Intervista a Fabio Sanvitale

Si parla molto e spesso a sproposito di criminologia. Il termine assume nella vulgata mediatica risonanze piuttosto romanzesche e assai poco scientifiche. Vorresti, per cominciare, fare un po’ di chiarezza su questa disciplina?

Certo, la criminologia è per definizione la disciplina che studia i crimini e i criminali. È un po’ un grande contenitore che al suo interno ha tre grandi filoni interpretativi: uno psicologico/psichiatrico, uno sociologico e uno giuridico. La criminalistica, invece, è tutt’altra cosa: è l’insieme delle discipline che si occupano di esaminare la scena del crimine, i mezzi usati per compierlo, la vittima e l’autore di reato al fine di trovare tracce utili. E quindi troviamo la balistica, la medicina legale, la dattiloscopia, la tossicologia forense, la biologia forense, la grafologia forense… Spesso si fa confusione tra criminologia e criminalistica. E spesso si crede che CSI rappresenti la realtà, il che non è vero: la realtà è molto più complessa dei 26 minuti di una puntata. Un’altra confusione è pensare che uno psicologo, un investigatore privato, uno psichiatra siano automaticamente dei criminologi: non è così. Devi avere ottenuto dei titoli accademici specifici, per poterlo fare.

True crime e giornalismo investigativo; cosa significano esattamente queste etichette? Dopo aver definito la materia, puoi tracciare una breve storia di come questo genere è nato e si è evoluto nel tempo? Puoi spiegarci anche se esistono differenze sostanziali fra come viene praticato in Italia e in altri paesi?

Il true crime è un genere letterario che innanzitutto racconta (e spesso re-indaga) un caso di nera: quindi non un giallo, non un noir, ma pura realtà. L’origine dovrebbe risalire ai resoconti di omicidi stampati su fascicoletti di 6-24 pagine che erano diffusi nell’Inghilterra della metà del Cinquecento: racconti molto pulp e moralisti al tempo stesso! Charles Dickens e Thomas De Quincey sono stati gli antesignani del primo true crime, un genere a cui appartiene anche A sangue freddo di Truman Capote. Il giornalismo investigativo è la definizione più attuale del giornalismo d’inchiesta, di quel modo di fare il giornalista che non si accontenta delle versioni ufficiali, ma scava dietro, per vedere cosa c’è e se c’è qualcosa che viene nascosto al pubblico. Ecco, il true crime è una evoluzione naturale del giornalismo investigativo. Differenze ce ne sono soprattutto tra quello statunitense e quello italiano. Gli statunitensi per raccontare una storia partono da lontanissimo, ti fanno la storia della città in cui è successo; noi siamo più diretti, andiamo al sodo. Loro narrano spesso in modo uniforme, snocciolando i fatti, noi siamo più sanguigni. E infine sono più prolissi di noi. È normale vedere un true crime statunitense di 400-500 pagine, da noi finisci con l’almeno dimezzare lo sviluppo delle pagine, altrimenti non rientriamo coi costi. E poi, probabilmente, siamo più sintetici…

Quale è la tua storia personale attraverso questo modulo narrativo? Come nascono i tuoi libri?

Ho sempre voluto occuparmi di cronaca nera, anche se ci sono arrivato tardi. Nel frattempo leggevo di tutto e quindi capivo come altri autori affrontavano quello che avrei voluto fare. La mia storia nasce nel 2010, col primo libro, un’indagine sulla Saponificatrice di Correggio, un personaggio davvero letterario se non fosse esistito davvero. Da allora ho seguito, in tutti i libri scritti dopo (nove, otto dei quali con Armando Palmegiani: ormai siamo una coppia affiatata, tutti per Armando Editore), tutti sviluppati con lo stesso stile: rifare da capo l’investigazione sul caso, partendo dagli atti processuali, da quelle migliaia e migliaia di pagine. Unendo il giornalismo d’inchiesta con le capacità di Armando, che è un bravissimo esperto della scena del crimine. Non esiste in Italia una coppia di autori/esperti del settore che sia così prolifica: un libro all’anno. Per ognuno di loro, andiamo sul posto, parliamo con le persone, parliamo con esperti del settore. E troviamo puntualmente qualcosa che era sfuggito, o riusciamo a spiegare aspetti che erano rimasti inspiegati.

Che itinerario suggeriresti al lettore interessato ai casi che hanno originato i tuoi libri? Qual è il percorso ideale attraverso la tua nutrita bibliografia?

Suggerirei innanzitutto di non dare nulla per scontato. Quello che ho imparato dalla crininologia è l’equilibrio del giudizio e il metodo scientifico: la pancia non serve, quella è roba da politici di mezza tacca e di chi non vuole davvero sapere, ma solo trovare conferma di quanto già pensa. È un percorso che parte dalla Roma degli anni Venti di Gino Girolimoni e racconta la città attraverso più epoche: il boom economico degli anni Cinquanta col Caso Fenaroli, i retroscena della Dolce Vita degli anni Sessanta coi casi dei coniugi Bebawi e di Christa Wanninger, l’estate dello sbarco sulla Luna con gli omicidi del “Mostro del Tevere”, Vincenzo Teti; l’omicidio di Pasolini negli anni Settanta (con la Roma delle borgate). E poi la città degli anni Ottanta, dove alla Magliana il Canaro compie un delitto barbaro; e quella degli anni Novanta, con un grande capovolgimento di ruolo e la strage delle Guardie Svizzere, in Vaticano. Insomma, la nostra Roma l’abbiamo raccontata in tutte le salse. Da lì siamo partiti prima per in Nord (Cogne ed Erba), poi per il Sud (Elisa Claps). Credo che stiamo ormai davvero raccontando l’Italia attraverso la cronaca nera.

Tra tutti quelli che hai affrontato, qual è il caso che più ti ha appassionato (escludendo Pasolini di cui parliamo dopo…) e quello in cui la tua indagine ha apportato svolte o nuove soluzioni?

Direi il primo, quello sul caso Girolimoni; e quello sul caso Fenaroli. Gino Girolimoni fu accusato di essere un serial killer pedofilo, ed era clamorosamente falso: la sua storia umana, nella Roma del Ventennio, è straziante, toccante. È l’emblema di tutti gli innocenti perseguitati. E poi il caso Fenaroli, 1958: un intreccio narrativo strepitoso, degno di un giallista eccezionale. Grandi personaggi, colpi di scena e l’irrompere degli elementi della modernità nella preparazione di un omicidio. La miglior prova che attraverso la cronaca nera si può capire e scrivere la storia di un Paese.

Il tuo libro probabilmente più famoso, data l’importanza del protagonista, è quello che affronta il delitto Pasolini: ne è stato tratto recentemente anche un documentario basato sui risultati delle tue indagini sul caso. Vuoi parlarci di Pasolini, delle conclusioni cui giungi nel tuo libro e di come è nato il documentario?

Certo, il delitto Pasolini non potevamo non affrontarlo ed è uno di quei casi sui quali più di altri siamo riusciti a portare novità concrete (l’altro è il Canaro della Magliana). Abbiamo sfrondato la vicenda di tutte le incrostazioni assurde, come la vicenda di Petrolio: ma è mai possibile supporre il furto del capitolo di un libro, quando di questo capitolo è stata ritrovata una pagina con un titolo? Cosa vuol dire, che hanno rubato le parole dal foglio? Abbiamo anche capito che l’utilizzo di quelle armi per uccidere indicava chiaramente non la volotà di uccidere, ma di dare una “ripassata” a Pasolini, per ragioni che spieghiamo. Abbiamo capito che la confessione dei fratelli Borsellino era tragicamente vera e invece non fu presa sul serio dai giudici. Un paio d’anni fa ne stavo parlando col produttore Daniele Baldacci ed ecco che abbiamo pensato che questa storia poteva essere giusta per stare in un documentario, che ho poi diretto. 37 minuti scorrevoli per raccontare come andarono le cose quella notte all’Idroscalo di Ostia.

L’ultima domanda è sui tuoi progetti futuri e sul libro che sta per uscire in questi giorni.

Stiamo lavorando (io e Armando Palmegiani, ovviamente) al libro del 2020 mentre in ottobre esce quello nuovo, su Elisa Claps. Abbiamo ripercorso tutto il caso di Elisa, ritrovata nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità di Potenza nel 2010, 17 anni dopo la scomparsa. Il colpevole è noto, Danilo Restivo, ma c’era da raccontare come sia stata possibilie tanta omertà a Potenza, come sia successo il secondo omicidio di Danilo, quello commesso in Gran Bretagna, di cui qui non si è scritto tantissimo. C’era da cercare di entrare nella testa di Restivo. Gildo, il fratello di Elisa, ha apprezzato tantissimo il nostro lavoro, anche se non è certo il primo libro sulla vicenda che lo ha riguardato: anche questo è un motivo di grande soddisfazione per noi. Per il 2020, invece, viaggeremo per il Nord Italia, per affrontare uno dei casi più inquietanti dell’Italia nera degli anni Novanta. Suspence…


Fabio Sanvitale è nato nel 1966.  Giornalista investigativo e scrittore, ha studiato criminologia, è laureato in Scienze e Tecniche Psicologiche ed ha conseguito un Master in Criminologia. È Ha diretto il documentario Pasolini, poesia e sangue (2019).

Ha pubblicato:

con Vincenzo Mastronardi,
Leonarda Cianciulli. La Saponificatrice (Armando, 2010)

con Armando Palmegiani
Un mostro chiamato Girolimoni (Sovera, 2011)
Morte a Via Veneto (Sovera, 2012)
Omicidio a Piazza Bologna (Sovera, 2013)
Sacro sangue (Sovera, 2015)
Accadde all’Idroscalo (Sovera, 2016)
Amnesie (Sovera, 2018)

con Armando Palmegiani e Vincenzo Maria Mastronardi
Sangue sul Tevere (Sovera, 2014)

con Chiara Camerani e Perla Lombardo,
Satanismo tra mito e realtà (Sovera, 2017).