“Sono uscito dal mio tempo per entrare nel suo”, scrive Jan Brokken varcando il cancello dei giardini giavanesi di Buitenzorg, trovandosi proiettato all’improvviso nell’epoca in cui sua madre Olga aveva frequentato quel luogo. La citazione da Sebald, posta a epigrafe del libro, non lascia dubbi sulle intenzioni del narratore, sul suo tentativo di attingere a una verità che costantemente si sottrae, risucchiata dalle fughe del tempo. Impressioni olfattive e visive emanate da una natura magniloquente e delirante precipitano Brokken in un’altra dimensione. A voler essere precisi, l’incantesimo affabulatorio origina dall’ascolto di “I giardini di Buitenzorg” dalla Suite di Giava di Leopol’d Godovskij, una sollecitazione uditiva che amplia il ventaglio del coinvolgimento sensoriale. Un brano che descrive il fascino della cultura indonesiana agli occhi del compositore ebreo nato in Lituania, una delle tante anime baltiche che popolano le pagine dello scrittore.
Ultimo tassello di questo intricato puzzle le lettere che la madre di Brokken scriveva a sua sorella Noor, trasmesse da questa allo scrittore non senza una certa titubanza iniziale. “Sei ancora alla ricerca di tua madre” gli dice quando finalmente decide di spedirgli le missive unitamente ad alcuni album fotografici, una sorta di reportage fatto di parole e immagini. Da qui origina questo singolare libro, mescolanza di notazioni scientifiche, religiose, artistiche e di storie provenienti da luoghi remoti e misteriosi. La figura della madre prende forma con il procedere delle pagine, una donna curiosa che non esita immergersi nelle complicate trame delle lingue indonesiane, discretamente versata nel pianoforte, appassionata della vita. Insieme a lei il marito Han, il quale con decisione inaspettata decide di studiare teologia nella lontana Indonesia.
Brokken inscena un vero e proprio viaggio nello spazio e nel tempo, non solo recuperando le sagome sbiadite dei suoi genitori, ma anche mettendo in contatto continenti e culture completamente diverse. Di tutto questo la Suite di Giava è simbolo, un brano musicale nel quale Godovskij riesce a ricreare il fascino astratto del gamelan balinese (ensemble di strumenti a percussione), fondendolo con la tradizione del pianismo occidentale. La musica occupa un posto rilevante nel libro; scaturisce dalla vocazione al viaggio di derivazione romantica, evoca mondi sconosciuti e atmosfere inebrianti. Personaggi oggi dimenticati come Paul Seelig balenano fra le righe, con la loro prodigiosa conoscenza della musica giavanese e per l’aspetto, ormai del tutto simile a quello dei nativi. Olga ama la mescolanza delle persone, mentre Brokken ci ricorda la violenza del colonialismo e della tratta degli schiavi. Rivolte contro le autorità coloniali vengono capeggiate da uomini dotati di presunti poteri sovrannaturali come Petta Barang, sorta di misterioso e affascinante sciamano. Olga cerca di comprendere la realtà che la circonda, ma ben presto si rende conto che dietro ogni cosa se ne cela un’altra, come in un gioco di scatole cinesi; l’Oriente resta fondamentalmente inconoscibile. La guerra si materializza come un incubo, nelle irruzioni dei giapponesi che bruciano libri e distruggono il materiale accumulato da Han per la sua tesi, e che costringono i suoi genitori in un campo di prigionia. Anche se sopravviveranno, nulla sarà più come prima.
Atmosfere fiabesche punteggiano il libro: il fiore più grande della terra, durante la fioritura, emana un puzzo cadaverico, mentre il cuculo lamentoso annuncia la pioggia e la morte. La natura ci ricorda la nostra finitezza. Per questo scrivere significa disseppellire i ricordi, restituendoli a nuova vita. Un lavoro difficile e insidioso per chi, come Brokken, ha una sensibilità spiccata. La stessa Olga, una volta, lo aveva avvertito a non “perdersi nel passato”. Lo scrittore decide così di non fare più ritorno in Indonesia, forse perché ha percepito che il confine fra i morti e i vivi si sta dissolvendo pericolosamente, perché ci si può sporgere sull’abisso solo per un istante, ma poi bisogna ritrarre lo sguardo, per non venirne inghiottiti.