“Ho sempre creduto che si possa essere un eccellente botanico senza conoscere una sola pianta con il suo nome, e, senza voler fare di vostra figlia un gran botanico, credo tuttavia che le sarà sempre utile apprendere a vedere bene ciò che osserva.” Così scriveva nel 1771 Jean-Jacques Rousseau a Madame Delessert, amica che gli chiedeva consigli per indirizzare la giovane figlia allo studio del mondo vegetale. Rousseau, che negli anni dell’esilio e della solitudine si era appassionato alla botanica, traendone giovamento e pace dai tormenti che assillavano il suo animo angosciato, è lieto di guidare la bambina, attraverso la corrispondenza con la madre, nella scoperta dell’affascinante universo delle piante.
Nelle otto lettere che il filosofo indirizza alla “cugina” Delessert, ripubblicate da Piano B in un volumetto agile e raffinato, impreziosito dalla riproduzione a colori di sedici tavole scelte di P. J. Redouté che accompagnavano già l’edizione postuma del 1805, si ritrovano racchiusi tutto lo spirito pioneristico, l’intenzione pedagogica e l’approccio pratico allo studio che il grande filosofo aveva dispiegato nelle opere maggiori – basti pensare ai punti cardine su cui si basava l’educazione intellettuale e morale dell’individuo nell’Emilio, secondo cui il fanciullo deve essere educato a contatto con la natura e lontano dalla società civile.
Nella breve corrispondenza con Madame Delessert si riscontrano inoltre gli albori delle riflessioni che matureranno negli anni immediatamente successivi e che troveranno spazio nelle Fantasticherie del passeggiatore solitario, iniziate nel 1776 e anch’esse pubblicate postume: primo fra tutti il desiderio di ri-avvicinarsi alla natura e ai suoi principi, intesi come meta del percorso sociale e culturale dell’uomo. Attraverso le sue esplorazioni nei boschi, Rousseau sente tornare quella pace e quella tranquillità che da tempo lo avevano abbandonato. Scrive nella Settima passeggiata: “Eccomi dunque l’erba come solo nutrimento e la botanica quale unica occupazione […] Le piante sembrano disseminate con profusione sulla terra – come le stelle nel cielo – per invitare l’uomo, con l’attrattiva del piacere e della curiosità, allo studio della natura.” E ancora, riferendosi sempre allo studio del mondo vegetale, prosegue: “In questa oziosa occupazione c’è un fascino che si prova soltanto nella piena calma delle passioni e che è sufficiente da solo a rendere la vita dolce e felice”.
La botanica in questo senso sembra diventare il mezzo privilegiato per l’accesso a quel bonheur, a quella gioia naturale che è l’ideale aspirazione di ogni essere e che deriva dall’incontro tra intuizione sensibile e contemplazione astratta: tramite l’osservazione e lo studio della natura, l’uomo potrà innalzare il proprio pensiero fino alla percezione dell’insieme armonico del creato e accedere così alla meditazione metafisica del Sé e dell’Autore di tutte le cose.
Se da un lato dunque la botanica può essere intesa come una via filosofica di conoscenza del mondo, dall’altro Rousseau non si stanca di ribadire l’importanza dell’osservazione diretta e dello studio sul campo. Le lettere si configurano così come un manuale pratico per imparare a riconoscere le principali famiglie in cui si suddividono le piante o per sapere in che modo costruire un erbario, e, al contempo, come una riflessione teorica sul rapporto controverso che lega l’uomo alla natura. Ad esempio, nell’esplorazione bisognerà privilegiare i boschi ai giardini, che risentono dell’intervento dell’uomo il quale, con l’intenzione di studiare la natura, si ritroverà invece a esaminare la propria stessa opera: “L’uomo ha snaturato molte cose per meglio convertirle a proprio vantaggio; in ciò non è affatto da biasimare; ma non è meno vero ch’egli le ha spesso sfigurate, e che, quando crede di studiare veramente la natura nelle opere delle proprie mani, egli si inganna. Questo errore ha luogo soprattutto nella società civile, e perfino nei giardini.”
Lo scopo dichiarato delle lettere è avvicinare la figlia di Madame Delessert allo studio del mondo vegetale, e di insegnarle, prima che i nomi di piante e fiori, a osservare ciò che la circonda. Perché questo sia possibile, Rousseau sceglie con grande cura un linguaggio chiaro e concreto che, come nota Stefano Mancuso, rappresenta una piccola rivoluzione all’interno di un campo dove – talvolta ancora oggi – i termini specialistici imperano e confondono chi è alle prime armi.
Sempre nell’intento di facilitare e favorire l’apprendimento di questa disciplina da lui tanto amata, Rousseau aveva iniziato nel 1770 a redigere un dizionario di botanica rimasto poi incompiuto, di cui il presente volume riporta i “Frammenti”. Alla voce “fiore”, leggiamo: “‘Che cos’è il tempo’, diceva sant’Agostino, ‘se nessuno me lo chiede lo so benissimo; non lo so più quando mi viene chiesto di spiegarlo.’ Lo stesso si potrebbe dire del fiore, e forse della bellezza stessa, che, come il fiore, è la rapida preda del tempo.” Dalla botanica alla metafisica, tutto è collegato in quest’opera in cui è possibile trovare un prezioso assaggio del pensiero di uno dei più grandi filosofi del Settecento.