Tarantino, appena maggiorenne, Giancarlo De Cataldo arriva a Roma per compiere gli studi giuridici. Poco più di una dozzina di anni dopo pubblica il suo primo romanzo giallo, Nero come il cuore, per i tipi di Interno Giallo, casa editrice milanese che ebbe breve vita. Da subito alterna una grande produzione di genere a scritti di altra natura. Particolarmente fortunato fu il racconto lungo, Terroni, pubblicato dalla romana Theoria nel 1995. Ma fu agli inizi del 2002 che il suo talento toccò l’apice del successo quando l’editore Einaudi pubblicò Romanzo criminale, ottenendo grande successo da parte di tutti gli ambiti culturali e dal non facile mondo della critica letteraria.
Da quel giorno in poi il percorso letterario di De Cataldo è accompagnato da un consenso molto allargato. Oltre al suo lavoro di Giudice di Corte d’assise, collabora con diversi testate giornalistiche ed è sceneggiatore teatrale e cinematografico.
Ha al suo attivo una trentina di romanzi, 18 sceneggiature, 12 soggetti e 2 opere teatrali.
Tra letteratura, cinema e televisione la forza di attrazione che ha questo genere di narrazione (il romanzo giallo e noir) non solo non si esaurisce ma cresce continuamente. Come se lo spiega?
Da un lato, direi che si è ormai consolidata una comunità di lettori che si riconosce nel genere, e rappresenta lo “zoccolo duro” degli appassionati. Un risultato molto positivo, tenuto conto del tempo che occorre a creare una simile comunità, alla necessità di non deludere i lettori, al feedback che si viene a instaurare fra chi scrive e chi legge. Dall’altro lato, evidentemente, c’è qualcosa di più specifico, e cioè l’interesse nei confronti del racconto intorno al male, e in particolare a quel “male criminale” che tanto spazio ha nelle nostre vite, sia di cittadini di uno scenario internazionale quanto mai complesso e contraddittorio che di italiani, dunque abitanti di uno dei Paesi più controversi e indecifrabili al mondo. Il “nero” e il “giallo”, se così vogliamo chiamarli, forniscono eccellenti chiavi di lettura della realtà contemporanea. E come tali sono percepiti. Infine, io non sottovaluterei l’effetto-relax, cioè la capacità di molte delle nostre scritture di costituire un sano momento di svago nelle vite complicate di tanta gente. Non c’è niente di male nel riconoscerlo, e serve anche a guadagnare in distacco e a temperare quel peccato di narcisismo nel quale, prima o poi, tutti siamo destinati a cadere.
D’altra parte però il genere noir è diventato una moda, soprattutto per gli scrittori esordienti. Questo è dovuto al fatto che il tessuto narrativo offre delle sicurezze in determinati schemi che rendono il lavoro più agevole, più facile?
Mah! Se proprio vogliamo cercare la moda, oggi si annida piuttosto nelle saghe sentimentali, nel soft-porno e nei ricettari. Che ci sia del manierismo è innegabile, ma è il prezzo che ogni scuola deve pagare al suo strutturarsi come segmento dell’accademia, e questo in parte è accaduto al noir italiano. Ed è anche vero che la struttura del genere obbliga al rispetto di un canone ben preciso. Ma questo è un bene, a mio avviso, perché obbliga la scrittura a farsi sempre meno autoreferenziale, solipsistica, ripiegata sull’Io sciamanico dell’autore come catalizzatore delle tensioni universali. Un po’ di sana modestia, anche qui, non guasta.
In questi giorni è uscito in libreria l’ultima sua fatica, Alba nera (Rizzoli, pp 312, euro 19,00). Un libro perfetto da portare con sé in vacanza, senza che, per questo, sia una banale occasione di intrattenimento. Come nasce l’idea?
Ho già detto che non considero per niente banale l’intrattenimento! A me, per esempio, piace tantissimo leggere libri “leggeri”, alternandoli magari con saggi poderosi o con gli indiscutibili classici (quando se ne parla, non si sbaglia mai: basta confessarsene entusiasti, a condizione che l’autore sia defunto da un congruo numero di anni). Scherzi a parte: l’idea del noir al femminile nasce da un lavorio con Carlotto e Lucarelli (ai quali il libro è dedicato) e, ancora prima, con Maurizio De Giovanni, corresponsabile, con Massimo Carlotto, dell’avventura di Sbirre. C’è poco da fare: il mondo, anche quello criminale, è delle donne. E noi ci siamo sforzati di raccontarlo, così come, ai tempi dell’antologia Crimini, ci sforzammo di raccontare l’Italia criminale del 2000. Quanto ad Alba Nera, oltre all’esplorazione del carattere del tutto peculiare della protagonista, tutto ruota intorno a una domanda di fondo: che cosa accade quando ti rendi conto che quella scelta che una volta ti ha cambiato la vita era la scelta sbagliata? Una situazione decisamente spinosa nella quale (io credo) molti si sono ritrovati.
Vi si ritrovano alcuni temi a lei molto cari. Tra questi c’è senz’altro Roma. Lei è nato a Taranto e vive nella Capitale da metà degli anni Settanta. Ha sempre dimostrato un amore per la città, ma anche espresso una critica spietata per i suoi difetti. Roma le offre anche un set utile per le sue ambientazioni? Il potere, la bellezza, l’umanità, la violenza, il degrado, la confusione …
Come tutti gli immigrati che, nel corso dei secoli, hanno arricchito Roma, o l’hanno depredata, o si sono arricchiti, o ne sono stati depauperati, ambientarsi in questa benedetta e folle città significa diventarne parte, come le sue pietre, i suoi monumenti, la sua storia millenaria. Roma è un organismo vivente, popolato di milioni di cellule che a volte impazziscono e si scontrano furiosamente le une contro le altre, ma poi riescono sempre, quasi per miracolo, a ritrovare un equilibrio. Tutto ciò che può accadere a un essere umano può trovare in Roma il suo scenario ideale. Tutto. E per questo mi è letteralmente impossibile non scriverne. Anche quando sembra che stia scrivendo d’altro.
Questa volta la protagonista principale è Alba Doria, finalmente un commissario donna. Molto ambigua perché afflitta da un disturbo grave della personalità che unisce sociopatia, narcisismo e abilità manipolatoria. Una figura perfetta per attraversare la trama del noir.
In Alba leggo alcuni tratti ricorrenti del nostro tempo attuale. Soprattutto quella granitica determinazione che punta al trionfo a ogni costo, o, se volete, costi quel che costi. A me una come Alba fa paura. E nello stesso tempo, non posso non provare attrazione per lei: perché, se non altro, nel mare della psicosocietà nel quale tutti ci dibattiamo, ha preso consapevolezza di sé. Ed è persino capace di esprimere una certa critica verso i propri modi di essere. Qui la domanda è: questa follia che mi porto dentro, la Triade Oscura… si potrà farne un buon uso, o è una condanna che fatalmente condurrà all’abisso? In Alba Nera non c’è risposta. Forse, chissà, arriverà in futuro.
Anche la presenza della musica costituisce un elemento di novità. Piacevole, nella lettura, suggestivo per l’immaginazione. Perfetto per Roma che è una delle città con più locali Jazz in Italia.
Adoro la musica, e non perdo l’occasione per infilarla nei miei romanzi. Qui ce n’è di più perché un personaggio è sbirro ma anche musicista, il che crea un singolare contrasto. Il jazz è incompatibile col potere perché è musica della libertà e dell’improvvisazione. E non a caso, nell’era dell’algoritmo, è diventato cultura di nicchia.
Ultima cosa: il potere. Da parte sua c’è sempre stata una grande attenzione verso la critica dei comportamenti e delle malefatte dei potenti. Anche in quest’ultimo libro è così. Vi si trovano anche brevi frasi prese dalla nostra attualità. Come vede l’Italia oggi dal suo punto di osservazione?
Il proposito era di abbandonare il realismo di Suburra, della mala di Ostia, dei clan, e di scrivere un noir ai confini del metafisico. Quanto più lontano dalla realtà. Evidentemente ci sono riuscito solo in parte, perché la sua domanda è ricorrente, da quando sto girando per le presentazioni di Alba nera. Va bene, allora, ammetto: non riesco a isolarmi dal contemporaneo, il vuoto pneumatico dopo un po’ mi terrorizza e ho bisogno di ancorarmi al presente. E, sì, il potere è un’ossessione, ma non lo è solo per me, lo è per tutti noi, anche per quelli che non se lo confessano. Come vedo l’Italia di oggi? Per una risposta non banale servirebbe molto più spazio, e poi si dovrebbe dare per scontato che la mia visione abbia un qualche interesse. Mi limiterò a osservare che vedo svariate Italie, la livorosa, la solidale, la vendicativa, la mite, la furibonda, l’accogliente. E mi domando, con una certa preoccupazione, quale di esse, alla fine, prevarrà.