Javier Marías / Le giustificazioni della vita

Javier Marías, Tomás Nevinson, tr. Maria Nicola, Einaudi, pp. 590, euro 22,00 stampa, euro 9,99 epub

Chi ha letto Berta Isla forse non se l’aspettava, un seguito. Nonostante Javier Marías ci abbia abituato al continuo ritornare di personaggi, nomi, situazioni e nonostante la trilogia Il tuo volto domani, uscita in Italia tra il 2003 e il 2010. Non te lo aspetti perché il finale di Berta Isla è di una malinconia così dolce e compiuta che dopo non sembrano possibili altre trame e inganni, altro romanzo.

Tomás Nevinson, agente segreto per conto del governo inglese, ex studente di Oxford, mezzo spagnolo e mezzo inglese, ritorna a Madrid dalla moglie Berta e dai due figli dopo anni di assenza o di falsa morte. Berta, pur credendolo morto, non si è rifatta una vita. I due riprendono a frequentarsi ma vivono in case separate a poca distanza una dall’altra. Tomás Nevinson ricomincia da queste due vite che stanno in attesa, caute, senza sapere bene quanto si conta e si è contato uno per l’altro. Lei forse vede altri uomini: “Mi sembrava inverosimile che non esistessero, ma non mi risultava che esistessero” – dice Tomás – “Era da vivo, al mio ritorno, che avevo cessato di esistere per lei. Non si rinuncia a un fantasma, perché non è mai completo; a un marito inutile, sconfitto, introverso e uggioso, sì”.

La vicenda prende avvio nel 1997, tre anni dopo il ritorno del protagonista. Agente segreto ormai bruciato, Tomás ha ripreso il vecchio lavoro all’ambasciata ed è un uomo annoiato, disfatto. Inaspettatamente il vecchio datore di lavoro, il controverso Bertram Tupra, gli propone una nuova missione. Dopo una iniziale titubanza Tomás accetta perché una volta che si è stati dentro non si può più stare fuori ma anche perché “l’unico modo per non farsi domande sull’inutilità di ciò che si è fatto in passato è continuare a farlo; la sola possibilità di giustificare una vita torbida è continuare a intorbidarla; il solo modo di sopportare un’esistenza fatta di sofferenza è perpetuare la sofferenza, averne cura e alimentarla e lamentarsi”.

In una città del nord-ovest della Spagna si è nascosta una donna di origini irlandesi, Magdalena Orúe O’Dea, anni prima militante dell’Ira, che ha avuto un ruolo importante nell’organizzazione negli attentati dell’Eta del 1987 in una caserma a Saragozza e in un supermercato Hipercor a Barcellona (32 morti complessivi e innumerevoli feriti). Il cerchio si è ristretto a tre donne, comparse in città dopo il 1987 e dal passato poco chiaro: Inés Marzán, Celia Bayo e María Viana. Nevinson, che va a vivere nella città fingendosi un insegnante di inglese di nome Miguel Centurión, ha il compito di individuare quale tra le tre è la terrorista; a quel punto o troverà delle prove salde per portarla in tribunale oppure dovrà ricorrere a una soluzione drastica, perché non colpisca ancora.

Il tema centrale è se sia lecito uccidere qualcuno quando si ha la ragionevole supposizione che possa determinare la morte di altri. La difficoltà sta nell’intuire il male futuro, comprenderne l’effettiva dimensione, per poterlo arrestare in tempo; capire quali delitti siano necessari e compierli quando possibile perché l’occasione potrebbe non ripresentarsi. L’occasione mancata tormentò lo scrittore Friedrich Reck-Malleczewen, che nel 1932 si trovò a pranzo all’Osteria Bavaria di Monaco a poca distanza da Adolf Hitler. Nel Diario di un miserabile raccontò che non avrebbe esitato a ucciderlo se avesse immaginato la portata del male che quell’uomo avrebbe scatenato; aveva con sé una pistola carica, ma non la usò perché Hitler allora gli pareva soltanto un personaggio miserevole e comico. Reck-Malleczewen morirà a Dachau nel 1945; il suo diario fu ritrovato e pubblicato dopo la guerra.

“Uccidere” – pensa Nevinson, che ben conosce la storia di Reck-Malleczewen – “non è un atto così estremo o difficile o ingiusto se si sa chi si sta uccidendo, quali delitti ha commesso o si prepara a commettere, quanto male si risparmierà facendolo, quante vite innocenti saranno preservate al prezzo di un solo sparo, di tre coltellate o un annegamento, è questione di pochi secondi ed è fatta, è finito e si va avanti, quasi sempre si va avanti, le esistenze sono lunghe e pressoché nulla si ferma mai del tutto”. In fondo si tratta di “un assassinio, nient’altro che un assassinio”, come Dumas fa dire al moschettiere Athos dopo aver ucciso l’ex moglie Milady de Winter. Eppure l’agente segreto, che in passato ha già ucciso due volte, questa volta dubita, è invaso dagli scrupoli, si sente fragile. Anche perché si tratta di una donna e lui, come dice nell’esordio del libro, ha avuto un’educazione all’antica e le donne non si dovrebbero toccare nemmeno con un fiore per quanto in passato sia già successo tante volte, ad esempio ad Anna Bolena e Maria Antonietta.

Come Berta Isla, anche questo è un romanzo tutto al femminile, declinato sui ritratti magistrali di tre donne imperscrutabili tra le quali Nevinson si trova a dover scegliere come Paride tra Atena, Hera e Afrodite. Dovrà trovare una prova che valga abbastanza da giustificare un omicidio oppure accontentarsi di una supposizione, della plausibilità piuttosto che della verità. Ma, soprattutto, dovrà capire in quale di loro alberga il male. Per quanto si pensi di conoscere l’animo umano, l’altro ci può sempre eludere e nella maggior parte dei casi ci elude. “Si può nascondere quasi tutto. La gente crede di no, ma in realtà non ci vuole nessuna abilità particolare, siamo tutti impenetrabili e opachi per natura e la menzogna è invisibile”.

Romanzo sul dubbio, sulla pesantezza della scelta, sulla responsabilità del singolo nei confronti della comunità, sulla giustizia, sulla psicologia del terrorista e degli individui che uccidono ripetutamente, per accumulo; sull’inganno (tema costante in Marías; Nevinson è diventato agente segreto per un inganno tesogli da Tupra quando era uno studente a Oxford), il romanzo interroga il lettore sulla vulnerabilità delle proprie scelte e persino delle azioni dopo che la scelta è stata fatta: sarà vero che basta fare il primo passo, che “il solo passo che costa è il primo” o non si potrà e non sarà meglio invece, in certi casi, tornare indietro, ripercorrere a ritroso il cammino, disfare il già fatto?