Isabella Santacroce / Polifonia d’amore

Isabella Santacroce, Magnificat Amour, il Saggiatore, pp. 485, euro 19,00 stampa, euro 8,99 epub

Una scrittrice che vive. Molteplici creature protagoniste di quest’ultimo libro di Isabella Santacroce dopo anni di silenzio. Accadimenti di realtà per Lucrezia e Antonia, cugine, belle e bruttine insieme, per Suor Annetta assunta nelle ombre del bene nel libro a cui lavora, Verso Dio, e poi lei, l’autrice dentro il Diario di Isabella (molteplici paragrafi in proposito) che irrompe concupiscendo le quasi 500 pagine di Magnificat Amour girando gli occhi al passato di Fluo, Luminal, Destroy, opere dove si è voluta presente, e oggi accostate per discriminare il tempo dall’attualità d’epoca. La molteplicità dei personaggi curva lo spazio in cui essi viaggiano e pensano, mentre la fonte insostituibile è rappresentata da Antonia Pozzi, poetessa perduta nell’onda sonora delle sensazioni (Montale scrisse) e per questo presenza ben forte nelle immagini di luce dominante care a Santacroce.

Non vale, qui, inseguire la trama – perché dovremmo fare nostro quello spazio “inospitale” già perseguito per decenni dalla scrittrice? Riccione e Roma sono parte della disciplina d’amore, si regolano sulle idee che entrano nella poesia alla stregua di un’antologia del sé: miscuglio di probabilità vitali che Santacroce tiene in pugno. Facendo di Magnificat Amour almanacco parlante della propria esistenza terrena, territoriale, geologica. E, innanzitutto, poetica.

Progrediamo invece nei sobborghi dove appaiono Dickinson e Woolf mentre varcano le soglie del nostro universo, lacerando senza mezzi termini la divisione fra letteratura e realtà, dove Santacroce fa accadere i prodigi di una prosa mai casta e anzi fastosa e anatomica. E proprio nelle strade dei sobborghi incontriamo i personaggi declamanti la propria visione, ricchissima di particolari, almeno quanto sanno fare una prosatrice e una religiosa entrambe in cerca di nuove spine dorsali su cui posare i fianchi. Adolescenza e maturità, se così può dirsi, in tre decenni si sovrappongono nel pensiero della scrittrice, al dunque abitato da una materia trasmutata presto in parole che assomigliano miracolosamente ai corpi voluti dal mondo desideroso di coraggio. Di sguardo rivolto veggente verso l’interno e politico verso l’esterno. Veggente perché da “estranea” legge altri confini. Politico, perché Santacroce lancia la sua scrittura sontuosa nella corrente codarda e vigliacca, miserabile quanto mai, del tempo attuale.

Storia d’amore, inoltre, instancabile riconoscimento di quattro anni di scrittura che sorge Dal diario di Isabella, ricordando come Fluo nacque all’aperto di un notturno rivierasco e probabilmente stellato. Fra le dita, una lente d’ingrandimento serviva allora, e più serve ora che stiamo in un tempo dove vorrebbero cancellare le Parole di Antonia Pozzi, o riscriverle alcune menti morte. Accogliamo questi decenni raccolti nella voce “sinfonica” (scrive Aldo Nove) e creatrice irriducibile di mondi resistenti. Dal caos, troviamo barlumi d’amore in questa discordanza.