Intervista a Jasper Fforde (2006)

Strana Inghilterra, quella de Il caso Jane Eyre, il primo romanzo di Jasper Fforde pubblicato in Italia (da Marcos y Marcos): qualcuno ha trafugato il manoscritto originale del Martin Chuzzlewit dickensiano, vi è entrato e ha fatto sparire un personaggio minore, alterando quindi tutte le copie esistenti del libro.

Della faccenda si sta occupando Thursday Next, Detective Letteraria in un’Inghilterra alternativa del 1985, in cui il Galles è una repubblica sovietica, la guerra di Crimea non si è ancora conclusa e i viaggi nel tempo sono cosa di tutti i giorni. Inevitabilmente gli indizi conducono ad Acheron Hades, il nemico pubblico numero uno, il superlatitante che infine ruba il manoscritto di Jane Eyre di Charlotte Brontë, addirittura rapisce la povera Jane e chiede un enorme riscatto, provocando una crisi nazionale.

Sappiamo che nel tempo libero Jasper Fforde scorrazza per i cieli del nativo Galles con un biplano Dehavilland del 1937, e ci piace pensare che le sue traiettorie aeree rispecchino un po’ i ghirigori bislacchi e serissimi de Il caso Jane Eyre, ucronia farcita di vertiginose scorribande nello spazio-tempo letterario, raffiche di citazioni e giochi di parole in cui l’autore riesce sempre a evitare la strizzatina d’occhio corriva, confermandosi degno erede di quella scuola tipicamente British che almeno da Lewis Carroll, passando per Douglas Adams e Monty Python, fa del gioco e del paradosso uno strumento insostituibile per decifrare e raccontare il mondo. O almeno per provarci.

 

Le piacerebbe vivere nel mondo di Thursday Next?

Bah, a me pare di viverci già, in un mondo come il suo… Comunque, sì, credo proprio di sì, perché penso che sia davvero eccitante, pieno di possibilità, di cose meravigliose e fantastiche… Ma ciò che mi piace maggiormente è che, nonostante sia un mondo fantastico, nessuno pensa che lo sia: i personaggi del romanzo lo considerano totalmente normale, i viaggi nel tempo sono una routine quasi banale. E questo, naturalmente, sta a significare che noi viviamo in un mondo veramente incredibile, eppure lo consideriamo ordinario e quasi irrilevante, dando per scontate un sacco di cose…

C’è un’espressione nel suo romanzo che ricorre spesso, quella del “tempo scardinato” (meglio ancora sarebbe: “fuor di sesto”), presa dall’Amleto shakespereano – come pure dall’omonimo romanzo di Philip Dick…

Mmmm… devo confessare di non aver letto quel romanzo di Dick, ad ogni modo penso che l’espressione time out of joint (Tempo fuor di sesto – ndr.) sia un titolo perfetto per un libro. Sa, spesso mi chiedono dove siano le mie fonti di ispirazione letteraria, e io rispondo sempre: dovunque. Che piaccia o meno, consapevolmente o no, ogni giorno della nostra vita noi usiamo frasi di Shakespeare, ad esempio, e quasi sempre senza neppure accorgercene. Tutti gli scrittori hanno un debito di gratitudine nei confronti di quelli che li hanno preceduti, e anche se, poniamo, un autore non ha mai letto dei classici americani come Philip Dick o Kurt Vonnegut, i suoi libri sono certamente influenzati da essi. Perché hanno un’importanza che trascende il valore dei libri in sé, perché hanno contribuito a formare in modo decisivo una sorta di inconscio collettivo della cultura popolare, che a sua volta ha plasmato tutti noi, il nostro modo di pensare…

Nel romanzo li parla esplicitamente delle barriere tra realtà e finzione che stanno diventando sempre più cedevoli…

Per molti anni gli scrittori hanno detto che non è possibile descrivere la realtà perché nessuno ci crederebbe, che la realtà è ben più bizzarra di ciò che potremmo mai inventarci. I mondi degli scrittori sono immaginari e le persone sanno che non sono nulla di reale, ma solo costrutti logici. Io definirei il mondo in cui viviamo come post-satirico. Se scrivi qualcosa di satirico tu parli delle situazioni più ridicole e irreali. E più scrivi e più ti accorgi che non è più possibile fare satira, perché perfino le cose più assurde e ridicole si stanno avverando. Dieci anni fa scrivere di “reality tv” sarebbe stato satira, adesso invece è realtà. E allora ti chiedi: cosa posso scrivere di satirico senza correre il rischio che prima o poi si avveri? Perché mi sembra che il mondo stia diventando sempre più pazzesco, e quindi se decidi di scrivere qualcosa di fantastico devi stare estremamente attento, perché non si sa mai cosa potrebbe riservarci la realtà dei fatti…

Mi sembra che l’idea del tempo sia basilare…

Direi di sì. Ma, ad esempio, il modo in cui uso l’idea del viaggio del tempo non è certo convenzionale. Se oggigiorno vuoi scrivere un libro sul viaggio del tempo tu devi usare una sorta di “grammatica” predefinita, e che si potrebbe riassumere con l’espressione back to the future, ritorno al futuro: se viaggi all’indietro nel tempo e cambi delle cose, quando poi torni al presente tutto è diverso. Per come la vedo io, invece, il tempo è qualcosa di elastico. Se tu torni indietro nel tempo e tuo padre viene ucciso, tu però esisti ancora, perché il tempo ha in sé una sorta di impermeabilità naturale nei confronti del cambiamento. Può essere che tuo padre non esista più, ma tu sì. Il viaggio del tempo è pieno di paradossi inspiegabili, quindi deve essere bizzarro, strano, imprevedibile. In sostanza io dico: ok, se questa è la regola, io invece la voglio stravolgere, voglio metterne in discussione i meccanismi.

Se lei fosse Thursday Next che libro le piacerebbe cambiare?

Be’, entrerei in Aspettando Godot e andrei a beccarlo. Lo trascinerei sulla scena e direi: “eccolo qua Godot”, così la rappresentazione potrebbe terminare e finalmente tutti se ne andrebbero a casa. Perché è tutto, ahem, così noioso

Quando Thursday Next cambia la trama di Jane Eyre, da un certo punto di vista cambia anche il corso della storia…

Sì, Thursday riesce a cambiare il corso del romanzo, ma questo porterà un mare di guai: nel secondo libro della serie lei viene accusata di una “fiction infraction”, il che significa appunto che sei entrato in un libro e l’hai cambiato, e questo non è permesso. Quindi lei deve subire un processo, che – ovviamente – rimanda a quello di Kafka, e che per forza di cose si svolge all’interno dei libri. Quindi, letteralmente, Thursday entra nel Processo di Kafka e termina davanti ai giudici, che sono il Re e la Regina di Cuori di Alice nel paese delle meraviglie… Siccome è colpevole di aver commesso un crimine all’interno di un libro, deve essere processata e giudicata all’interno di altri libri…

Nel mondo di Thursday Next la letteratura è un bene preziosissimo e rispettato. Cos’è, una pia illusione o soltanto l’ennesimo sberleffo ironico?

Be’, un po’ tutt’e due le cose… Ne Il caso Jane Eyre tutti sono più acculturati, hanno letto molti più libri e capiscono di più la letteratura. Il che, insomma, non mi pare poi così male… Tuttavia questo non significa che quel mondo, ad esempio, sia meno violento del nostro. Le persone non sono migliori, soltanto più istruite. Perché comunque i criminali ci sono sempre, la gente combatte una guerra. Quindi, anche se sei in grado di citare Shakespeare il quadro generale delle cose non cambia affatto…

Secondo lei chi sarebbe il miglior regista di un film tratto da un suo libro?

Io! Non ne ho il minimo dubbio. Perché io ho scritto tutto il materiale di base e so perfettamente com’è il mondo di Thursday: un po’ malandato e frusto, dove la gente guida vecchie auto anni Cinquanta, ci sono i dirigibili, pochissime costruzioni moderniste… Ho lavorato per vent’anni nell’industria cinematografica, facendo di tutto, dal cameraman al soggettista, per cui so come si fa un film… Mi chiedono continuamente di vendere i diritti cinematografici dei miei libri, ma io non voglio farlo. Forse tra cinque, dieci anni realizzerò un film, ma non prima.

Domanda ovvia: perché Jane Eyre?

E risposta ovvia: innanzitutto perché è sempre stato uno dei miei libri preferiti, e poi perché lei è una meravigliosa eroina. E poi trovo che sia più divertente scrivere delle ragazze… Scherzi a parte, il punto cruciale non sono i classici letterari, ma la percezione dei classici letterari. Che in genere – parlo per noi inglesi, ma temo proprio che sia così anche da voi – sono visti come qualcosa di barboso, accademico, che non diverte, che non ti fa ridere. Shakespeare è sempre un argomento moooolto serio, mica ci si può scherzare sopra. E invece io ho voluto divertirmi, ma fondamentalmente restando fedele allo spirito originario dell’opera. Jane Eyre è un grande romanzo, e poi è anche molto conosciuto: anche se non l’hai letto o non hai visto i film tratti da esso, sai che Jane Eyre è un personaggio di una storia vittoriana melodrammatica, è un classico ed è qualcosa di serio. E poi, ovviamente, è di dominio pubblico, così sapevo che non avrei avuto problemi di copyright… Fondamentalmente mi diverto a scherzare su cose su cui di solito non si scherza, perché sono convinto che l’irriverenza sia davvero salutare.

[Articolo in origine pubblicato su PULP Libri n. 64, novembre-dicembre 2006, pp. 20-23)

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