Pulp Libri questo mese ospita Irene Di Caccamo che per la rubrica Paragrafi d’autore sceglie di porre l’attenzione su Marguerite Duras, pseudonimo di Marguerite Donnadieu, una figura femminile dalla vita complessa e costellata di lutti e lotte. La nostra Irene ci racconta di donne non completamente comprese, geniali, troppo per essere totalmente apprezzate in una società a predominanza maschile.
Scrivere.
Non posso.
Nessuno può.
Bisogna dirlo: non si può.
E si scrive.
È l’ignoto che abbiamo dentro: scrivere vuol dire raggiungerlo. E’ questo o niente.Si può parlare della malattia dello scrivere.
Non è semplice quello che tento di dire, ma credo che ci possiamo capire, compagni di tutti i paesi.
C’è una pazzia nello scrivere che si ha dentro, una pazzia furiosa ma non è per questo che si è pazzi. Anzi.
La scrittura è l’ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si sta per scrivere e in piena lucidità.
È l’ignoto di sé, della propria mente, del proprio corpo. Non è neppure una riflessione, scrivere, è una facoltà che si ha al di fuori di noi, parallelamente a noi, di un altro che appare e si fa aventi, invisibile, dotato di pensiero, d’ira, e che talvolta, per questo stesso motivo, è in pericolo di rimetterci la vita.
Se si sapesse qualcosa di quello che si scriverà, prima di farlo, prima di scrivere, non si scriverebbe mai. Sarebbe inutile.
Scrivere è tentare di sapere cosa si scriverebbe se si scrivesse. Lo sappiamo solo dopo. Prima, è la domanda più pericolosa che ci possiamo rivolgere. Ma è anche la più ricorrente.
Lo scritto arriva come il vento, è nudo, è inchiostro, è lo scritto, e passa come niente altro passa nella vita, niente di più, se non la vita stessa.
(Margherite Duras, Scrivere, Feltrinelli, tr. Leonella Prato Caruso)
Leggere Marguerite Duras è uno straordinario acceleratore mentale. Capace di indagare in ogni testo il senso profondo della scrittura con il rigore della parola. Parola scarnificata, nuda. Ferita. Margherite annoda le parole, le ancora con forza all’essenziale, sceglie la lingua dell’inconscio. Pone in quel buio il suo sguardo rarefatto. Indaga la scrittura attraverso la scrittura, della scrittura fa indagine di sé. Non si sa perché si scrive, di certo non si può saperlo fino in fondo. Ci dice. La scrittura è bisogno, ordine al caos o senso di sé, o ancora vertigine, spaesamento, vuoto? Sembra domandare. O ancora. La scrittura cura? O ancora prima. Cos’è la scrittura? Leggerla è condensare il senso profondo di una domanda. È un domandare incandescente, è porre le parole in una bruciante precisione. È, al tempo stesso, comprensione nuova e verticale e vertiginosa.
Irene Di Caccamo, vive e lavora a Roma. Di professione doppiatrice e dialoghista, esordisce nel 2011 con L’amore imperfetto (Nutrimenti). Il suo secondo romanzo Dio della macchina da scrivere è stato pubblicato da La Nave di Teseo nel 2018 e omaggia la poetessa Anne Sexton.