La bambina che mangiava i comunisti (2022) e La figlia della serva (2024), editi da Vallecchi, sono gli ultimi romanzi di Patrizia Carrano, giornalista, scrittrice e sceneggiatrice che ha lavorato per i settimanali “Amica”, “Elle”, “Panorama”, “Sette”, per Rai 3 e Rai 1, e ha seguito numerose edizioni del Festival del Cinema di Venezia. Le protagoniste dei libri sono Elisabetta e Franca che raccontano la loro storia e quella di un paese, l’Italia: come accade nella maggior parte dei suoi lavori sceglie di narrare personaggi femminili e raccontare il mondo attraverso il loro sguardo. Carrano ci porta a Roma, negli anni ’50 del Novecento, una città in pieno fermento che comincia a diventare meta di persone alla ricerca di fortuna, uomini e donne che da altre zone d’Italia e dal resto del mondo sbarcano nella capitale per lavorare e costruirsi un futuro.
Nel primo volume la voce narrante è quella di Elisabetta, una bambina di otto anni, figlia di una donna che entrerà nella dirigenza del PCI. Franca, il nome lo sapremo solo nel romanzo successivo, è una madre completamente assente ed egoriferita. A parole sventola la bandiera della rivoluzione e dell’allargamento dei diritti, ma nei fatti sembra inseguire una vita borghese e agiata, rifuggendo il contatto e la convivenza con i più umili. Veste bene, indossa tacchi a spillo e non mostra un minimo di solidarietà per nessuno. È il 1956, Franca frequenta via delle Botteghe Oscure con la figlia, che nella sede del PCI e nelle mense della CGIL conoscerà molti compagni e dirigenti dell’epoca.
[Greta] Le contraddizioni della madre sono evidenti agli occhi della bambina che non si ritrova in quell’ambiente: guarda i comunisti con emozioni contrastanti, un misto di paura e ammirazione, fascino e diffidenza. La stessa diffidenza che comincia a serpeggiare tra molte persone nei confronti della politica, vista sempre più lontana dai problemi quotidiani. Quello che la bambina ama veramente è passare il tempo a Campo Parioli dove, tra gli accampati su quello che diventerà il Villaggio Olimpico, può giocare con la sua amica del cuore Cesira.
[Roberto] Franca ed Elisabetta arrivano a Roma quando la donna decide di separarsi dal marito, un ricco borghese del Sud Italia con cui ha vissuto alcuni anni a Venezia. Inizialmente lascia in custodia la figlia a una famiglia di contadini del suo paese, promettendole che andrà a prenderla dopo pochi giorni.
[Greta] Passeranno mesi, ma anche dopo aver ripreso Elisabetta con sé, la donna continua ad abbandonare la figlia ad amici e conoscenti e a non essere in grado di mostrare se non qualche sparuto gesto di affetto. Forse perché, nonostante Franca dopo la separazione si lasci trasportare da nuove storie e dalla travolgente passione per un compagno di partito che le spezzerà il cuore trasferendosi a Parigi, non sembra mai perdere di vista i suoi obiettivi e le sue ambizioni, per raggiungere i quali vede la figlia come un ostacolo.
[Roberto] L’evento che chiude La bambina che mangiava i comunisti è l’invasione dell’Ungheria da parte dell’URSS, nel momento in cui il PCI è spaccato tra chi sostiene l’invasione e chi dissente lasciando il partito: l’ideologia di libertà e uguaglianza scricchiola.
[Greta] La figlia della serva si apre molti anni dopo, Franca è anziana ed è curata dal badante peruviano Manuel. Non ha perso il suo spirito battagliero e polemico, ma punto ha abbandonato le sue ambizioni di gioventù, in favore di una vita agiata e di un appartamento prestigioso. In compenso, la vecchiaia sembra solo aver cementato la sua cattiveriae continua a insultare chi le sta vicino e il rapporto con Elisabetta si è deteriorato per le sue continue mancanze e la sua incapacità di ammetterle. In Tv continua a guardare solo La7 e Rai3.
[Roberto] Odia la figlia del suo nuovo marito, che reputa una profittatrice che cerca di vendere la casa dove hanno vissuto fino alla morte di lui, un professore totalmente assorbito dalle sue ricerche e disinteressato al denaro: lei sembra non soffrirne troppo, soldi a parte, da sola basta a se stessa. Le storie di quegli anni, invece, sono raccontate attraverso gli occhi e le esperienze delle varie tate, domestiche e badanti che hanno accompagnato la sua vita senza che lei quasi se ne accorgesse.
[Greta] Elisabetta si sente figlia della Beppa, la tata domestica che l’ha cresciuta durante la sua infanzia e che dimostra più sensibilità e solidarietà della madre e con cui sente più affinità. Tutte queste figure, prevaricate e trattate male da Franca e tendenzialmente anche bistrattate e ignorate dalla società, cittadine di seconda classe, rappresentano al meglio le sfumature dell’umano. I colpi di scena sono parecchi, e oltre a sottolineare la mancanza di empatia di Franca verso il mondo intero e l’interesse solo verso il proprio tornaconto, Carrano ci porta nella vita semplice e onesta di donne e uomini che hanno lasciato le loro case e i loro affetti per fare un lavoro umile ma dignitoso, che sono pronti a sacrificarsi per gli altri nonostante la loro posizione certo non privilegiata, che vivono la quotidianità con tutti i suoi problemi, nei rapporti genitoriali e affettivi in un mondo che sembra aver abbandonato ogni parvenza di solidarietà per gratificare degli ego sempre più individualisti.
[Roberto] Uno spaccato della realtà politico-sociale italiana degli ultimi cinquant’anni non esaltante ma molto realistico, che è anche un atto di accusa verso la società dell’apparire e del possedere, di partiti sempre più lontani dai problemi concreti, di politici che si approfittano dei loro privilegi dimenticando che il loro compito sarebbe quello di servire lo stato e stare vicino ai più deboli. Un destino a cui non sembra poterci essere un’alternativa, con buona pace delle ideologie.