Iulian Ciocan / Nostalgia e Utopie sovietiche

Iulian Ciocan, Prima che Brežnev morisse, tr. Francesco Testa, Bottega Errante Edizioni, pp. 144, euro 17,00 stampa, euro 10,99 epub

L’elefantiaca impalcatura delle utopie sovietiche traballa sotto le bordate narrative, ironiche e graffianti, di Iulian Ciocan, scrittore moldavo nato nell’URSS apparentemente solida e indistruttibile del 1968. Prima che Brežnev morisse è popolato da un’umanità derelitta, alle prese con le problematiche della quotidianità. L’autore stesso rivela le ragioni della sua scrittura. La sterminata letteratura proletaria e filosovietica non è di aiuto nel definire una dimensione molto complessa. I grandi autori dissidenti, primo fra tutti Solženicyn, hanno descritto magistralmente la realtà concentrazionaria, mentre pochi si sono dedicati ai dettagli della vita quotidiana, che trovano qui una chiara declinazione. La crisi costringe la popolazione a vivere in stanze sovraffollate nelle cosiddette kommunalki, nelle quali più nuclei familiari condividono il bagno e la cucina, in un’orrenda intimità che genera litigi furiosi. I miseri stipendi non bastano per pagare i mobili, acquistati a credito, e per riempire lo stomaco. Agli uomini, afflitti da un senso di inutilità assoluta, non resta che affogare i dispiaceri nella vodka, mentre obese consorti sfiorite prima del tempo riversano su di loro la frustrazione di una vita insensata. Caseggiati fatiscenti, soggetti a guasti e danni continui, emanano odori insopportabili. Pomodori marci lanciati da teppistelli umiliano i reduci della grande guerra patriottica, costretti a nascondersi come delinquenti. Patetici discorsi pronunciati dagli scrittori del popolo, quasi sempre privi di autentico talento letterario, vengono trasmessi alla radio; parlano di primati produttivi, diffondono utopie logore e inservibili per l’uomo comune. Stimati rappresentati del Soviet vengono sorpresi in frettolosi amplessi con attempate segretarie, rivelando l’infimo livello della propria caratura morale. Vite monotone, fatte di futili automatismi, scorrono di fronte ai nostri occhi.

Recentemente il regista Kiril Serebrennikov in Summer (Leto) ha dato veste filmica all’Unione Sovietica di Brežnev, percorsa da un’ossessione musicale che adombra un sogno libertario. Anche nel libro di Ciocan i giovani ascoltano musica occidentale e per questo, agli occhi degli adulti, minano la sicurezza del proprio Paese. Nei diversi capitoli che compongono il libro i personaggi si mescolano, si incontrano in imprevedibili traiettorie. La narrazione dell’epoca di Brežnev fa intravedere l’abisso della transizione postcomunista. La menzogna della società priva di oppressi e di oppressori, dei sogni realizzati e delle conquiste viene smascherata con lucido sarcasmo. Il ritratto dell’uomo sovietico è tracciato con una vena grottesca non immemore della lezione gogoliana. Un giorno la radio annuncia la morte di Brežnev. Il giovane Iulian, alter ego dello scrittore, non avrebbe mai immaginato che il segretario generale potesse morire. La drammatica epifania della sua finitezza preannuncia il crollo del blocco sovietico. Ciocan narra ciò che ha vissuto in prima persona, l’infanzia in un Paese sovietico alla periferia dell’impero. Ne scaturisce un libro diretto, amaro e divertente, profondamente umano.