Dove la giustizia è un territorio malsicuro, destini individuali ondeggiano sul baratro dell’incertezza. I Balcani di Ivo Andrić ci consegnano storie apparentemente minute, in realtà simboliche di tragedie collettive. Il caso di Stevan Karajan, libro di racconti sinora inedito in Italia in quanto considerato minore, risulta emblematico a questo proposito. Molteplici variazioni sul tema dell’ingiustizia screziano le coscienze dei personaggi. Minacciato dalla guerra e dai bombardamenti sempre più pressanti, Stevan Karajan perde tutta la sua algida alterigia. La sua mente va in pezzi, più per l’ansia di ciò che potrebbe accadere che per i fatti reali. La sua ricchezza, accumulata con una rapida ascesa sociale, si rivela fallace. La sicurezza che si credeva eterna cede sotto i colpi della Storia. Qualsiasi prospettiva futura si sgretola di fronte all’esigenza di sopravvivere.
Andrić ha il dono di far balenare ampie prospettive nel microcosmo delle vicende individuali. La terra, nella sua irreale bellezza, si mostra agli occhi stanchi dei contadini come un effimero paradiso. Concreta è invece l’ombra della forca, che minaccia chi non riesce a tenere a freno la lingua. La maledizione del denaro, distribuito in modo disomogeneo, infesta l’umanità; la disuguaglianza nutre l’ingiustizia.
Di magnifica, simbolica pregnanza il racconto La conversazione. Il dilemma di Avdić, il quale non ha denaro sufficiente per comprare sia il sale, sia una candela, pone la scelta fra una vita insipida e una priva di luce. Il buio inghiotte le esistenze degli uomini. Nel racconto Ćorkan e la Tedesca i bersagli per il tirassegno di una fiera paesana generano una passione generale per le armi da fuoco, simbolo di un mondo sconvolto dalle guerre. Come in Melancolia della resistenza di Krasznahorkai, l’improvviso arrivo del circo introduce nella quotidianità una forza oscura che infiamma la cittadina. L’ordine viene sovvertito, mentre il caos si diffonde come una piaga. Il sentimento di Ćorkan per l’equilibrista, simbolo di un mondo in bilico, assume proporzioni maniacali; alla fine verrà punito per la sua passione, per il suo insano desiderio. È il racconto più visionario della raccolta. Le stelle nel cielo si sgretolano e cadono quando le autorità intimano al circo di lasciare la cittadina. Tutto precipita e svanisce come in sogno. Il “terribile rapporto servo-padrone” si insinua nella narrazione, tratteggiando una realtà profondamente ingiusta. Che le cose possano mutare è fallace utopia. La ribellione del servo Siman diviene la sua rovina.
Con questa raccolta l’opera di Andrić si arricchisce di un ulteriore, significativo tassello. Il suo ritratto, solitamente limitato alle opere maggiori (La cronaca di Travnik e Il ponte sulla Drina), acquisisce nuove sfumature, cromatismi essenziali per definirne il carattere e l’indubbia grandezza.