. Non crediamo nel cielo. Crediamo nello Splendore. Il neon, il bagliore. Il potere e la magia del calore e della luce.»” [p. 101]
In questo scenario si inserisce un perturbante: la figura di Mercurio, l’assassino invisibile che sceglie a casaccio le sue vittime, come se ubbidisse all’irrefrenabile impulso di un momento, e che asseconda l’espandersi del caos. Nessuno l’ha mai visto, ma è chiaro al lettore fino dall’incipit che la figura è legata a filo doppio con l’indagine.
Noon, che già abbiamo conosciuto in Italia per l’originalissimo Le piume di Vurt (1993) e gli altri due suoi primi romanzi degli anni Novanta, ha creato una scenografia straordinaria per una storia tutto sommato semplice. Il potente immaginario di questo romanzo sta nell’ambientazione, che a prima vista può ricordare quella di un altro ottimo autore inglese, Chine Miéville (in La città e la città, naturalmente), e che si allarga nella coscienza del lettore come forma oscura, uno straniamento, un sentimento sospeso che spinge a continuare la lettura e induce, al tempo stesso, la consapevolezza che prima o poi questo stato di grazia mentale – la difficoltà della percezione – dovrà terminare con l’ultima pagina.