Jane Bennett / Nuovi materialismi crescono

Jane Bennett, Materia vibrante. Un'ecologia politica delle cose, tr. Angela Balzano, Timeo, pp. 258, euro 22,00 stampa

Materia vibrante (Vibrant Matter, 2010), ora meritoriamente tradotto da Timeo a quattordici anni dalla sua prima pubblicazione, si inserisce fra i testi di riferimento nel filone filosofico dei cosiddetti “nuovi materialismi” o neo-materialismi, e in particolare di quella componente che guarda oggi a una versione profondamente rinnovata del vitalismo bergsoniano. Più che di una corrente, si tratta infatti di un orizzonte di pensiero molto differenziato, sia al proprio interno che nelle intersezioni con la riflessione postumana e femminista. Materia vibrante presenta otto saggi scritti in tempi diversi, alcuni sviluppati dal nucleo di precedenti articoli o pubblicazioni, ma tutti riconducibili al medesimo programma filosofico e politico: abbandonare “l’idea della materia come passiva, grezza, bruta, inerte” o, detto in breve, riabilitare la “vitalità della materia”.

Dei due intendimenti, quello filosofico appare indubbiamente più sviluppato rispetto a quello politico (sei saggi su otto). Nell’introduzione del libro, l’autrice osservando un assemblaggio di “spazzatura” al margine della strada, ne percepisce la composizione ibrida, indistinta, contigua, a partire da elementi che in origine avremmo definito “naturali” o, per contro, industriali, umani, “culturali”, ecc.  Il peso crescente che “rifiuti” come questi – ad esempio l’espansione delle microplastiche nel tempo e nello spazio – giocano oggi (e soprattutto domani) nella storia e nell’ecologia di questo pianeta è un fattore (chimico, “ambientale”, politico) che chiama in causa anche il nostro antropocentrismo. Questa epifania fa da sfondo a una prima riflessione che porta rapidamente a disconoscere la tradizionale cesura tra natura e cultura ma, soprattutto, a indagare l’ipotesi contraria: in che misura possiamo riconoscere una forma di “agentività” e di autonomia anche alla materia, che si tratti di batteri o di un sommovimento tellurico? Quale è il ruolo del non-umano, che compone anche il nostro corpo con trilioni di microrganismi, e che il pensiero antropocentrico nega invece in quanto inerte oggetto di possibile conquista?

A partire da un pantheon filosofico ben definito – “la tradizione di Democrito, Epicuro, Spinoza, Diderot, Deleuze” – Materia vibrante estende progressivamente il suo cast stellare sulle tracce di un materialismo “non meccanicista” che da duemila anni non ha mai abbandonato il pensiero occidentale. Un “materialismo vibrante” che secondo Bennett si richiama a un principio auto-organizzativo della materia, sintonico con quanto emerge oggi anche dal crinale scientifico e, in particolare, dalla teoria della complessità (Kaufman), ma di cui si troverebbero indizi già nel Kant della Critica del Giudizio e nel concetto di Bildungstrieb. Attraverso alcune delle sue migliori pagine il libro arruola così il trascendentalismo di Thoreau, l’immanentismo di Whitehead, l’entelechia di Hans Driesch e, attraverso Deleuze, anche il post-strutturalismo che conta (Foucault, Derrida). Bennett unisce i puntini, con una prosa accattivante e persuasiva, il suo impianto si richiama al lavoro di Bruno Latour, per quanto riguarda il concetto di “attante” e per i frequenti concatenamenti umani/non umani utilizzati, ma con intenti meno sistematici. D’altro canto non approda nemmeno a un’ontologia radicalmente orizzontale, come quella di Graham Harman o Quentin Meillassoux: non si tratta qui di negare la nostra interessata predilezione per gli umani come specie ma di modificare la nostra percezione del loro posto nel mondo. Come? Riguardo all’annunciata “politica delle cose”, Bennett resta sulle generali, contrapponendo la visione ecologica del suo materialismo vibrante a quella del vecchio ambientalismo.

Molto interessante invece la sua disertazione sul “vitalismo di destra”, analizzato attraverso il credo e l’ontologia delle comunità evangeliche americane nel saggio Cellule staminali e cultura della vita. Secondo Bennett, per il cristiano antiabortista il principio vitale (l’anima) non è incarnato e non si identifica quindi con la materia che, in quanto umana, non si “differenzia” attraverso lo sviluppo cellulare ma si “compie” semmai rispetto al suo progetto – l’organismo. Teleologicamente privilegiata e materialmente sottratta al suo divenire.