Irène Némirovsky / Quando la Storia prende tutta un’altra dimensione

Irène Némirovsky, Lettere di una vita, cura di Olivier Philipponnat, tr. di Laura Frausin Guarino, Adelphi, pp. 464, euro 24,00 stampa, euro 16,99 epub

Quando si nomina Irène Némirovsky il primo pensiero torna al periodo più buio del Novecento e alle vite stroncate durante l’Olocausto; poi di solito si pensa ai suoi libri, alla sua vita da scrittrice dell’alta borghesia. Con questo volume Adelphi ci permette di vedere finalmente la Irène donna, in tutta la sua complessità. Il libro è la raccolta della corrispondenza dal 1913 al 1945 divisa, saggiamente, in cinque periodi. Questi ultimi segnano anche i cambiamenti della vita di Némirovsky nel proprio percorso di donna: prima giovane spensierata, in preda alla febbre delle feste e ai giochi amorosi, agli intrecci tra studi e conoscenze, passando per le villeggiature e gli impegni familiari che tanto la opprimono quanto gratificano come figlia (“Spensieratezza”). Poi, la sezione “Celebrità” la segue come moglie affermata nella vita pubblica di un paese come la Francia, che sa già a inizio secolo riconoscere alle donne, almeno in certo grado, ruoli di spicco nella cultura. A seguire la Storia incrinerà questo respiro leggero (nel senso calviniano) e lo trasformerà in una triste cappa fino all’epilogo, dalla sezione “Incertezza” in poi.

Gli scambi epistolari raccontano una vita di relazioni in un mondo di lustrini e apparenze in rapida trasformazione, visto dagli occhi di una donna consapevole del proprio ruolo: il pretendere un compenso o la rettifica delle affermazioni di un giornalista (maschio) che non si prende la briga di interpellarla (come avrebbe certamente fatto con un uomo), o ancora il far notare con dovuto modo la presa di distanza da un certo intellettuale o autore ci raccontano di una donna libera dai conformismi ma soprattutto libera nel pensiero.

Le lettere restituiscono la figura di una intellettuale mai sazia, che legge avidamente, che si confronta e che fa dello scrivere un vero e proprio mezzo di definizione della realtà. La scrittura diventa non solo medium ma essa stessa viva presenza, visione del mondo e compagna con la quale attraversarne le strade. Le ultime due sezioni, “Angoscia” e “Incubo”, rendono di Némirovsky la fragilità come donna e al contempo la grandissima determinazione di una scrittrice che, pur oppressa dalla Storia, continua il proprio cammino con e tra le parole, intessendo reti di consapevolezza, aprendo gli occhi a chi non comprende i cambiamenti, chiedendo anche aiuto; sempre con lievità, pur nella tragedia, si intravede tra le righe la figura di quella ragazza che vuole tenacemente continuare a sorridere, che sa che le sue figlie saranno al sicuro (dettagliata e drammatica la lettera nella quale le affida alla governante, allestendo la vendita dei beni perché quest’ultima possa avere i mezzi del mantenimento). Dalla sua, la scrittrice ha sempre la certezza di non essere dimenticata perché la sua scrittura le sopravviverà.

Le ultime lettere contenute sono quelle del marito a parenti, amici e conoscenti che potrebbero spendersi per il suo rilascio. Il libro si chiude con una serie di estratti di interviste che ribadiscono la dimensione a tutto tondo di una donna, una madre, una scrittrice capace di solleticare la curiosità della società francese perché capace di incarnare tutti i ruoli da lei scelti con esuberanza ma al contempo con eleganza e pragmaticità; tra queste voglio riportare lo scambio in “Le Petit Journal” del 5 ottobre 1935:
Signora, che fa quando è triste?
IH: Lavoro, ed è un rimedio che consiglio a tutti.
Ma lavora a un’opera di fantasia o si impone piuttosto materie nuove?
IH: Lavoro a un’opera di fantasia. È così che evado meglio la realtà.