Ho sempre sostenuto che una delle differenze più evidenti fra la letteratura americana e quella europea, tranne la francese e la britannica, sia l’ampio respiro e orizzonte che gli autori riescono a imprimere alle loro storie. Alcuni romanzi, come nel caso di questo testo di James McBride, sembrano espandersi sempre di più, riescono a contenere aspetti universali affrontando una serie di eventi che coinvolgono le vite di tutti i lettori e la società in generale, spesso invece la narrativa europea sembra involversi, richiudersi su se stessa senza l’ambizione di allargare il proprio sguardo.
McBride ci parla dell’America degli anni ’30, quando la maggior parte del suo territorio viene invaso da immigrati ebrei provenienti da tutta Europa per sfuggire alle discriminazioni già in atto nei paesi dell’est. Moshe si trasferisce a Pottstown, nella provincia americana della Pennsylvania, e gestisce un teatro. È un uomo docile e buono, che vive insieme ad altri ebrei e neri che non possono permettersi un quartiere migliore di Chicken Hill. Chona è la figlia del proprietario di un emporio, una ragazza bellissima che zoppica dopo aver contratto la polio a quattro anni. Lui si innamora subito e i due si sposano. Quando Chona prende in mano la gestione dell’emporio comincia ad aiutare gli abitanti del luogo dando loro prodotti di prima necessità che sa che non potranno mai pagare. Gli affari di Moshe cominciano ad andare bene, tanto che propone alla moglie di sportarsi in un quartiere più centrale: ma la donna rifiuta affermando che le sue radici sono lì.
Nella cittadina, una volta l’anno, sfila il corteo del Ku Klux Clan che accusa gli ebrei e i neri di contaminare l’America. Ma Chona non ci sta, e scrive lettere e articoli che accusano i partecipanti di razzismo e per questo viene guardata con malcelato risentimento dagli abitanti benestanti. E se il romanzo ci parla di solidarietà tra i più deboli, tra gli emarginati, ci parla anche dell’amore totale tra Moshe e Chona, con una dedizione assoluta che li accompagnerà per tutta la vita. Non tralascia però un atto di accusa verso la presunzione dei bianchi che, nonostante si coalizzino per emarginare i diversi, non riescono a essere onesti tra loro inseguendo il mito del denaro e del successo.
La solidarietà della coppia raggiunge l’apice quando i due, che non hanno avuto figli, decidono di nascondere Dodo, un bimbo nero di dodici anni che ha appena perso la madre, sordo per un incidente, che le autorità vorrebbero rinchiudere in una scuola speciale per ragazzi senza possibilità economiche con gravi problemi fisici e mentali. È la solidarietà tra poveri, l’inclusività, la coabitazione di culture diverse, il rifiuto delle discriminazioni, l’amore come forma massima di accettazione, la dedizione verso gli altri a spiccare in un ambiente umile e dimesso dove i valori fondamentali sono sacri. I loro diritti vengono negati da un’altra parte della società che fa della prevaricazione la sua ragione di essere, il modo per detenere il potere. Un romanzo che ci mostra che le ingiustizie di più di cento anni fa non siano, per la maggior parte, ancora risolte.