Poeta della memoria Ivan Bunin, in senso quasi proustiano, il cui sguardo appare costantemente rivolto a un passato irrecuperabile, trasfigurato dalla nostalgia. Un mondo intessuto di suoni argentini, come quello di una chitarra che narra storie antiche di tempi felici, di odori attraenti, anche quando esalano dal bestiame e dalla vita di campagna, di colori ultraterreni. Percezioni sensoriali in grado di risucchiare il narratore nelle spirali del tempo, evocando un passato che si credeva estinto. In La vita di Arsen’ev lo scrittore, il primo di lingua russa a ricevere il Nobel nel 1933, plasma una nuova forma narrativa, definita dal poeta Vladislav Chodasevič come “un’autobiografia di una persona immaginaria”. Il protagonista somiglia all’autore, ma non può incarnarsi interamente in lui per la distanza temporale che separa il dato vissuto dal momento della scrittura, per il fluttuare instabile della memoria. L’infanzia è avvolta da un manto di tristezza, come una tomba in un cimitero di campagna.
Bunin ha una sensibilità spiccata per la morte. Per questo il creato gli appare bello, ma anche malinconico. Il suo primo incontro con l’oscura signora è casuale; un giorno Sen’ka precipita con il cavallo in un burrone. Le speranze di salvarlo si rivelano vane. L’idea del cadavere abbandonato, che qualcuno dovrà vegliare perché gli animali non ne facciano scempio, è terribile. La morte colma il libro della sua presenza. Alcuni ricordi, inspiegabilmente, si radicano nella memoria, mentre altri svaniscono senza lasciare traccia. La prima malattia seria è già un viaggio ai confini dell’ignoto e del non essere. Il desiderio, l’avidità di Dio scaturisce naturale da questa esperienza. Agli aneliti religiosi si contrappone la consapevolezza del caso, che domina i destini umani. La fascinazione per le armi da taglio descrive una crudeltà già insita nel bambino, se pur apparentemente del tutto inoffensivo. La luce e la tenebra si danno battaglia. Che ogni cosa al mondo sia senza scopo è chiaro al fanciullo; il mistero dell’esistenza atterrisce. Presentimenti di immortalità fanno balenare i ricordi di arcane vite antecedenti. I primi fremiti sessuali scuotono le carni del protagonista. Gli anni dell’adolescenza palpitano di vita, più immaginaria che reale.
Bunin mostra il formarsi della coscienza, il progressivo emergere dalle nebbie della fantasia. L’anima russa si mostra nel suo inestricabile dualismo; da un lato l’avidità di guadagno, dall’altro i selvaggi impulsi di prodigalità. L’ozio, il torpore alla Oblomov affliggono la nobiltà spingendola giù per la china dell’impoverimento. L’ingresso al Ginnasio rappresenta una cesura fra l’esistenza libera e priva di confini della campagna e le costrizioni della città. Arsen’ev è un instancabile osservatore della natura: ne percepisce il respiro, ne sente la vita brulicante fra le fronde. La sensibilità alla luce e all’aria lo rendono particolarmente attento alle mutazioni geografiche e stagionali. La notte, alla maniera romantica, esercita un’enorme fascinazione su di lui. La felicità si trova in un treno imbiancato dalla neve, avvolto in un pulviscolo indistinto, lanciato nelle ignote lontananze della Russia, nel contrasto fra i suoi comodi interni e il buio che lo circonda. L’immagine del treno ritorna sovente nella narrazione, con tutto il suo incomprensibile fascino. La locomotiva solca gli orizzonti di una Russia che non c’è più, che si sta estinguendo così come svanisce l’io passato del protagonista. Il contrasto fra il paesaggio rurale e quello cittadino è enorme. Il transito di un treno funebre è un epicedio per una realtà al tramonto. A Sebastopoli, Arsen’ev percepisce il fascino delle cose lontane e ormai in pace, eterne, familiari e ignote al tempo stesso. L’entusiasmo rivoluzionario, la fede nel futuro, gli obblighi nei confronti del popolo sono estranei ad Arsen’ev quanto a Bunin. Lo scrittore abbandonerà Mosca per trasferirsi definitivamente a Parigi nel 1919, lasciandosi alle spalle le devastazioni della rivoluzione e l’eclissi di una Russia leggendaria, sempre vagheggiata con amaro rimpianto.