Classe 1981, nato a Rimini, Marco Missiroli ha scritto una lunga serie di romanzi, ma è con Atti osceni in luogo privato (Feltrinelli, 2015) che si fa conoscere e apprezzare come merita dal grande pubblico. Nel 2019 esce Fedeltà, pubblicato da Einaudi, ed è di nuovo un successo. Marco Missiroli si racconta e ci racconta della sua esperienza nella cinquina finalista al Premio Strega di quest’anno, del suo amore per il cinema e del suo rapporto con i giovani lettori.
La giovane influencer Giulia De Lellis ha dichiarato a Tuttolibri che il tuo romanzo Fedeltà è stato tra le letture che l’hanno ispirata nella stesura del suo libro. Cosa pensi di questo fenomeno rispetto ai giovani lettori e più in generale?
Me l’avevano detto e avevo letto anch’io successivamente l’intervista. Ne sono contento, come sono contento che Fedeltà abbia vinto lo Strega Giovani! Credo che Fedeltà sia un libro un po’ laterale, non mi aspettavo che arrivasse fino a quei pertugi di popolazione letteraria o non letteraria, non mi aspettavo niente, nel senso che uno scrive un libro e non sa forse neanche che libro ha fatto, lo sa dopo, e aspetta che vada dove può andare. Il fatto che lo abbiano votato così tanto allo Strega Giovani mi ha molto stupito. Forse è davvero una nuova generazione già pronta alle ferite e all’elaborazione della consapevolezza di questi tempi. Penso che Giulia De Lellis l’abbia letto semplicemente perché il mio titolo le suggeriva qualcosa di attiguo rispetto al suo titolo sull’infedeltà. Comunque sia sono felice, ogni volta che un libro travalica quelli che sono i territori in cui credeva si fermasse è già un’ottima propulsione letteraria.
Con Fedeltà hai conquistato il Premio Strega Giovani: che riconoscimento è stato per te? Senti la responsabilità di costruire nuovi lettori, soprattutto tra i più giovani?
Al di là del Premio Strega sento sempre una responsabilità nei confronti dei giovani, non tanto nell’etica e nella morale che metto nei miei libri perché secondo me i libri in cui non c’è etica e nemmeno morale, i libri cattivi sono ottima letteratura, ma in quanto alla lingua, al linguaggio, alle parole usate, qualsiasi persona leggerà un mio libro deve poter percepire la massima cura che io ho speso per quelle parole – almeno per come riesco io – e quindi sento certamente un senso di responsabilità verso il linguaggio, ce l’ho sempre, qualunque cosa io scriva e che so che andrà al pubblico.
Da poco sei diventato padre. In che modo la gravidanza vissuta in modo gioco forza passivo rispetto alla nascita di Fedeltà ha contribuito oppure cambiato qualche tuo aspetto sia di uomo che di scrittore?
Non so come la gravidanza abbia influenzato Fedeltà o come Fedeltà abbia influenzato la gravidanza di mia moglie. So solo che a un certo punto ho avuto un po’ di paura che l’impatto che Fedeltà stava avendo sulla nostra vita, lo Strega e tutto il resto potessero togliere un po’ di gerarchia rispetto alla gravidanza. Invece sono state due cose a volte separate a volte integrate. Ora vediamo quanto una figlia impatterà sul mio futuro letterario…chissà, mi lascio tutte le strade aperte. Sicuramente genererà qualche potenza in più, aspetto e vedrò!
Se il tuo romanzo non avesse concorso allo Strega tu da lettore per chi avresti tifato?
Bisognerebbe capire chi ci sarebbe stato al posto del mio libro, mettiamola così! Quest’anno di libri forti e molto buoni ce ne sono stati parecchi, al di là della cinquina anche nella dozzina. È stato un anno veramente fervido e in qualche modo il libro di Scurati se lo meritava totalmente, sia per l’impatto storico e politico che ha avuto, sia per la concezione del libro stesso. Mi va benissimo che abbia vinto Antonio e sono certo che sia stato uno Strega compatto, compiuto, e che sia andato all’opera più meritevole. Sono dispiaciuto di non aver vinto – come credo sia normale – ma mi sento in pace con me stesso.
Hai sempre avuto un approccio molto maturo alla scrittura, fin da subito, poco commerciale e mai banale, e l’apprezzamento dei tuoi lettori ne è la riprova. Questo è dovuto a letture formative decisive o a maestri formidabili?
Penso sempre ai padri che mi hanno ispirato o che mi hanno nutrito prima che scrivessi libri, quindi mi riferisco a una certa letteratura americana. Faulkner, Carver, Hemingway, Dos Passos. Penso molto anche ai francesi: Maupassant, lo stesso Proust che ho letto in maniera molto matura e che ha continuato a rimescolarmi in testa il problema della lingua e il problema della percezione, e che non mi ha mai lasciato soddisfatto di quello che facevo – non sono mai soddisfatto di quello che scrivo -. Una cosa che ho amato molto del mio percorso, lo dico consapevolmente, è che ho sempre tentato di cambiare da libro a libro. Non ho mai cercato di fare lo stesso libro e questo si vede dall’impatto violentissimo che Fedeltà ha avuto rispetto ad Atti osceni che era un libro sull’incanto mentre Fedeltà è un libro sul disincanto anche se si parla di sentimenti – ma quale libro non parla di sentimenti? Cerco sempre di essere al servizio della storia e mai il contrario, e questo è un punto fondamentale che mi ha fatto scrivere libri molto diversi e particolari, che sono riusciti a penetrare molto i lettori. Ho sempre pensato che la mia struttura sentimentale fosse la variabile indipendente, quello che veniva dopo sarebbe stata una conseguenza. La variabile indipendente, mentre tutto il resto variabile dipendente da questa struttura letteraria importantissima che penso cambi da libro a libro. Ecco perché aspetterò molto prima di scriverne un altro ed ecco perché aspetto sempre arrivi questa forma di ispirazione solida rispetto a quelle che possono essere forme di ispirazione volatili o improvvisate.
La tua produzione letteraria è sempre stata caratterizzata da tematiche importanti e talvolta scomode. Cosa pensi dell’oggetto “libro”? Pensi che debba fornire necessariamente un messaggio sociale?
No, non penso che un libro debba avere sempre un messaggio sociale né un valore civile. Credo che un libro debba parlare di qualcosa che non si leghi al mondo ma che lo faccia attraverso principi letterari comunque laterali e importantissimi. Sono invece molto felice di chi scrive libri che riescono a collegarsi direttamente al mondo e all’attualità. Mi piacerebbe poterlo fare, legare la mia parte intima, le mie storie a quello che succede nel mondo in questo momento. Il massimo che sono riuscito a fare è stato Fedeltà che legava appunto la vecchia generazione alla nuova generazione in un tempo di disfacimento economico e sociale, ma forse ci vuole ancora un passo in avanti.
Oggi va di moda trasporre il romanzo su schermo per un film oppure per una serie TV o anche nel formato 2.0 quali sono i graphic novel. Se potessi scegliere un tuo titolo quale sarebbe e che canale divulgativo preferiresti?
Il cinema è una delle mie fondamenta, lo adoro non solamente come passione dell’andare in sala o vedere un film. A volte penso ai libri come impatto visivo, li creo come immagini, è stato così per molte scene. Soprattutto fino ad Atti osceni in luogo privato questa è stata la questione principale per cui è difficile vederli tanto separati. Ogni opera letteraria deve rimanere un’opera letteraria, così come ogni opera cinematografica deve rimanere un’opera cinematografica. Penso che si debbano separare i due ambiti, che chi li realizza non debba essere lo scrittore, lo scrittore deve fidarsi oppure non fidarsi nemmeno e lasciare il testo in altre mani e basta. Sono due ambiti diversissimi che in me comunicano tanto, ma che cerco di tenere separati, non tanto a livello di scrittura quanto perché non penso mai “questo mio libro potrebbe diventare un film”. Se lo diventasse ne sarei felice e vorrò vedere il lavoro che faranno. Su Atti osceni invece è una questione diversa: questo è un libro nato in uno stato di grazia e incanto mie personali, ne sono quasi geloso. Se dovesse diventare un film, vorrei mantenesse lo spirito del libro, mi spiacerebbe vederlo troppo trasmutato.
Hai guidato per la Scuola Holden tanti giovani verso il mondo della narrazione. C’è stato un episodio rappresentativo che ti è rimasto impresso per una qualche particolare ragione?
Amo profondamente insegnare forse perché ho una madre che è stata insegnante elementare, quindi ho sempre respirato quest’aria. Da quando ho iniziato seriamente, nel novembre 2014, ogni classe, ogni alunno mi ha dato qualcosa. Ci sono state delle rivoluzioni impressionanti! A volte chi iniziava un corso e lo finiva era un’altra persona anche a livello umano e personale, passando per delle evoluzioni importantissime che andavano di pari passo con la scrittura. Ti ritrovi davanti una persona in cui riconosci delle potenzialità, che non solo raggiunge ma rivoluziona ulteriormente, e quando questa cosa accade hai la certezza che lo studente che parte con un livello inferiore in quanto a capacità letteraria possa diventare il più bravo di tutti e pubblicare molto libri in futuro. Per questo ho un approccio molto laico nei confronti degli studenti e aspetto fino all’ultimo che possano rivelarsi.
Sei di fronte a un telefono e puoi chiamare uno scrittore, vivo o morto, per un’intervista o una chiacchierata amichevole. Chi e perché?
Chiamo Ernest Hemingway. Ho degli altri che chiamerei più per curiosità, per il lato umano o divertimento, ma chiamo Hemingway perché ci vai a cena anche se stai in silenzio, anche se non dice niente. Impari comunque qualcosa e capisci quelli che sono i lati umani di scontro rispetto ai pregi letterari. Capisci qualcosa in più sulla scrittura, anche da come tiene la forchetta o come beve il boccale di birra.
Che rapporto hai con i librai e cosa pensi di Amazon in questo momento dell’editoria in cui i lettori sembrano confusi e si lasciano conquistare in modo superficiale senza approfondire uno spirito di ricerca personale?
Sul discorso Amazon e su come si sta evolvendo la filiera editoriale ti posso rispondere come risposi quando uscì l’ebook e tutti erano spaventati. Umberto Eco disse che la carta avrebbe vinto. Secondo me non solo la carta ha vinto, e vincerà ancora, ma la libreria avrà un fascino e sarà un luogo importantissimo per il lettore. Il problema è che questi lettori che vedono nelle librerie una cattedrale probabilmente sono lettori forti e la libreria non può vivere solo di lettori forti. Mi spaventa molto che le librerie possano chiudere anche se c’è una stregua di persone che ne ha veramente bisogno, quasi come una chiesa, o il comune di una città o la piazza di una città. Viene da chiedersi dove andranno a finire i lettori generalisti, quelli più deboli, quelli che non leggono molto, a cui basta Amazon. Cosa produrrà tutto questo? Se un giorno vedrò chiudersi sempre più librerie – già ora sono preoccupato pur essendo fiducioso – a quel punto sarò seriamente nei guai con me stesso perché forse non ho fatto niente di così valoroso per bloccare questa emorragia. Spero sia solamente un’integrazione della filiera tradizionale e non una rivoluzione totale.
Un’ultima curiosità: stai già lavorando a qualcosa?
Non sto lavorando a nulla perché penso che ci voglia del tempo, che la vita arrivi tra un libro e un altro. Lo scrittore deve avere la forza, il coraggio e la pazienza di aspettare che arrivi un altro libro. E se il libro arriverà fra dieci anni io aspetterò questi dieci anni. Non sto lavorando a nulla se non ad articoli per il Corriere della Sera, interviste o altre piccole cose ma a nessun romanzo.
Bibliografia
Romanzi
- Senza coda (2005, Fanucci; 2017, Feltrinelli)
- Il buio addosso (2007, Guanda)
- Bianco (2009, Guanda)
- Il senso dell’elefante (2012, Guanda)
- Atti osceni in luogo privato (2015, Feltrinelli)
- Fedeltà (2019, Einaudi)
Racconti
- Sette e mezzo (2007, pubblicato nella raccolta collettiva Dodici passi, a cura di Chiara Belliti e Pierfrancesco Pacoda, Cairo editore)
- Scusate tutti, (2014, Guanda)
- Mio padre, (2016, pubblicato nella raccolta collettiva Smash, a cura di Sandro Veronesi, La Nave di Teseo)
da wikipedia