Irene Vallejo / Poeti, regine e divinità

Irene Vallejo, Il mio arco riposa muto, tr. di Monica R. Bedana, Bompiani, pp. 224, euro 18,00 stampa, euro 11,99 epub

Nell’immaginario collettivo l’Eneide viene ricordata come il seguito ideale di Iliade e Odissea, la grande celebrazione di Roma e della gens Iulia, il canto della pietas. Un crocevia di culture e suggestioni antiche accolto dalla filologa spagnola Irene Vallejo nel romanzo Il mio arco riposa muto. L’autrice intreccia due piani narrativi: la relazione tra Enea ed Elissa – uno degli episodi più famosi del poema – raccontata attraverso i loro punti di vista e quelli di Anna, la sorella di lei, e del dio Eros; il travaglio interiore di Publio Virgilio Marone nella Roma di Augusto nel periodo di stesura del testo.

La scrittura riporta in vita figure mitologiche e storiche con una prosa lirica e insieme di ampio respiro, imperniata sulle percezioni sensoriali, e una lingua intima e avvolgente, capace di restituire lo sfaldamento progressivo dell’equilibrio tra i desideri individuali e il compimento di un destino già stabilito. I protagonisti di Vallejo non si limitano ad attraversare un mondo nuovo, ma sono chiamati loro in primis a dargli forma.

Da un lato, Enea approda sulle coste di Cartagine dopo una violenta tempesta e s’invaghisce della regina, sulle sue spalle pesano i ricordi di dieci anni di conflitti e la profezia che lo obbliga a raggiungere l’Italia per fondare un impero. Dall’altro, Virgilio non può rifiutarsi di portare a termine l’opera richiesta dall’imperatore, nonostante questo significhi forzare la sua ispirazione. Entrambi conoscono la durezza dell’esilio e la malinconia delle avversità, ne rimangono paralizzati; allo stesso modo i personaggi intorno a loro non possono sottrarsi al fato: Elissa, da sovrana in fuga e donna innamorata, condivide il sogno di pace di Enea, ma il suo cammino è macchiato di sangue; Anna usa la sensibilità e l’intelligenza a sua disposizione per proteggere la famiglia nata dall’unione tra la sorella e l’eroe, invece diventa uno strumento di separazione; anche Eros trama per rafforzare il loro amore, eppure nulla può sulla genuina casualità alla base dei sentimenti umani.

In parallelo, le popolazioni originarie dei territori africani si accingono ad attaccare i cartaginesi, mentre l’odio tra questi ultimi e i troiani appena sbarcati viene fomentato dal pregiudizio reciproco e dall’uccisione dei generali di Elissa, crimine attribuito ai nuovi arrivati. Si prepara una guerra, ma stavolta non è nelle stelle di Enea prendervi parte: “A Cartagine inizia la battaglia, ma questa volta il mio arco riposa muto ed estraneo al sibilo delle frecce infuocate”.

Il percorso di ciascuno, ci informa Eros nel finale, trova la sua meta prestabilita. Lieta o tragica, gloriosa o solitaria, è comunque il fallimento di ogni opposizione: la regina soccombe, la divinità osserva le emozioni senza mai poterne sentire addosso il calore e la potenza immaginativa, Enea raggiunge la penisola e Virgilio cede al dovere. A fare la differenza, tuttavia, è la postura con cui affrontano la loro sorte, nella dignità sommessa della loro resa si cela una scintilla di ribellione. Il poeta introverso e solitario compone versi commemorativi, ma li rende testimonianza del dolore degli sconfitti, del coraggio dei dimenticati. “Adesso so che la sconfitta è sempre il punto di partenza di una grande storia”, poiché è proprio lì lo splendore umano. Così le parole, ancora una volta, diventano l’unica forma di vittoria che conta.