Enzo Fileno Carabba, fuoriclasse 1966, vincitore del premio Calvino a 25 anni (Jacob Pesciolini, Einaudi 1992), autore di molti romanzi, racconti, sceneggiature radiofoniche, poesie, saggi, libretti musicali (Integrale Sade, su musica di Sylvano Bussotti, 1989; I fantasmi canterini, su musica di Antonio Eros Negri, Luca Tieppo e Davide Daolmi.; Non è più notte, su musica di Sylvano Bussotti, 1996; L’Eroe dei due Mondi, su musica di Carlo Boccadoro, 1999), libri per bambini, romanzi autobiografici. Elfo dei boschi, ha ambientato i suoi romanzi sulle colline che generano santi e assassini (Pessimi segnali, Gallimard, 2003; Marsilio, 2004; Le colline oscure, Barbera editore, 2008), ma anche nel mare (Jacob Pesciolini, Einaudi, 1992; La foresta finale, Einaudi, 1997; La zia subacquea e altri abissi famigliari, Mondadori, 2015).
Firenze, sua città Natale, è un demone persistente. Carabba è una atipica guida turistica (In gita a Firenze con Enzo Fileno Carabba, Paravia, 1997), conosce vecchie signore che sanno di arsenico e merletti (Con un poco di zucchero, Mondadori, 2011); incontra Lorenzo il Magnifico, Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti (Il Palazzo, Edizioni Clichy, 2016), e scrive racconti ispirati alle Vite del Vasari (in uscita per Bompiani nel 2020). A proposito di vite, da molti anni racconta vere storie d’amore per il Corriere fiorentino (siamo oltre la quattrocentesima puntata).
Nei mondi creati da Carabba le visioni, assurde e luminose, profondono una stramba ed eccelsa saggezza. Metafisica e fisica si compenetrano ballando al ritmo di un umorismo geniale. La sua lingua è esatta nello stralunamento, poetica e piena di grazia, candida nel raccontare orrori e squinternare luoghi comuni, ingegnosa nel creare regie sottilmente apocalittiche e sorprendentemente spiritose.
Molti sono i libri per bambini e ragazzi. Il cubo incantato (Panini, 1998); La bambina nella tempesta (Adn Kronos Libri, 2000); Il Natale delle mutande di latta (Ore Piccole, 2007); Attila, l’incontro dei mondi (Laterza, 2000;-Feltrinelli, 2012); Conosci i tuoi polli (Rêverie, 2013); Fuga da Magopoli (Salani, 2010; Marcos y Marcos, 2017); Battaglia a Magopoli (Marcos y Marcos, 2017) e quest’ultima pubblicazione, Storie fantastiche di paura, Giunti, 2019, scritto con altri due autori, Anna Maria Falchi e Marco Vichi.
Preziosa la copertina, con teschi, corvi, salamandre e spade. Al centro, un groviglio di spine avvolge una bara. Le illustrazioni di Laura Berni sono belle e spaventosamente poetiche.
Grazie a La zia subacquea e altri abissi famigliari (Mondadori 2015) abbiamo conosciuto una tua famiglia, a dir poco stravagante. Chi ti ha iniziato a Emma Perodi?
Avevo questa bisnonna ottocentesca. Piccola, indomita, irradiava energia e, quando non litigava con la nonna (sua figlia), se ne stava seduta sul suo trono, la gigantesca poltrona gialla, e mi raccontava storie bellissime. Anche le Novelle della nonna di Emma Perodi. Mentre leggeva era un concentrato di attenzione e passione. Grazie a lei, l’Ottocento è per me un caldo abbraccio.
Le chiedevo di saltare la cornice realistica, le vicende della famiglia Marcucci, per me irreali, e di andare direttamente alla parte vera, viva, attuale, quella che mi riguardava personalmente: le storie fantastiche, possibilmente mostruose. La bisnonna alzava lo sguardo dal libro e accettava volentieri, con uno scintillio demoniaco negli occhi che ricordo con amore. Scivolavamo insieme nei miei incubi preferiti. Così sono cresciuto con le storie mostruose. Ho cominciato a scrivere. Ho conosciuto molti scrittori. Mi sono accorto che di solito gli autori che scrivono solo di cose buone e ragionevoli sono personaggi temibili, mentre quelli che scrivono storie terrificanti sono ottime persone. La Perodi, donna con una cornice mentale pedagogico-antropologica e un ribollente centro oscuro, doveva essere una persona interessante.
Tu girovaghi in collina, ti addentri nei boschi. È così che sei diventato confidente dei mostri del Casentino?
Un’altra nonna mi ha trasmesso la passione dei giri a piedi e così, imboccato un sentiero stregato, sono diventato adulto di colpo e, con uno zaino in spalla, stavo percorrendo i luoghi descritti nelle Novelle. Sono arrivato a un incrocio in cui il mondo fisico e il mondo fantastico si sono uniti. C’è chi dice che la Perodi non sia mai stata nei posti che descrive: questo non li rende meno veri. Un giorno stavo di nuovo camminando in questi territori che, forse, lei aveva solo immaginato. Ho capito che ero lì per lei, per farglieli vedere con i miei occhi: alla Perodi e alla bisnonna. Formiamo un terzetto parzialmente invisibile. Uno dei giri più belli è stato quello sulle orme della Befana. La calza della Befana, una novella dell’orrore che verrebbe censurata dalla morale corrente. Descrive delle vecchie orrende, e noi invece oggi dobbiamo dire per forza che bellezza e bruttezza sono relative e che l’età non conta e che tutte le persone hanno una loro bellezza. Magari facciamo bene a insistere con discorsi ragionevoli di questo tipo. Neanche io sono più un ragazzino: sottoscrivo quindi energicamente il dogma contemporaneo per cui la bellezza è relativa e l’età non conta. Resta il fatto che le signore della Calza della Befana hanno un fascino particolare che verrebbe meno se invece che vecchie decrepite diventassero ragionevolmente anziane e fossero meno orrende, bavose e cattive. Brindiamo dunque alle orrende megere: che possano vivere in eterno!
Un mio amico cresciuto in Casentino si è stupito che mi fossi lanciato in queste passeggiate solitarie sulle orme della Perodi. Lui ha ricevuto un’educazione punk, da ragazzo cercava il degrado urbano. Purtroppo abitando in Casentino il degrado urbano era raro e allora lui e i suoi amici partivano verso qualche metropoli, sdegnavano il centro e puntavano alla periferia e quando vedevano dei bei palazzi brutti si chiedevano commossi “Sarà vero degrado urbano?”. Per lui la mente della Perodi aveva qualcosa di troppo antico e non degradato, così piena di castagne. I punk sono ostili alle castagne. Il mondo della Perodi uno tende a immaginarlo così: il castello perfetto, il bosco integro, la casa senza abusi edilizi, il bel caminetto, il lavoro dei campi, faticoso ma salutare. Pochissimo degrado urbano. Però penso che il lato nero della Novelle della nonna piacerebbe anche al mio amico e sarebbe giusto metterlo in luce, ammesso che si possa mettere in luce un lato nero.
Leggendo le Storie Fantastiche di paura si oscilla tra una vena morale e pedagogica, e una narrazione libera, pericolosamente dissidente. Come può il lettore conciliare il suo senso di colpa quando vorrebbe stare dalla parte del diavolo? Gli fai fare una bellissima figura quando, per esempio, distrugge le persone, semplicemente esaudendo i loro sogni.
I sogni son desideri. Ma i desideri sono porte. Mi sembra il tema decisivo delle Novelle, visibile a occhio nudo nel Diavolo che si fece frate, riscritta da Marco. Per quanto riguarda Anna Maria, mi risulta che una sua protagonista, La fidanzata dello scheletro, abbia avuto addirittura una relazione, col diavolo. Del resto, è sempre piaciuto molto.
Colgo nelle novelle della Perodi, come coglievo nello sguardo della bisnonna, dei lampi di disobbedienza (per esempio l’avversione più volte ribadita per la Divina Commedia) chiaramente pre-punk. Sono convinto che questi aspetti irriverenti possano raggiungere anche le persone che, per quanto il fuoco nel camino sia grande, rimangono tiepide di fronte al valore culturale delle castagne. Ora che sono più che cresciuto mi rendo conto che la mia preferenza per il lato fantastico è discutibile. Il fascino delle Novelle della nonna è anche nell’interazione tra i due piani, lo scivolamento da un livello di realtà all’altro: la cornice realistica e moraleggiante che dialoga con le novelle, attraversate da fiammate fantastiche che ogni tanto vanno per conto loro rispetto allo schema pedagogico. In quel periodo bisognava fare l’Italia e gli italiani: tema tornato di attualità. Ma l’aspetto pedagogico e quello antropologico non sono in contraddizione con la potenza fantastica. Del resto, l’horror ha anche un volto didattico, e la didattica può essere terrorizzante. Luigi Capuana, uno strano verista, mi parlava spesso attraverso la voce della bisnonna. Negli stessi anni della Perodi scriveva: “In quel tempo ero triste e anche un po’ ammalato, con un’inerzia intellettuale che mi faceva rabbia, e i lettori non immagineranno facilmente la gioia da me provata nel vedermi, a un tratto, fiorire nella fantasia quel mondo di fate, di maghi… Vissi più settimane soltanto con essi, ingenuamente, come non credevo potesse mai accadere a chi è già convinto che la realtà sia il vero regno dell’arte” (Prefazione a C’era Una volta, 1881). Più in là parla di una “deliziosa allucinazione”. Capuana, Collodi e la Perodi frequentavano gli stessi ambienti a Roma. E la Perodi aveva una figlia di cui non volle mai rivelare il padre: una donna di carattere. Mi piace pensare che quest’uomo misterioso fosse Capuana o addirittura Collodi.
Del libro hai scritto la regia e la maggior parte dei testi. Cosa ti ha portato a farti ispirare da queste favole che hanno già storicamente scombussolato i sonni di molti bambini?
Per molti anni ho creduto che tutti conoscessero la Perodi. Poi mi sono accorto che non è vero. In certi momenti è stata un classico (c’è anche un’edizione dei Millenni Einaudi). Ma i classici, nonostante il nome, compaiono e scompaiono. Ogni tanto si inabissano come fiumi sotterranei per emergere chissà quando. L’Italia ne è piena. Oggi, fuori dal Casentino, non troppe persone leggono la Perodi. Quell’amico dalla tenera infanzia punk di cui parlavo prima è Andrea Merendelli, regista teatrale, è lui che ha avuto l’idea di fare uno spettacolo ispirato alla Perodi e mi ha coinvolto, insieme a Mirko Revojera (contastorie) e Giorgio Pinai (musicista). Un grande incontro per me. Ti basti dire che era prevista un’attrice sexy che interpretasse l’Incantatrice, ma io volevo Mirko: come fa la maliarda lui non la fa nessuno, con quella bella barba. Poi lo spettacolo non è stato realizzato compiutamente, ma mi è rimasta la voglia di riscrivere le Novelle della nonna. Come potevo fare? Proprio in quel momento è apparsa una fatina che ha preso le sembianze di Stefano de Martin, era da un po’ che lavorava sull’argomento. Ha anche portato in giro per l’Italia una mostra sulla Perodi, cercando di farla conoscere sempre di più. Così ha pensato a un libro ed è diventato il nostro curatore che è anche un po’ un guaritore.
Come avete lavorato a sei mani, con Anna Maria Falchi e Marco Vichi?
Il lavoro ha avuto inizio qualche anno fa, prima che parlassimo della Perodi, approfondendo le abissali differenze che ci uniscono. Le Perodi sono almeno due, forse erano due gemelle: una assennata e l’altra pazza. Noi ci siamo messi in tre, per assicurare una giusta dose di schizofrenia. Non ti dirò chi è la gemella pazza.
“Perché le riscrivete, sono scritte male?”, mi ha chiesto un amico che adora le castagne, altrimenti la domanda non gli sarebbe passata per la mente. Risponderò così: credo nella reincarnazione delle storie. L’idea era quella di far emergere gli aspetti che ci sono, ma a volte, per ragioni di linguaggio o di ritmo, non si vedono bene: per esempio i risvolti horror, come ho detto (La calza della Befana) ma anche quelli seduttivi, sensuali (L’incantatrice). E infine gli aspetti ironici, latenti proprio nei passi più seri del testo che sono quelli più lontani da noi, o da me. Del resto, anche molte novelle della Perodi sono riscritture, o trasposizioni scritte di racconti di novellatrici orali. Questo non solo non è negativo: è proprio bello. Storie che attraversano le generazioni e vengono raccontate in modo diverso. Storie che prendono nuove forme. Parole che devono cambiare per trovare il modo di raggiungerci. Personaggi che sono – come noi – portatori di sentimenti e conflitti interiori che durano da secoli. Tempo fa ho ritrovato una novella scritta dalla bisnonna ottocentesca. Sulla prima pagina c’è scritto “Per Nuccio. La nonna Luisa. 1971”. Nuccio sono io, mi chiamava così. Ancora non sono riuscito a decifrare la sua scrittura. Ma presto spero di raggiungere quelle parole che mi aspettano da molto tempo. Qualsiasi cosa dicano, parlano anche della Perodi.
“Vediamo se capite qualcosa. Dalle facce non si direbbe. È una storia con il bene e il male. Non siete più abituati”, dice la vecchia signora all’inizio del libro. L’eterna lotta tra Bene e Male è la chiave di lettura del libro. Com’è la lotta tra il Bene e il Male per Enzo Carabba?
Ci devo pensare per qualche anno. Sono convinto, come immagino la maggior parte di noi, che una separazione netta non esista. Più che una lotta è un matrimonio. Mi sembra però che questa ragionevole visione – che tende a ridimensionare il Bene e il Male – finisca per trascinare le nostre vite verso un ideale di praticità tendenzialmente depressivo. Qualsiasi cosa se ne pensi sul piano morale, va detto che l’eterna lotta tra il Bene il e il Male suona piuttosto esaltante.
“Perché andava avanti? Seguiva la scia argentata. Per l’essere umano è bello seguire una traccia, una direzione, tracciata da altri, soprattutto quando lo porta all’inferno”. Bertino segue la Befana che mangia la cenere e cavalca una bavosa lumaca. È terrorizzato, ma in realtà vuole che lei lo veda. Inconsciamente la vuole sfidare. L’inconscio in questa favola è la vera insidia. Mettersi in pericolo per scappare dalla galera del consueto è irresistibile. Nella scrittura, sei fedele e prudente come Santina o azzardato come Bertino? Ci dai un consiglio per armonizzare le due nature?
Tutti noi ci chiediamo perché, nei film dell’orrore, il protagonista sia così stupido da scendere nella cantina dove chiaramente c’è il mostro. Però quando mi sono trovato davvero in una situazione simile ho fatto esattamente lo stesso. In noi ci sono verità che sono nate prima di noi e vanno seguite, ma con prudenza. Se l’inconscio è inconscio ci sarà un motivo.
“La calza rossa del controllo. Meglio il possesso del processo”. Sono immagini terrificanti, ne La Befana Carnivora. Come possiamo sfuggire alla calza rossa con cui vogliamo controllare il mondo o il mondo vuole controllare noi? La letteratura può salvarci?
Salvarci non credo. Aiutarci sì. Le storie non ci salvano ma finché riusciamo ad ascoltarle ci aiutano a vivere meglio. Un uomo che dopo aver ascoltato un racconto si sente invadere da un misterioso calore e dice “Che bella storia” è un uomo che per un attimo è… bè, forse sì: è salvo.
Tutti i genitori desiderano avere un figlio con molto cervello. E in una delle tue favole il cervello è così tanto che nasce un figlio con due teste. Un mostro. O sono i genitori, i veri mostri? Non possiamo dire come finisce la favola, ma è una fine bellissima.
Non mi conviene colpevolizzare i genitori perché ho quattro figli. Metti che leggano questa intervista. E poi comunque nel racconto la figura peggiore la fa la madre.
Gli oggetti magici della favola sono i sentimenti. Ce ne parli?
I sentimenti attraversano le generazioni. Gli individui sono dei portatori, come dicevo. Forse l’eterna lotta tra il Bene e il Male è questo. Noi siamo il campo di battaglia. Però la vita non è un dramma. Nessun campo di battaglia ragionevole ama essere tartassato oltre un certo limite. Meglio agevolare quei sentimenti che ci fanno vivere bene.
Nella novella dell’Incantatrice, Santina regala al fidanzato Gosto un campanellino che suona e si sente a qualsiasi distanza, in caso di pericolo. Questo campanellino rappresenta, anzi in qualche modo è, la forza del legame. Un sentimento esterno a Gosto. Infatti all’inizio Gosto non lo sente così forte, il legame, e non crede affatto alla magia del campanellino. Ma a un certo punto il campanellino suonerà, facendo accorrere Santina. Ora il campanellino è dentro di lui, diciamo così. Santina all’inizio presume in Gosto una virtù che lui ancora non ha, ma che alla fine si manifesta: questa virtù è il campanellino.
Infine, la vecchia splende, “nutrita da tutte le storie che aveva raccontato e dal fatto di essere ascoltata davvero. Una benedizione per i vivi e per i morti”. Come possiamo elargire questa benedizione a tanti più bambini? Einstein diceva, se volete figli intelligenti raccontategli favole. Se li volete molto intelligenti raccontate loro molte favole. Tu che sei più intelligente di Einstein – perché le favole anche le scrivi – puoi lasciarci una formula magica?
Di Einstein ho sentito dire un gran bene. Per cui seguirei le sue indicazioni. Certe favole si imprimono così in profondità nella nostra mente che niente te le può portare via. A me è successo. Non so se sia una questione di intelligenza, ma ha qualcosa a che fare con la felicità. Per quanto riguarda la formula magica, è semplicissima: bisogna ripetere il proprio nome al contrario fino a quando il mondo attorno a noi si dissolve in una nebbia deliziosa. A quel punto esci di casa e ti fai un giro.
Ti ho chiesto una formula magica, ma alla fine di questa chiacchierata sarà chiaro a chiunque che il tuo oggetto magico sono le parole. È anche evidente che gli alchimisti sono scrittori mancati, che hanno speso tanti soldi in alambicchi piuttosto che in libri. Tu che la pietra filosofale l’hai trovata nella culla, hai inventato Magopoli. (Fuga da Magopoli, Salani 2010_ Marcos y Marcos 2017; Battaglia a Magopoli, Marcos y Marcos 2017). Un luogo dove gli adulti credono unicamente nella magia e costringono i bambini a diventar maghi. Il rovesciamento con la cosmogonia di Hogwarts ci dà finalmente tregua. Magopoli è un universo di incontri e scontri tostissimi. Tre ragazzi, un cane, una cornacchia, un cinghiale, una piovra, un piccolo e potentissimo pianoforte, nonni armati, decisi a difendere i nipoti dalla morsa del Tritacarne, dell’ignoranza e delle superstizioni. Tanti personaggi e colpi di scena ad alta densità, sempre con un delicato umorismo che pervade anche le cose più tragiche. Libri che si leggono con delizia, a qualsiasi età. “Alla resa dei conti, la magia fallisce e l’amicizia fa miracoli”. Ci racconti di Magopoli?
È un mondo in cui è obbligatorio essere magici. Se verso i tredici anni (meglio prima) non cominci a fare magie straordinarie finisci male. Sono sempre stato attratto dalle cose meravigliose, dai prodigi, dai maghi e dagli incantesimi, come tutti, ma più di alcuni. Un giorno mi sono chiesto: e se essere magici e meravigliosi fosse obbligatorio? Un incubo. Magopoli è questo incubo.
Anni fa mia figlia stava guardando il cartone animato Spirit cavallo selvaggio. Disse: “Non sarebbe meglio Spirit cavallo normale?” È un po’ lo stesso discorso.
Enzo Fileno Carabba, Anna Maria Falchi, Marco Vichi, Storie fantastiche di paura, Giunti 2019, pp. 288, stampa € 18, € 9,99.