Quanti romanzi ci possono stare dentro un romanzo? Direi un numero infinito, e senza dubbio nel caso di Vegliare su di lei ce ne sono parecchi. Il romanzo ha vinto il Goncourt che, come ha raccontato l’autore in diverse interviste, ti permette di tirare un sospiro di sollievo e sederti per qualche minuto sugli allori, pensando ai tuoi prossimi libri con meno ansia del solito. L’opera, però, ancora prima del Goncourt aveva conquistato tantissimi lettori in Francia. Chissà, forse proprio per la molteplicità e ricchezza di racconto.
In questo romanzo d’amore Michelangelo Vitaliani, detto “il francese” e poi Mimo, è un ragazzino nano, rimasto orfano di padre e che la madre, italiana emigrata in Francia e intenzionata a restarci, decide di mandare a bottega da un sedicente scultore e sedicente zio, a Pietra d’Alba, nell’entroterra genovese. Se è vero che in nomen omen, Pietra d’Alba è il destino di Mimo, la pietra e i colori delicati e le forme immaginate all’inizio del giorno. Zio Alberto, lo scultore da cui Mimo dovrebbe imparare il mestiere, è un uomo rozzo che lo maltratta e lo picchia, soprattutto quando ne scopre il talento. Perché Mimo sa scolpire, con grande naturalezza sa estrarre dalla pietra delle forme che parlano e vivono come se fossero reali.
A Pietra d’Alba Mimo incontra Viola, figlia della famiglia “regnante”: gli Orsini, proprietari terrieri, ricchissimi, potenti, strettamente legati al papato. Viola e Mimo si incontrano al cimitero, di notte, in cerca o in fuga dai fantasmi. E il loro amore nato su una tomba sarà per la vita, per sempre, per entrambi. Un amore mai consumato nel senso tradizionale della parola, un amore impossibile per la differenza di ceto e appartenenza sociale, ma non per questo meno grande, meno romantico, meno assoluto di tanti altri amori memorabili. Un amore che nasce quando Mimo e Viola sono poco più che bambini, e li accompagna e li definisce e li sostiene per tutta la vita, tra distacchi e ritrovamenti. Un amore fatto di libertà, quella personale di ognuno di loro e quella cercata insieme; di progresso e di crescita, perché Viola che ha letto di tutto e non dimentica nulla insegna a Mimo la lettura e la cultura, e Mimo insegna a Viola la sfrontatezza, la determinazione, la perseveranza. Un amore che a ogni sfida e a ogni scontro si fa più profondo, più intenso, più denso. Sono due vite in cui il piccolo si confronta con il grande: Mimo, alto un metro e quaranta, diventa il più grande scultore del suo tempo; Viola, condannata come ogni donna del secolo scorso a un destino piccolo, cerca di imparare a volare, si candida alle elezioni del 1946, prende le redini della famiglia.
Mimo e Viola si amano lungo un secolo che vede due guerre mondiali e in mezzo il fascismo. La libertà a cui entrambi anelano è limitata dai ruoli sociali e dai destini di ceto e di classe, ma diventa ancor più ristretta con l’avvento del fascismo e lo stabilirsi della dittatura. Vegliare su di lei è anche un romanzo sul potere, su chi ne sa approfittare e chi ne viene travolto. Il potere che magari alla fine logora chi ce l’ha e chi non ce l’ha, ma che nel mentre viene gestito – con l’arroganza di chi se ne ritiene titolare a pieno diritto e non per una serie di circostanze fortuite – produce infiniti danni. Ed è un romanzo sulla storia, su come eventi più grandi di noi (che come Mimo cerchiamo di ignorare) di fatto danno forma alle nostre vite e spesso non è la forma che vorremmo. Per non dire di quanto quell’ignorare la politica, ovvero le scelte che riguardano tutti, possa alla fine fare il gioco di chi senza scrupoli il potere lo prende e se lo tiene per fini personali. L’abbiamo visto con il fascismo, ma non lo vediamo forse anche ai nostri giorni, tutti i giorni?
Naturalmente Vegliare su di lei è un romanzo sul talento e sull’arte, con al centro una scultura, una Pietà che è così umana, che parla e guarda e turba profondamente chi la osserva. Si rivela incompatibile con la religione, quella Pietà compassionevole e umana, seducente, e viene rinchiusa negli scantinati del convento dove Mimo si è rifugiato e dove trascorre il resto della sua vita, dopo avere lasciato la scultura e tutto il resto – tranne Viola, ovviamente. È un romanzo sugli ultimi, sui diseredati, sugli sconfitti, su quelli che se la cavano come possono, con pochi mezzi e poche speranze ma tanta inventiva e tanta fame di vita. Gli incontri di Mimo quando è apprendista a Firenze, la breve esperienza del circo, gli amici d’infanzia di Pietra d’Alba. Un mondo popolato di meraviglia e disperazione.
È un romanzo sull’infanzia, su quell’età in cui molto del nostro futuro prende forma, per quando ne siamo poco consapevoli, e in cui ci si ingegna a realizzare i sogni, con tutti i mezzi a disposizione. Viola vuole imparare a volare, e Mimo e i suoi amici costruiscono per lei delle macchine volanti. Disastrose, testate con dei manichini. Ma ogni volta ci riprovano. L’ultima delle macchine volanti, apparentemente perfetta, è quella con cui Viola si schianta dal tetto di villa Orsini il giorno in cui viene annunciato il suo fidanzamento. Mezzi estremi di fronte all’ineluttabilità delle convenzioni sociali. Ma anche la prova di un legame indissolubile. Al di là del tempo, della posizione in società, dell’altezza e del genere. E poi sarà il romanzo di ciascuno dei lettori che lo vorranno leggere.