Intervista a Luca Cangianti

Uno degli aspetti più caratteristici dei tuoi romanzi e dei tuoi interventi critici su Carmilla è l’utilizzo dei personaggi e delle strutture narrative dei generi, in particolare horror e fantascienza, per elaborare una rappresentazione politica dell’esistente e, specularmente, utilizzare categorie interpretative marxiane per costruire trame narrative solidamente sostanziate entro i canoni della letteratura fantastica. Vorresti chiarirci, per prima cosa, questa tua prospettiva teorica?

Da ragazzo ero un divoratore compulsivo di B movie, tipo L’invasione dei ragni giganti e La notte della lunga paura. Quando all’università ho iniziato a studiare i Grundrisse e Il capitale non credevo ai miei occhi. Ai compagni di corso e ai professori dicevo: “Queste sono opere fantahorror: la struttura è la stessa!” L’affermazione fu scambiata per una simpatica provocazione. Allora m’incaponii: per spiegarmi le origini di questo omomorfismo tra ambiti ritenuti così lontani, misi temporaneamente da parte l’economia politica e la filosofia della scienza per dedicarmi allo studio della narrazione fantastica. È grazie a questa somiglianza di struttura che possiamo utilizzare la filosofia marxiana per costruire una trama fantahorror, così come analizzare il capitalismo attraverso le lenti disoccultanti di Essi vivono o le esplorazioni fognarie di It.

“FantaMarx”, il tuo saggio inserito nell’opera collettanea Immaginari alterati (Mimesis, 2018), affronta diffusamente queste “strane” somiglianze. A cosa sono dovute?

L’omomorfismo tra la struttura del Capitale e quella della narrativa fantahorror deriva dal comune brodo di cultura romantico nel quale riemergono temi tipici dei culti misterici, della tradizione platonica e di quella giudaico-cristiana. Per esempio il mito della morte e della rinascita mutuato dal ciclo delle stagioni oppure la dialettica tra essenza e apparenza. Sono forme mitico-religiose che ritroviamo in varie correnti filosofiche e culturali, ma anche in molte teorie scientifiche.

Uno degli esempi più coerenti di questo percorso è proprio il tuo primo romanzo, Sangue e plusvalore, romanzo di vampiri marxista, in senso letterale… se così possiamo dire. Vuoi spiegarci meglio?

Gli scritti di Marx abbondano di riferimenti al vampirismo: non si tratta di un artificio retorico, ma di una metafora scientifica che ha funzione esplicativa. È come descrivere un circuito elettrico ispirandosi a un sistema idrodinamico oppure rappresentare il movimento delle molecole di un gas come palle da biliardo in movimento casuale. Nel caso di Marx la metafora del vampirismo serve a strutturare la legge del valore disvelando il feticismo cui è sottoposta. Con Sangue e plusvalore ho cercato di trovare una spiegazione, non solo teorica, ma anche narrativa alla presenza pervasiva dei vampiri nell’opera del filosofo: la spiegazione è che lui li aveva incontrati e combattuti!

La commistione di elementi storici e fantastici, di protagonisti reali e immaginari, restano alla base della tua narrativa. Il personaggio di Marx, lo scenario della Comune di Parigi, la figura del vampiro in Sangue e plusvalore; la Seconda guerra mondiale, i partigiani della Garbatella, la liberazione di Roma, il G8 di Genova e la figura dello zombie in I morti siete voi, il tuo romanzo più recente. Cosa accomuna e differenzia queste tue opere?

Entrambi i romanzi cercano di essere molto scrupolosi nella ricostruzione degli accadimenti reali, e inseriscono gli elementi fantastici in fessure spaziotemporali compatibili con l’impianto storico generale. Sangue e plusvalore nasconde un nucleo filosofico dietro un romanzo d’avventura e di scandaglio psicologico (il “mio” Marx è infatti un uomo travagliato, buffo e incline alla bottiglia di whisky, non certo il noioso santo dell’apologetica realsocialista). Un recensore, invece, ha definito I morti siete voi come “un romanzo sull’amore”. Sono rimasto sorpreso: ma come, io faccio scoppiare un’epidemia zombie durante l’occupazione di Roma, scateno sparatorie, attentati, esplorazioni di catacombe, racconto la storia dimenticata dei partigiani eretici di Bandiera Rossa e tu ci vedi “un romanzo sull’amore”? Insomma, ci ho riflettuto molto, ma alla fine la definizione mi è sembrata corretta: il protagonista, quasi un alieno proveniente da un’altra classe e da un’altra città, scopre infatti il calore del quartiere romano della Garbatella e i legami affettivi che uniscono i partigiani nella lotta contro i nazifascisti e i “morti”. In quest’ultimo romanzo, a differenza di Sangue e plusvalore, i mostri non sono una metafora epistemologica sottesa alla narrazione, sono piuttosto un simbolo archetipico declinato secondo la grammatica del fantastico; sono un dispositivo che ci incita a guardare laddove mai avremmo voluto, perché proprio da quel versante potrebbe giungere la salvezza.

Perché I morti siete voi si concentra su una formazione partigiana tutto sommato secondaria?

In verità il Movimento comunista d’Italia, più noto con il nome della testata del suo giornale Bandiera Rossa, era la formazione più numerosa della Capitale, ma la sua storia è stata dimenticata perché i suoi duemila combattenti erano principalmente gente delle borgate: falegnami, elettricisti, fiorai, orologiai, sarti e tranvieri – persone che solo in pochi casi hanno messo per iscritto le proprie memorie. Inoltre Bandiera Rossa, a differenza del Pci, con il quale entrò in rotta di collisione, non aderì al Comitato di liberazione nazionale, perché il suo obiettivo andava oltre la cacciata dei nazifascisti e consisteva nella creazione di una società libertaria dai tratti consiliari. L’aspetto paradossale, e narrativamente comico, è che questi partigiani fantasticavano di uno Stalin “rivoluzionario” che avrebbe appoggiato la loro linea politica e messo in riga “l’opportunista” Togliatti. Un altro elemento che mi ha molto ispirato è l’antropologia di questi combattenti: si tratta di una sorta di banditi sociali dall’estetica western, cresciuti nel culto dell’Ora X e del millenarismo comunista. Insomma, le teorie di Bandiera Rossa erano errate e la loro prassi politica ha portato il Movimento allo scioglimento pochi anni dopo la Liberazione. Ma il sogno di un mondo radicalmente diverso era l’espressione genuina di quelle classi popolari che affollavano le borgate romane. Forse la sua realizzazione avrebbe impedito al fascismo ferito, ma mai sconfitto, di sgattaiolare come l’ombra disincarnata di Voldemort nelle pieghe della repubblica, per giungere fino a noi.

È per questo che il tuo romanzo si conclude durante le giornate del G8 di Genova?

Nel libro ci sono due storie che scorrono parallele, quella della Resistenza romana e quella di alcuni studenti di Villa Mirafiori, l’edificio dove ci sono i corsi di laurea di filosofia e lingue straniere dell’Università La Sapienza. Questi giovani sognano un mondo migliore e si preparano a partecipare alle manifestazioni di Genova, dove riemerge in tutta la sua violenza e malvagità il cuore nero di questo paese. È una parte molto dolorosa della nostra storia sulla quale intervengo con gli strumenti del fantastico per guardare fino in fondo nell’antro spaventoso della psiche sociale. Non per puro masochismo, ma per dare un futuro alle aspirazioni di quei partigiani dimenticati e di quei giovani del 2001.