Il giorno del giudizio, l’ultimo romanzo di Jan Carson, è ambientato a Ballylack, una piccola cittadina rurale dell’Irlanda del Nord. Protagonista è Hannah Adger, una ragazzina di undici anni che attende con trepidazione l’arrivo dell’estate dopo aver terminato la scuola a giugno. Ma le meritate vacanze non arriveranno: i suoi dieci compagni di classe muoiono infatti di lì a poco per cause inizialmente inspiegabili e l’intera comunità viene sconvolta, travolta dal dolore e dall’incredulità per queste giovani morti improvvise. Presto tra gli abitanti si parla di epidemia mentre iniziano a circolare congetture sulle possibili cause e sui possibili colpevoli; ciò crea notevoli tensioni sociali all’interno del villaggio, risolte successivamente in modo inaspettato.
Gli argomenti trattati nel libro affrontano tematiche varie, quali l’inclusione razziale, il conflitto nordirlandese, le problematiche religiose, le superstizioni – e tra quest’ultime l’Albero degli Stracci ne è elemento centrale. E ancora, con particolare attenzione viene sondato il significato esclusivo e privato della malattia e della morte umana e ci si immagina cosa potrebbe accadere in un ipotetico mondo dell’aldilà: è per essere ancor più incisiva in questa prospettiva, e coinvolgere sensibilmente il proprio lettore, che l’autrice sceglie di utilizzare l’accezione drammatica della morte infantile. È significativo infatti che venga scelta proprio quest’età anagrafica, 11 anni, per i giovani accolti nella sua storia poiché proprio a quest’età più si crede a mondi fantastici in cui tutto è possibile e credibile, e tutto può e deve ancora realizzarsi. Così, per esempio, Hannah parlerà spesso nella sua testa con Gesù in modo diretto, a dimostrarci che la preghiera e l’avvicinamento al Divino è anche, e soprattutto, un atto personale e non è solo condivisione della funzione religiosa. Nessuno conosce questo suo segreto, neppure i suoi genitori, ma forse è per questo che tutti i suoi compagni morti, ora che vivono nella Ballylack dell’aldilà, la vanno a trovare a casa per avere con lei un tipo di comunicazione esclusiva anche nei momenti più intimi-
Con il suo carattere introspettivo e le sue impegnative riflessioni, del tutto inconsuete per l’età, Hannah riesce a emergere attraverso le pagine come personaggio unico, suggestivo e atemporale, con gesti e azioni che appaiono prodigiosi. Carson, attraverso questo singolare e atipico temperamento, ci porta a riflettere sul significato della guarigione umana e sulla conseguente rinascita spirituale e fisica, che diventa nel libro una possibilità di scelta squisitamente personale, riservata e intima e che non conosce età.
A tal proposito, sono di grande impatto le parole utilizzate per raccontare le fasi in cui la malattia è presente nella fanciulla: “Ed è in quel momento che avviene la guarigione. Nel silenzio. Quando nessuno ci spera più. (..) È come nuotare nella luce. Sente il dolore scivolare via. Hannah chiude gli occhi. Lo lascia entrare. Sceglie di vivere. Non ha più paura”. E a seguire, ancora più intense e d’effetto quelle che l’autrice le fa pronunciare in prima persona: “Prima o poi mi convincerò che starò bene. Non è una cosa che succede e basta. È una scelta”. Si noti che i capitoli del libro sono narrati in terza persona, fatto salvo per il primo, “25 giugno – Hannah”, e l’ultimo “14 settembre – Hannah” dove, mentre si demarca la linea temporale degli accadimenti, la voce narrante diviene proprio quella di Hannah.
Il giorno del giudizio, con la sua fitta trama che interseca piani di realtà e magia facendoli quasi allineare in una dimensione che comprende anche la fantasia, è fiducia e rinascita, è solitudine e morte, è religione e credenze popolari, è slancio verso la ricerca continua di un percorso di vita che ciascuno di noi può far proprio, tanto che Hannah potrà dirci: “Il più delle volte sono contenta di avercela fatta. A volte non vorrei essere qui”.