Aggirandosi per una zona ibrida tra noir e fantastico, Nicoletta Vallorani è una scrittrice profondamente impegnata nel descrivere i profondi disagi che albergano nella nostra civiltà opulenta e cinica. All’inizio si trattava di storie di pura fantascienza, come Il cuore finto di DR (Urania, Mondadori), o di noir come Dentro la notte, e ciao (Granata Press, 1995)) e Le sorelle sciacallo (1999, DeriveApprodi), storie di estrema durezza, che scavano, provocano reazioni, inquietano. I suoi personaggi sono alla ricerca di un’identità ma rifiutano un percorso individuale, si integrano, si confrontano, lottano, affermano le proprie logiche, vivono in parallelo, creano propri mondi tra gli scarti delle grandi città. Eva (2002) e il suo ultimo romanzo Visto dal cielo del 2004 (entrambi usciti per Einaudi) mescolano odio e affetto, vivono in bilico tra i sentimenti, e sono una lettura radicale e politica dell’oggi, un richiamo all’impegno civile, una voglia di vivere altri valori.
Narratrice e saggista, noir e fantascienza, letteratura per ragazzi e romanzi durissimi come Le sorelle sciacallo. Quale è la tua identità di scrittrice?
Non so: bisogna averne una? Abbiamo già abbastanza problemi a indossare un vestito stretto nella nostra vita di tutti i giorni, dunque non capisco bene perché dovrei farlo come scrittrice. La verità vera – e forse la mia autentica mancanza di professionalità – sta nel non pensarmi scrittrice mai in modo definitivo. Scrivo quello che ho bisogno di scrivere quando ho voglia di farlo, ed è questo il motivo per cui non posso, in tutta onestà, definirlo come il mio mestiere. Una volta, Luigi Bernardi – che è bravo e mi conosce – ha scritto una cosa molto bella su Le sorelle sciacallo: lo ha definito cioè un atto di libertà. Questo è la scrittura per me: un atto da persona libera, in un’arena in cui ci si può permettere di esserlo. No, meglio: si DEVE esserlo. Se non sei libero quando scrivi – soprattutto se non è quello il mestiere che ti dà da vivere – fai meglio a lasciar perdere, per come la vedo io. Ci sono lavori con cui si guadagna di più facendo meno fatica e con meno complicazioni intellettuali, ma se scrivi sei un creatore di mondi. Belli o brutti, sei tu che li costruisci, in una pressoché assoluta assenza di vincoli. Allora diciamo così: sono una scrittrice poco etichettabile perché mi piace raccontare una vita che è poco etichettabile e che mi piacerebbe poter pensare come vicina alla vita reale. Quest’ultima è fatta di contraddizioni, spargimenti di sangue e risate. La tenerezza del lupo fa parte del vivere.
Visto dal cielo è certamente il romanzo più profondo. Mi ha colpito questa tessitura di fantastico assoluto, di cronaca nera e politica interna. Questa continua messa in discussione della realtà in cui si svolge il romanzo mi ha stordito?
Non lo so: sono contenta del romanzo, ma ho ancora molta strada da fare. Di certo Visto dal cielo è il primo tentativo di mettere assieme cifre diverse. Altrove e prima, ho sempre separato, appunto, gli spargimenti di sangue dalle risate, la realtà dall’immaginario che a essa si lega. Qui l’operazione è diversa, ed è fondamentalmente una ricucitura della persona che sono, che si traduce nella scrittrice che sono. Non ho mai avuto una presa molto salda sulla realtà, ma al tempo stesso ne sono sempre stata ammaliata. Mi piacciono le persone – il loro essere fisico, e singolarissimo, nel mondo – soprattutto perché questo essere fisico rimbalza su una ‘identità spettrale’ che le accompagna. Tutti siamo inseguiti e corteggiati dai fantasmi di quello che non abbiamo avuto il coraggio di essere, quello che non abbiamo voluto essere, quello che non abbiamo mai smesso di essere, e via dicendo. Anche la storia funziona così: c’è Carlo Giuliani che muore (e questo è un corpo, che non respira più), e c’è il suo fantasma politico, emotivo, affettivo, sociale… le sue mille identità spettrali che alla fine fanno la storia di questi giorni. Una storia dolorosa che si fa fatica a raccontare, ma che va raccontata, perché solo così diventa memoria.
La tua Milano mi sembra una città che abbia letteralmente smarrito un’idea di vita civile e collettiva, e sia solamente un insieme di luoghi separati. Le ricche cittadelle berlusconiane con i loro confini armati e le aree abbandonate reinventate dalla moltitudine. Il romanzo si svolge nel 2005, ma il mondo dove vive Zoe Libra è un’invenzione o una di quelle scuole in cui hai insegnato?
Ci sono sempre tutte e due le cose insieme, la realtà e il fantasma della realtà. Non credo di poter pensare a nessun luogo come un insieme oggettivo di tratti. Non so cosa sia la rappresentazione mimetica. Perciò quello che più si avvicina alla verità è questo: il debito che ho nei confronti di un paio di scuole in cui ho insegnato è enorme, e non riuscirò mai a pagarlo. È prima di tutto umano, e poi anche letterario. Molti tratti del mondo di Zoe sono la copia fedele di quanto ho vissuto. E tuttavia, non dimentichiamolo, il mio vivere è quello di una persona con una sensibilità individuale, uno sguardo di donna e un rispetto assoluto, e una passione ugualmente assoluta, per il mestiere che faccio, che è quello di insegnare. Tutto questo non conduce alla rappresentazione obiettiva della mia esperienza, ma di sicuro porta a una traduzione fedele dell’essenza emotiva di una certa scuola. Sono seria quando nel romanzo scrivo che certi nostri politici dovrebbero passare un paio di mesi a fare supplenze in alcune scuole disastrate dell’hinterland milanese. Forse, se i politici in questione riuscissero a sopravvivere all’esperienza, alcuni progetti di riforma ne uscirebbero pesantemente ridimensionati, in termini di senso della realtà e plausibilità applicativa.
Come ne Le sorelle sciacallo ed Eva, anche in Visto dal cielo i singoli personaggi sono identità deboli, quasi non autosufficienti, che mettendosi assieme generano una gestalt di grande forza, una sorta di super entità. Si tratta di una ideale di vita anarchica in cui la diversità è un elemento indispensabile per la sopravvivenza e la felicità?
La diversità È un elemento indispensabile per la sopravvivenza e la felicità: questo è sicuro. E non so se i singoli personaggi sono DAVVERO identità deboli. Quello che è certo è che dal loro essere solidali risulta una forza inarrestabile. In questo mondo smandrappato in fondo l’unica regola che funziona è quella che vorrei funzionasse nella vita reale: una capacità di coesione che non cancella le differenze, ma le fa diventare una componente preziosa della forza della coalizione. Non so. Mi pare che qualche volta sia successo, in tempi recenti e in certe mobilitazioni, di percepire questa strana energia alchemica, così difficile da tenere insieme proprio perché composita e molteplice, ma per lo stesso motivo inarrestabile. Inarrestabile.
A leggere le tue storie, le storie delle donne che sono le protagoniste, mi sembra di comprendere che non ci sia la ricerca di una identità preesistente piuttosto che cerchino costruirla da zero, rifiutando ogni ruolo precostituito. È vero? Che rapporto c’è tra queste donne e quelle di Doris Lessing, Angela Carter e le altre autrici anglosassoni?
Vero: non credo in questa faccenda dell’identità come dato scolpito nella pietra. Credo che ci si costruisca, nel tempo, attraverso strumenti empirici non sempre scelti in modo deliberato, a volte terribilmente dolorosi e complicati da gestire. E credo anche che alle donne capitino tendenzialmente percorsi un po’ più complicati. Abbiamo una tradizione più difficile da gestire, e molte ferite da ricucire. E però abbiamo il vantaggio di poter identificare con chiarezza gli stereotipi che ci rendono la vita dura: nessuno si è mai preoccupato di nasconderli, sicché sono bersagli facili da individuare. Quanto ai modelli, be’, Carter è forse la scrittrice che amo di più, e anche quella da cui ho imparato ciò che più mi preme sulla scrittura: l’onestà intellettuale, la necessità di usare il talento come strumento per comunicare, la volontà politica, nel senso di pertinente alla polis… Dopo di che, ho mille altri modelli, e non sono solo donne.
I fatti del G8 di Genova tornano in Visto dal cielo, come tra le pagine di molti altri autori italiani. È una pagina che non si chiude? Cosa hanno rappresentato quei giorni?
Non deve chiudersi. Credo sia importante scriverne, serbando la consapevolezza che questa faccenda è una ferita aperta, per chi c’era e per chi ha passato giorni a chiedersi cosa accidenti è successo a quella città e a questo paese. In altri termini, la storia del G8 è una storia ‘pesante’ per uno scrittore perché va gestita con la piena responsabilità di quanto è accaduto, e con la volontà di farne un resoconto onesto, seppure emotivo, schierato, parziale e quant’altro. Io credo di essermi schierata, ma ho anche tentato di essere profondamente consapevole che l’offesa più profonda è stata fatta alla città, oltre che alla dignità di questo paese. E questa offesa richiederà molto tempo per essere metabolizzata. Credo che bisogna conservare il rispetto – e l’orrore – per quello che è accaduto in quei giorni.
Emarginazione è liberazione?
Emarginazione è dolore, liminalità, silenzio, interdizione dello sguardo e della parola, negazione di libertà, incomprensione. E poi sì, alla fine, anche liberazione: nel senso che se riesci a sopravvivere a tutto questo e continuare a guardarti intorno, nessuno potrà toglierti la libertà che hai conquistato.
NICOLETTA VALLORANI
Eva
Einaudi, pp. 249, euro 8,00
Eva è il romanzo più evoluto e interessante che Nicoletta Vallorani ha pubblicato fino a oggi. Divisa tra la fantascienza e il noir, ma deve essere sottolineata la sua costante presenza come scrittrice per l’infanzia e critico letterario, già dal suo esordio del 1993, con il Il cuore finto di DR, aveva tentato una ricostruzione de Il grande sonno di Raymond Chandler. Dopo Le sorelle sciacallo, pubblicato nel 1999, Nicoletta Vallorani affrontava una densa e violenta storia del formarsi di un’entità collettiva e del progressivo manifestarsi di una sorta di alienità.
Eva coglie gli spunti migliori di questi due romanzi, riduce all’essenziale gli elementi che, nei precedenti romanzi, si affollavano eccessivamente, e presenta una storia lineare la cui apparente semplicità non è certo un difetto. Innanzitutto una Milano del futuro, evoluzione estremizzata delle nostre attuali ferite urbane, una Milano in cui i problemi non risolti di oggi si sono espansi fino a caratterizzare il quotidiano. Poi un protagonista, Nigredo, sempre irrisolto, atipico, capace d’incuriosire. La trama di Eva ci conduce lentamente a un ulteriore stadio di questa metafora cui Nicoletta Vallorani gira attorno in molte sue trame, ovvero l’enigma di come vite (menti?) minimali e separate possano mettersi assieme e assumere un significato inaspettato, raggiungere un livello esistenziale superiore, darsi uno scopo complesso. Alla fine, dopo una rassegna di personaggi che sembrano vivere all’interno di un vuoto capace di rendere stagne le vite stesse, dove vita e morte hanno attutito la loro forza, il romanzo assume un ritmo matematico che gioca con il tempo stesso. Il tempo, al di là di scoprire chi ha ucciso, sembra essere un altro dei punti attorno cui ruota il romanzo. Se la vita deve ridursi al minimo per poter essere gestita in un mondo così crudele, come scorre il tempo? Forse, fra tutti i personaggi, è solo Dessa, con la sua morte imminente, a comprendere come assimilare. giorno dopo giorno, la vita, una vita che segue la danza ovattata dei fiocchi di neve.
Nicoletta Vallorani
Dream Box
Mondadori, pp. 236, £ 5.900
Urania, terra maledetta della fantascienza scritta da italiani, dopo una serie di deludenti romanzi vincitori dell’omonimo premio presenta Dream box, nuovo romanzo di Nicoletta Vallorani e il seguito de Il cuore finto di DR.
Se Il cuore finto di DR era un’aperta trascrizione de Il grande sonno di Raymond Chandler, Dream box riprende, in parte, i temi e le rappresentazioni della fantascienza femminile statunitense. Così Entierres e Milano sono la proiezione di Annares e Karres, i pianeti de I reietti dell’altro pianeta di Ursula Le Guin. Così, l’ambigua utopia di Entierres, dalla natura nuda e non tecnologica, viene aggredita dalle ciniche politiche della multinazionale che produce le dream box, una nuova e potente allucinazione. La protagonista sintetica del romanzo, DR, si è molto allontanata dai suoi predecessori della fantascienza femminile, così rivolti alla ricerca della propria natura, a scoprire i molti sé che compongono l’uno, come Orlando, di Virgina Woolf o la protagonista di Female man, di Joanna Russ. Piuttosto diluisce la sua presenza nella vicenda, sparisce nella moltitudine degli ibridi. Se nel primo romanzo, DR si adeguava agli attributi delle femmine cyber, seppure allontanandosi da una violenza scontata nel contesto metropolitano del futuro, mantenendo a sé le redini della trama, in Dream box non c’è un protagonista, ma una staffetta di personaggi stordita dal degrado e dalle insidie della città.
La storia di DR galleggia su una serie di tematiche classiche del racconto di fantascienza che vengono riproposte attraverso il viaggio tra i quartieri di Milano. Tra i più significativi troviamo lo Specchio, entità cibernetica capace di interagire nelle realtà consensuali, che prosegue sulle intuizioni di Mindplayer di Pat Cadigan, la più interessante autrice del cyberpunk, e i “senzapersona”, entità umane dotate solo delle caratteristiche necessarie a svolgere lavori di bassa specializzazione, discendenti più o meno diretti delle fantasie di Aldous Huxley, ma anche figliastri di Jeremy Breker, che ha visto tra le insidie del capitale globale proprio la corsa verso il fondo, verso forme di lavoro umano dal costo talmente basso da non valere la pena di pagare la manutenzione di una macchina.
NICOLETTA VALLORANI
Visto dal cielo
Einaudi, pp. 412, 15,00 euro
Zoe Libra, la spazzina detective, affronta un altro caso criminale e, contemporaneamente, il caso della propria difficile vita. Attorno a lei si muove una famiglia allargata, che cita, cane incluso, il vortice di affetti e stranezze della famiglia Malaussène, e una Milano orribile, triste e sporca dove si muovono pochi sopravvissuti marginali. La storia è illuminata da due potenti fari narrativi: la violenta scena totalitara che è l’Italia di Silvio Berlusconi e la tragedia shakespeariana, con i suoi onnipresenti e insistenti fantasmi. Sul palco un terrificante omicidio, l’azione di un serial killer, un assassino destinato, durante la narrazione, a diluirsi nel mondo, un mondo lontano e indistinto che altro non è che il nostro, il mondo che ci rifiutiamo di vedere.
A partire dal primo romanzo pubblicato da Nicoletta Vallorani, un noir fantascientifico che guardava a Il grande sonno di Raymond Chandler, la scrittura è progressivamente diventata più densa, complessa, le situazioni estreme e grottesche e, soprattutto, si è ampliato il desiderio di raccontare la nostra società e di fondere la cronaca con l’immaginazione. L’immagine del G8 di Genova, per esempio, è forse la tragedia collettiva che ritorna insistente per tutto il romanzo, qualcosa dopo la quale nulla potrà più essere come prima, un punto di rottura generazionale ed etico. All’interno di questa dimensione esplicitamente politica, che sottolinea come si sia consumata la frattura con il movimento operaio europeo e siano cessate di esistere le relative forme di socialità, Visto dal cielo è un noir sui nuovi crimini che attaccano le nuove forme di socialità, quelle della moltitudine. I luoghi, le razze, le situazioni, le forme di violenza emarginanti e le disabilità sono il collante di un mondo la cui vita trascorre con la coda di automobili all’orizzonte, la scuola semi-occupata, i rapporti familiari interrotti come nervi recisi e poi ripresi, contorti e intensi.
Biliografia di Nicoletta Vallorani
Fantascienza
Il cuore finto di DR, Urania n.1215, Mondadori, 1992
DReam box, Urania n.1308, Mondadori, 1997
I misti di Sur, ADN Kronos Libri, 1998
Darjee, ADN Kronos Libri, 1999
Sulla sabbia di Sur, ED. IT, 2012
Avrai i miei occhi, Zona 42, 2020
Noir
Dentro la notte e ciao, Granata Press, 1995
La fidanzata di Zorro, Marcos y Marcos, 1996
Cuore meticcio, Marcos y Marcos, 1998
Le sorelle sciacallo, Derive e Approdi, 1999
Eva, Einaudi, 2002
Visto dal cielo, Einaudi, 2004
Lapponi e criceti, Edizioni Ambiente, 2010
Le madri cattive, Salani, 2011
Le sorelle sciacallo, Edizioni del Gattaccio, 2017
Altri romanzi
Cordelia, Flaccovio, 2006
Hope – L’ultimo segreto del fuoco, Salani, 2013 (come Cailín Óg, con Mauro Garofalo)
Libri per bambini
Luca De Luca detto Lince, EL, 1997
Pagnotta e i suoi fratelli, EL, 1997
Achab e Azùl, EL, 1997
Un mistero cirillico, EL, 1998
Occhi di lupo, EL, 2000
La mappa del male, Disney Libri, 2000
Come una balena, Salani, 2000
La fatona, Salani, 2002