Per Sigmund Freud la paternità era una cosa seria. I suoi biografi hanno analizzato a fondo il complesso e ambivalente rapporto con il padre, Jacob, un ebreo appartenente al movimento dei chassidim del Ba’al Shem Tov. Rileggendo i suoi scritti, ci rendiamo conto della fortissima componente paterna presente nella teoria e nella prassi della Psicanalisi, la continua ricerca di conferme della forza della paternità, il malcelato maschilismo del fondatore della Psicanalisi, che a volte sapeva essere arrogante e collerico con i suoi discepoli proprio come il Dio dell’Antico Testamento. È ormai un luogo comune ben consolidato quello di considerare Freud come uno studioso sostanzialmente incapace di comprendere il desiderio e la sessualità femminile, tanto che alla fine della sua carriera, arrivò a chiedersi: “ma la donna, che cosa vuole?” Invece un suo contemporaneo, T. S. Eliot, che pure esprimeva delle idee nettamente conservatrici, se non reazionarie, nei suoi scritti, trasformò l’Indovino Tiresia nel protagonista di The Waste Land, segnando in modo indelebile la letteratura e la cultura del Novecento. Tiresia è maschio e femmina allo stesso tempo, egli ha sperimentato sia il godimento maschile che quello femminile, e su di lui si accumula tutto il peso della crisi dell’intera cultura occidentale. Dunque ci voleva, secondo Eliot, un non-binary – come si dice oggi – per comprendere a fondo la crisi dell’Occidente.
Jean-Pierre Lebrun è psichiatra e psicanalista a Namur, in Belgio. Il suo approccio, estremamente originale, alla psicanalisi parte dalla revisione di Jacques Lacan del pensiero di Freud, poi prende le mosse da Lacan per tornare a esaminare il pensiero di Freud, infine da Freud risale alla fonte originaria del suo pensiero, cioè la Bibbia, in particolare il Vecchio Testamento. Secondo Lebrun, i testi della Bibbia, soprattutto quelli a carattere mitico, fanno tutti riferimento a concetti della psicanalisi lacaniana. Freud era ossessionato dalla Bibbia, dalla paternità biblica, così come lo era il padre, così come lo erano gli interpreti della Bibbia e i rabbini. Anche Lacan era ossessionato dal Dio degli Ebrei. Vi è dunque una forte connessione tra la psicanalisi e la Bibbia. Lo dimostra un’opera come L’Uomo Mosè e la religione monoteista, il celebre saggio di Freud pubblicato nel 1939: la testimonianza più evidente della vera e propria ossessione che Freud aveva nei confronti della religione dei padri. In questo testo si afferma addirittura la necessità di uccidere il padre Mosè come fondamento della religione monoteistica e dunque uno dei capisaldi della civiltà occidentale. Siamo già oltre il complesso di Edipo: l’uccisione del padre non è più una colpa inconfessabile, ma una necessità. La mossa geniale di Freud è quella di trasformare uno dei momenti fondamentali nella nascita della religione ebraica nel sintomo dell’insorgenza di una malattia mentale, quella malattia mentale che noi chiamiamo Cultura Occidentale, che si basa in definitiva sulla rimozione di questo assassinio originario. All’origine della religione c’è un atto sanguinario, una vera e propria esplosione di follia, e sul rapporto tra religione e pazzia uno scrittore come Emmanuel Carrère ha scritto parole definitive in vari luoghi della sua opera ma soprattutto in Il Regno, libro in cui i primi Cristiani vengono rappresentati come un manipolo di pazzi scatenati.
L’Ebraismo secondo Freud si fonda sulla rinuncia a risolvere un assassinio, sulla rimozione del parricidio originario – l’uccisione di Mosè da parte degli Ebrei. Questo si chiama revisionismo, il revisionismo forte di Freud, la sua mislettura forte del testo biblico, come direbbe Harold Bloom. Subito dopo aver ucciso il padre, nasce la religione del Padre, si comincia a instaurare il culto del padre morto. L’uccisione del padre da parte di Edipo sarebbe dunque uno step necessario nello sviluppo del fanciullo e del suo passaggio all’età adulta. È Mosè che ha fondato il monoteismo: non si tratta dunque di una religione rivelata, dice Lebrun, ma inventata. La nascita del monoteismo coincide con il passaggio dalla tradizione orale alla tradizione scritta. Un unico testo (scritto), un unico Dio, un unico Padre. Nasce il testo sacro: quello della Bibbia, quello di Freud, e qualcuno ci sta provando anche con i testi di Lacan. L’unico problema è che ai Seminari di Lacan, per diventare testi sacri, manca un requisito essenziale: sono troppo ricchi di sfumature, troppo ricchi di giochi di parole con il significante, non si prendono abbastanza sul serio. La teoria lacaniana è troppo “Altruista”, si affida troppo al desiderio o alla cancellazione del desiderio dell’Altro, per poter funzionare come testo sacro. Dunque la costituzione del Nome del Padre è un sintomo di una malattia mentale e si effettua al prezzo di una rimozione, della rimozione di un assassinio. Dunque anche noi, per affermare il nostro principio di autorità, abbiamo bisogno di uccidere il Padre Nostro Sigmund Freud.
Lebrun in questo libro torna ad analizzare un testo fondamentale, il Seminario del 1963, in cui Lacan affronta di petto la questione del nome del padre. Secondo il revisionismo lacaniano della teoria di Freud, l’assassinio del padre reale, assassinio rimosso, cancellato, permette di costituire il padre simbolico – permette l’identificazione con il Padre. Di qui nasce il linguaggio, la necessità del linguaggio. Di qui la necessità di una iniziazione, di svolgere dei riti di passaggio per poter approdare all’età adulta e poter diventare padri.
La società che segue il modello occidentale si struttura intorno al padre morto e alla rimozione dl suo assassinio tramite il linguaggio. Ecco perché il nome del padre segna l’origine del linguaggio. È difficile rivendicare la propria priorità a partire dal linguaggio, affermare la propria assoluta originalità, asserire che il linguaggio che stiamo usando non sia mai stato utilizzato da nessun altro. Inutile dire, come facevano i Romantici inglesi, che “il bambino è padre dell’Uomo” (Wordsworth) e che stiamo osservando la Natura come se fossimo “un Nuovo Adamo di primo mattino” (Walt Whitman). Prima o poi siamo costretti ad ammettere che, quando siamo venuti al mondo, ci siamo appropriati di un linguaggio che altri avevano già parlato prima di noi, e che questo linguaggio lo abbiamo appreso dai nostri genitori. Gli esseri umani – ci ricorda Lebrun – non possono vivere senza parlare. Sono dei “parlesseri”, secondo l’orrendo neologismo di Lacan, degli esseri parlanti. Gli esseri umani hanno bisogno delle parole per vivere, e il linguaggio che noi parliamo è il linguaggio dei nostri padri.
Lacan parte da questa domanda già posta da Freud: “Che cos’è un padre?” Questa domanda ci riporta alla Bibbia, e alla sua concezione “forte” della paternità, che trova la sua massima conferma nella storia di Abramo e Isacco, in cui il padre dimostra di avere un dominio assoluto sulla vita e la morte del figlio. A sua volta, Abramo è tenuto ad obbedire ciecamente all’ordine che proviene dal Padre supremo, che è Dio. Ecco perché Lacan si appassiona tanto nelle sue opere al Dio degli Ebrei, proprio perché cerca di rispondere ad una delle domande fondamentali poste da Freud: Che cos’è un padre?
Risposta: un padre è colui che permette di conciliare il Desiderio e la Legge, che all’inizio era la Legge Mosaica, poi da questa fonte originaria si è generato il diritto romano e il diritto contemporaneo, così come lo conosciamo. A partire dall’analisi di questa concezione “forte” del Padre, che è alla base della cultura Occidentale, Lebrun passa ad analizzare gli ultimi decenni della nostra civiltà, durante i quali abbiamo assistito alla messa in questione, alla demolizione di questo caposaldo culturale. Lebrun parla di vera e propria “crisi dell’umanizzazione”, cioè di quel fenomeno che ha portato in tempi recenti a mettere in crisi il concetto di paternità e dunque in definitiva il concetto stesso di autorità. Siamo arrivati dunque a vivere in un’epoca “senza padri”, un’epoca che non riconosce più i padri come fonte dell’autorità e dunque in un’epoca in cui è venuto a mancare del tutto qualsiasi principio di autorità. Ecco perché, dice Lebrun, viviamo in un’epoca nella quale i figli non obbediscono più ai genitori, in cui i genitori non si fidano più degli insegnanti, in cui i pazienti non si fidano più dei medici, ecc. Abbiamo spazzato via qualsiasi principio di autorità. In questo modo abbiamo ucciso i nostri padri culturali, politici, filosofici, psicanalitici, e abbiamo promosso l’anti-intellettualismo, finendo con lo spianare la strada al populismo. Si badi bene: questo non significa che non fosse giusto minare alle basi la cultura patriarcale, liberare la donna dalla schiavitù della sua essenza biologica predestinata; significa soltanto, che avendo eliminato qualsiasi principio di autorità, non abbiamo trovato niente di valido con cui sostituirlo, e oramai navighiamo a vista tra i flutti, “nave senza nocchiero nella tempesta” (Dante), senza avere alcun punto di riferimento.
Già in Totem e Tabù, pubblicato nel 1913, Freud aveva proposto il mito del padre dell’orda originaria, il mito di un padre onnipotente che possedeva tutte le donne e che i figli hanno ucciso e mangiato, fondando su questa uccisione e introiezione del padre il patto che li lega. A partire da questo assassinio originario, la psicanalisi freudiana presuppone la negatività della rimozione e della negazione, la rinuncia al godimento immediato. Il Padre freudiano è un padre castratore, che castiga il figlio e che proibisce il soddisfacimento immediato del desiderio. Il Padre che non castiga non è un buon padre, come ci spiega Freud nel Caso del Piccolo Hans. Dunque è da questa posticipazione del godimento immediato che nasce la cultura, che nascono la letteratura e la filosofia. Reprimere il godimento è semplicemente un “tratto peculiare” della specie umana e secondo alcuni studiosi la repressione sessuale e la rinuncia al godimento è anche un fenomeno alla base della irresistibile ascesa della classe borghese a partire dal Medioevo.
Dio ha sempre avuto, nel Monoteismo, a partire dal monoteismo ebraico, la funzione di far sentire la presenza di un vuoto, la mancanza del Padre, un vero e proprio buco nero di negatività. È da questo vuoto, da questa mancanza, che l’individuo parte per accrescere la sua cultura, cercando di riempire quel vuoto con la cultura, la letteratura, la filosofia. “Da qui deriva – scrive Lebrun – il Nome impronunciabile di Dio nell’Antico Testamento, il vuoto nel cuore del Santo dei Santi, la circoncisione che ritualizza questa perdita inflitta al corpo, lo Shabbat che richiede una sospensione settimanale delle attività…” Per questo, nelle epoche passate – secondo questa vera e propria ideologia del Padre – costringere il figlio della Madre a diventare il figlio del Padre equivaleva a far prevalere la vita mentale sulla vita sensoriale. La paternità rimaneva all’interno dei “processi intellettuali superiori” di cui parlava Freud.
Questo volgersi dalla Madre al Padre ha segnato – secondo i lacaniani contemporanei –
una vittoria della spiritualità sulla sensibilità, cioè un progresso di civiltà, giacché la maternità è provata dall’attestazione dei sensi, da un dato di fatto incontrovertibile, mentre la paternità è ipotetica, costruita su una deduzione e una premessa. Madre Natura, Padre Cultura, insomma. E non c’è dubbio che per Freud l’intervento della funzione paterna fosse equivalente al processo di umanizzazione.
Oggigiorno il Padre è stato delegittimato: è la crisi di un modello che è durato 25 secoli. Internet e i social media in generale sono una Madre che tutto accoglie, l’Internet delle cose è dappertutto e ci guida in ogni nostro passo, in ogni nostra decisione; la Rete ci pone tutti sullo stesso piano, uno vale uno, e dunque non c’è più alcuna via d’uscita possibile dal conflitto di ogni individuo contro ogni altro individuo. Abbiamo creato una nuova “società di individui” che in ultima analisi è incapace di pensare sé stessa come una società. C’è un eccesso di individualismo che favorisce l’affermazione del modello neoliberista, la mano invisibile dell’algoritmo governa ormai le nostre scelte di consumatori. Tutto ciò ci sta portando verso quello che in definitiva è il discorso del cosiddetto turbo-capitalismo o quello che Shoshana Zuboff chiama il “capitalismo dei dati” o “capitalismo della sorveglianza”.
Il padre di oggi non entra più in gioco come figura simbolica che incarna l’ideale e che dispone a tal fine dell’autorità che rappresenta l’ordine sociale, ma molto di più come un semplice individuo. Questo è il dilemma dello psicanalista: si aiuta di più il bambino a crescere proteggendolo dalla crudeltà del mondo, come fa tipicamente la Madre, oppure si aiuta di più il bambino a crescere preparandolo alla crudeltà del mondo, come fa tipicamente il Padre? Secondo Lebrun, abbiamo raggiunto questo momento di autonomia dal Padre negli anni Settanta e stiamo iniziando a incontrare adulti e soprattutto dei bambini prodotti da questa autonomia dall’elemento paterno e che presentano delle difficoltà che non sono più quelle della nevrosi freudiana. È qualcosa di diverso, una nuova forma di nevrosi e di psicopatia, che si È il tema del romanzo di Barry Gifford uscito nel 2000 e ora proposto in Italia dall’editore Jimenez con la traduzione di Michela Carpi.
Jean-Pierre Lebrun / Nel Nome del Padre Nostro Freud
Jean-Pierre Lebrun, Leggere il presente con Freud e Lacan, cura Marisa Fiumanò e Alessandro Bertoloni, Mimesis, pp. 113, euro 12,00 stampa, euro 8,99 epub