Intervista con Valerio Evangelisti

Il fantasma di Eymerich sembra volersi riconnettere con più decisione di altri romanzi recenti del ciclo, alle origini del personaggio: la teoria cosmologica dell’Alfa e dell’Omega alla base della trama si attiene anche alla saga stessa dell’Inquisitore. Il primo romanzo e l’ultimo si ricongiungono: ricompare l’astronave Malpertuis che – così hai detto in varie interviste – aggiungesti come elemento fantascientifico perché Nicholas Eymerich, Inquisitore – la prima avventura della serie – potesse partecipare al Premio Urania nel lontano 1993, dando origine al successo che tutti conosciamo. Da cosa è nata quest’idea quasi metanarrativa: si è trattato di un filo rosso emerso casualmente durante la scrittura e che poi hai deciso di seguire, o era tutto preordinato fin dall’inizio ?

Non era interamente preordinato, ma è emerso gradualmente. Direi che l’origine è stata il racconto Venom, compreso in Metallo urlante. Lì, per la prima volta, Eymerich appare come una sorta di demiurgo, capace di dominare le epoche. Da quel momento ho cercato di collegare, per fili sottili, un romanzo all’altro, in vista di un fine che ancora non mi era chiaro. Alcuni legami li ho poi tralasciati, altri li ho sviluppati. Il disegno ultimo è emerso di conseguenza: una specie di cosmogonia terrificante, fondata su una concezione autoritaria e fanatica. Quasi la stessa dell’Antico Testamento, se vogliamo, con in più un riavvolgersi del tempo. Al centro, come nello gnosticismo, una mente crudele.

Il bel saggio Nicolas Eymerich: il lettore e l’immaginario in Valerio Evangelisti, appena pubblicato da Odoya, che Alberto Sebastiani ti ha dedicato, sembra riconsiderare tutta la tua opera letteraria in un unità compatta – “One Big Novel”, come scrive lui parafrasando uno dei tuoi titoli – che collegherebbe in un solo rivolo creativo i sette cicli, apparentemente separati, in cui finora si è articolata: il ciclo di Eymerich; il ciclo del Metallo; il ciclo di Nostradamus; il ciclo Americano; il ciclo Messicano; il ciclo dei Pirati; più la Trilogia Sociale. Ti riconosci in questa visione d’insieme o è solo un’affascinante interpretazione critica che scavalca le stesse intenzioni dell’autore ? Se una volontà unitaria era consapevole fin dall’inizio la potenza demiurgica di Eymerich a maggior ragione sarebbe un riflesso di quella del suo creatore: come ti vedi nel ruolo del Demiurgo?

Sebastiani ha saputo cogliere nessi che a volte erano sfuggiti anche a me, nel senso che alcune scelte erano consapevoli, altre meno. Terrei fuori da questo i tre volumi de Il sole dell’avvenire, che nascevano con altri intenti. In quel caso, l’universo non è certamente quello di Eymerich. Invece Magus è sicuramente un abbozzo del disegno che intendevo sviluppare, anche se poi è risultato un po’ diverso. Quanto al ruolo del demiurgo, credo che sia proprio di ogni autore in rapporto alla sua opera.

Veniamo all’Inquisitore. In questo romanzo, come nel precedente Eymerich risorge, lo vediamo ormai alle soglie della vecchiaia, talvolta malfermo sulle gambe, più vulnerabile nel corpo e soprattutto nella mente: certi prodigi inspiegabili come l’apparizione fantomatica del proprio doppio fanno vacillare il suo coraggio e i begli occhi di Caterina di Svezia mettono in grave crisi la sua imperturbabilità. Anche nei rapporti con il prossimo appare più riflessivo e meno intransigente, ha ormai un fido gruppo di sodali per i quali, se non affetto, mostra almeno aperta simpatia – Padre Jacinto, Gombau, Berjavel – e le sue azioni e decisioni, per quanto resti sempre aspro e se occorre spietato, non si confanno più alla nuda crudeltà di San Malvagio. Diceva il poeta W.B. Yeats: “Men improve with the years”. Questo vale anche per Padre Nicolas?

C’è stata indubbiamente un’evoluzione del personaggio. Come avrei potuto condurlo per dodici avventure, a volte distanti anni, senza che in lui cambiasse nulla? D’altra parte, ciò ha coinciso con una mia trasformazione personale. Se, quando iniziai a scrivere il ciclo, Eymerich poteva in qualche misura somigliarmi (in peggio, molto in peggio), in seguito io sono diventato meno asociale, e lui di conseguenza. Inoltre, l’avanzare degli anni mi ha fatto conoscere i problemi dell’età avanzata. Anche questo ho proiettato sul mio personaggio (stavolta in meglio, ahimè). A ben vedere, una parte del ciclo di Eymerich è una mia autobiografia distorta.

Il romanzo precedente era, se così possiamo dire, on the road – costruito sul movimento, sugli spostamenti continui da un luogo all’altro – questo invece ha uno scenario statico, ed estremamente efficace: la Roma medievale in totale decadenza. Le metafore che rimandano all’attualità appaiono evidenti: una città ingovernabile e irredimibile, condannata alla corruzione e al malaffare ab origine, in cui le bande criminali e i potentati collusi si contendono lo sfruttamento avido delle risorse e il popolo assiste impotente al proprio sfruttamento schierandosi ciecamente con il mestatore più convincente nel fare appello ai suoi istinti peggiori per meglio manipolarlo. La soluzione drastica che Eymerich auspicherebbe fallisce e perfino lui rinuncia ed è costretto a ritirarsi con sollievo (“Sono stanco dell’Italia” – dice in un punto). Questo scacco finale del Magister riflette in qualche modo il tuo pessimismo verso la situazione politica attuale ?

Certamente è difficile essere ottimisti, di questi tempi. Va tuttavia tenuto presente che, quando la capacità di sopportazione varca un certo limite, subentra una reazione. Mi ha confortato l’esplosione improvvisa della Francia col movimento dei gilets jaunes (con tutte le ambiguità del caso). Forse, se avessi concluso oggi il mio romanzo, qualche lembo di speranza lo avrei lasciato. O forse no, perché un sano pessimismo serve da ammonimento.

Particolarmente intrigante è la ricostruzione dettagliata delle fasi finali dello Scisma d’Occidente, della lotta fra Avignone e Roma e fra Papa e Antipapa. I nomi dei personaggi e le descrizioni degli avvenimenti sono molto precisi e circostanziati; come sempre nei tuoi libri, una corposa bibliografia compare in appendice. Puoi precisarci meglio quanto dello scenario e dei personaggi principali è fattuale e quanto immaginario? Mitra a parte, c’erano davvero culti neopagani e oscure macchinazioni eretiche a mescolarsi con le manovre politiche delle varie fazioni ?

Mitra l’ho inserito io, dopo la visione di un documentario in cui si vedeva una sua raffigurazione conservata nei sotterranei vaticani. La sussistenza di culti pagani nel cuore della Chiesa è denunciata da vari secoli. Ma quella è, per quanto mi riguarda, invenzione letteraria, Invece, la dinamica dello scisma è documentata con un certo rigore, sulla base di testi spesso dimenticati. Sono molto pignolo in queste cose. Voglio che i lettori abbiano fiducia nelle mie ricostruzioni. Ne gode anche il racconto fittizio costruitovi sopra.

Un elemento che era sempre stato presente nei tuoi romanzi ma più in sordina, mentre in questo emerge in modo saliente, è una fortissima ironia che diventa in certi casi sarcasmo, in altri aperta comicità: la figura di Caterina da Siena, per esempio, è decisamente comica – quasi una macchietta come il Fra’ Zenone de L’Armata Brancaleone – i dialoghi toscaneggiano mentre lei chiama “babbino” il Magister e vuole fargli baciare il prepuzio invisibile di Gesù Cristo al suo dito, così come da commedia sono i tentativi spesso inefficaci dell’Inquisitore di sfuggire alle sgradevoli attenzioni della santa. Io trovo questi intervalli comici estremamente riusciti, ben dosati e del tutto funzionali alla struttura compatta dell’insieme, ma qualche estimatore dell’Eymerich prima maniera, più rigido e severo, potrebbe forse trovare da ridire. Era una intenzione consapevole (e forse un rischio calcolato) o ti sei lasciato prendere dal puro piacere di dipingere un personaggio come ti appariva alla mente?

Era un’intenzione consapevole. Prendiamo un film che si svolga tutto nell’oscurità: alla fine stanca. Così possono stancare i toni da tragedia troppo insistiti. Ho preferito variare ogni tanto i registri, senza esagerare. Memore del fatto che, in pagine drammatiche come quelle sulla peste ne I promessi sposi, i dialoghi tra Renzo e i monatti rasentano a volte la comicità, senza che questo indebolisca per nulla lo scenario tragico. Al contrario, lo rafforza.

Ad un passo dal comico è anche, come sempre, Frullifer, lo scienziato geniale ma eternamente perdente. Povero Frullifer, anche questa volta nonostante il successo delle sue invenzioni, sarà infelice: usato dai suoi finanziatori e umiliato nel suo impossibile amore. Perché infierisci sempre contro questo personaggio? Cosa rappresenta esattamente per te?

Un americano “umano” (forse fin troppo), ben lontano dai modelli superomistici con cui gli statunitensi spesso dipingono se stessi, scienziati inclusi.

Nel finale vediamo Padre Nicolas e Jacinto Corona fuggire da Napoli sotto assedio per salpare con la stessa nave dell’inizio verso il luogo dove la vicenda è cominciata (di nuovo Alfa e Omega), a Minorca: un cliffhanger che prelude ad un probabile proseguimento dell’avventura. Qualcosa mi dice che sentiremo ancora parlare di Mitra e del culto del Toro, e che un vecchio nemico del Magister dovrebbe avere ottime ragioni di preoccuparsi. Mi sbaglio?

Temo di sì. Non a caso il dodicesimo romanzo si chiude dove cominciava il primo, come il serpente ouroboros. Considero il ciclo completato, e non ne vedo possibili sviluppi ulteriori. Inoltre vorrei dedicarmi ad altro. Non sono stanco di Eymerich, ma vorrei godermi la soddisfazione di chi ha portato a termine un’opera notevole, e si gode la gioia del lavoro ben fatto.

Di Valerio Evangelisti PULP Libri ha anche recensito Eymerich Risorge e Il fantasma di Eymerich.