Continua il lavoro editoriale di Agenzia Alcatraz finalizzato alla (ri)scoperta di testi stranieri appartenenti all’ambito narrativo gotico/horror/weird ingiustamente passati in sordina all’epoca della loro pubblicazione. Si conferma l’obiettivo di dare rilievo a opere che faticano a trovare il giusto riconoscimento in un panorama (quello della letteratura fantastica) dove sono quasi esclusivamente i testi anglosassoni (più spesso americani) a destare interesse e curiosità presso il grande pubblico. Con la settima uscita della collana “Bizarre” l’editore cala l’asso, proponendo Malpertuis, il romanzo più noto dello scrittore belga Jean Ray di cui Pulp Libri si è più volte occupato (qui e qui).
A Malpertuis non manca proprio nulla per allettare il lettore curioso: mistero, tensione e un gusto nel dipingere alcune scene tra il comico e il grottesco, dominano il romanzo e devono averlo rilevato tutti i diversi editori che si sono operati per la sua pubblicazione in Italia avvenuta tuttavia, di volta in volta, in una colpevole indifferenza generale, a partire dal 1966 (l’edizione originale è del 1943). L’ambientazione è quanto di più classico si possa immaginare rispetto al contesto gotico e horror: una grande e buia casa stregata, piena di stanze polverose, biblioteche cariche di antichi tomi ammuffiti, tetre sale, in cui il lettore si orienta senza sforzo percorrendo uno scenario ormai stereotipato. Allo stesso modo la miccia della trama, un’immensa eredità che un vecchio arcigno ha lasciato a parenti e domestici (a patto che si trasferiscano nella casa maledetta, naturalmente) è qualcosa di visto ormai mille volte in libri, film, sceneggiati; un cliché consumato al punto da essere leggibile quasi unicamente in chiave ironica. Il classico tòpos del manoscritto – o meglio dei manoscritti – ritrovato che determina una narrazione a puzzle, ordita attraverso la giustapposizione di frammenti più o meno lunghi, che si vorrebbero di mani diverse e che ci mostrano il punto di vista di vari narratori sulla vicenda, infine, costituisce l’ossatura strutturale del romanzo.
Questi elementi potrebbero fare di Malpertuis al massimo un riuscito esercizio di stile, affascinate relitto di un’epoca tramontata, ma naturalmente vi si trova molto altro, a partire dalla fitta rete di rimandi eruditi che indicano al lettore la via dell’interpretazione come stelle sfocate, verso lo svelamento del mistero che alligna in questa sinistra dimora. Lo spessore conferito al testo da citazioni bibliche, antropologiche e letterarie, suggestiona il lettore ignaro delle questioni trattate e gratifica quello avveduto; la lettura procede senza alcun momento di stasi, attraverso un testo sfrondato di tutto ciò che risulta superfluo alla sua meccanica. Facendo attenzione a non guastare il piacere della lettura a chi non avesse ancora avuto modo di sfogliare il libro, possiamo almeno dire questo: che, se nella prima parte dominano descrizioni di ambienti scarsamente illuminati, spesso intuiti attraverso elementi sonori e vengono presentati personaggi ambigui, grotteschi, inquietanti più per incongrua ridicolezza che per minacciosità; la velocità con cui ci si troverà a voltare le pagine accelera notevolmente dalla seconda parte, quando le visioni del narratore a cui sono affidati i frammenti maggiori della vicenda (Jean-Jacques Grandsire) distorcono la realtà in incubo e l’azione prende il sopravvento sulla contemplazione.
Uno dei temi portanti – e certo di grande interesse – che si dipana nel libro è quello della religiosità e del rapporto tra le forme che ha assunto lungo il corso della storia: la religione degli dèi pagani, quella ebraica e quella cristiana, senza dimenticare la superstizione popolare, costituiscono l’espressione della necessità umana di inventare divinità a cui assoggettarsi. Non si tratta di rappresentazioni del bene e del male; in ultima analisi anche il confine tra Dio e il demonio risulta labile: dietro le prove del primo potrebbero nascondersi le tentazioni del secondo, dietro ai sogni notturni potrebbero celarsi tanto messaggi celesti quanto tranelli diabolici.
Per il lettore contemporaneo la lingua è godibile; nella traduzione di Luca Fassina è ben reso lo stile elegante e manierista di Jean Ray, che scivola esente da virtuosismi inutili attraverso le vetuste sale di Malpertuis e i suoi fantasmatici abitanti; il libro risulta adatto al novizio del genere (poiché potrà iniziare con un’opera che fonde consolidati cliché e sperimentazione), al lettore esigente (che potrà divertirsi nel decifrare gli enigmi della trama e quelli letterari) e all’appassionato (che dovrà cedere a questa splendida riedizione dalla copertina retrò).
In chiusura si segnala la prefazione di Valerio Evangelisti, gioiello che in poche pagine dense di informazioni e spunti letterari ci ricorda lo spessore culturale e l’acume di uno scrittore che ci manca ogni giorno di più e che di certo – se ben ricordiamo le prime pagine di Nicholas Eymerich, Inquisitore – non deve essere stato tra le schiere di coloro per cui Jean Ray era passato inosservato al momento delle precedenti pubblicazioni in Italia.