Ilaria Gaspari viaggia nei secoli a caccia delle emozioni

Ilaria Gaspari, Vita segreta delle emozioni, Einaudi, pp. 160, euro 13,50 stampa, euro 7,99 epub

Dopo Lezioni di felicità (2019), Ilaria Gaspari torna in libreria, sempre per Einaudi, con Vita segreta delle emozioni, un saggio dal carattere introspettivo che arriva al momento giusto dopo l’anno della pandemia e invita, sulla soglia di un’auspicabile ripresa, a fermarci ancora un attimo per ascoltare e ascoltarci, soprattutto in quelle espressioni della personalità che tendiamo a liquidare come marginali perché (sembrano) fuori dal nostro controllo: le emozioni.

Con la consueta grazia, Gaspari ci guida alla scoperta della nostra vita interiore, in un viaggio che ha spesso inizio dalle parole, mai neutre, utilizzate per identificare i diversi moti dell’animo. Partendo dall’etimologia – solida base per valutare sia le origini di un determinato termine sia le influenze inconsce che l’uso reiterato di una parola è capace di produrre negli individui e nelle società –, l’autrice percorre trasversalmente secoli di letteratura, storia e filosofia, intersecandoli al proprio vissuto personale in un felice incontro tra profondità di contenuti e leggerezza di modi, che firmano il suo stile elegante e coinvolgente.

Dalla nostalgia alla gratitudine passando per il rimpianto e il rimorso, l’ansia, la compassione, l’antipatia, l’ira, l’invidia, la gelosia, la meraviglia e la felicità, impariamo a conoscere e a riconoscere un sentire comune che ci appartiene in quanto esseri umani. Ovvero, attraverso la lettura delle emozioni di chi ci ha preceduto, possiamo arrivare a comprendere che ciò che ci turba nel profondo, o che ci fa gioire, non fa di noi esseri unici, speciali – non solo: se è pur sempre vero che le emozioni definiscono l’individuo nella sua più specifica intimità, è altrettanto vero che le stesse emozioni, anche se declinate differentemente secondo tempi e modi propri di ognuno, appartengono al genere umano, che da sempre cerca di descriverle, raccontarle – o di negarle, imbrigliarle, eliminarle, disprezzandole come espressioni di semplice e volgare mancanza di autocontrollo. In questa direzione si inserisce anche il proposito dell’autrice, rivelato già dall’introduzione, di abbozzare, in questo “viaggio emotivo per tappe, (…) lo schizzo di un autoritratto”. Come Montaigne, spirito guida e modello ideale dell’opera, Gaspari parte dallo studio e dall’analisi degli antichi, della letteratura e della filosofia, per far emergere il suo pensiero, e con esso la sua vita, tramite le loro voci. L’autrice ci racconta in effetti molto di sé, e in questo mettersi a nudo risiede il potenziale catartico del libro, che si fa carico di intimità profonde, segrete, personalissime eppure, incredibilmente, condivise dall’intera umanità. Diceva Spinoza che le passioni sono per l’uomo come i fenomeni (anche quelli sgradevoli, la tempesta, la bufera, ecc.) per l’atmosfera: gli appartengono dunque, fanno parte della sua natura. Per questo è inutile combatterle a colpi di razionalità, dovremmo piuttosto imparare a conoscerle e ad apprezzare la spinta vitale che da esse proviene. Il rischio sotteso all’ideale della totale capacità di dominare – e dunque reprimere – le emozioni è l’appiattimento di ogni stimolo, non solo sentimentale ma anche conoscitivo. Scrive a tal proposito Gaspari che “senza meraviglia, tanto per dire, non esisterebbe la filosofia”.

Il percorso tracciato dagli undici saggi (ognuno dedicato a un’emozione) che compongono La vita segreta delle emozioni somiglia a un cerchio, che partendo dall’individuo vi faccia ritorno dopo aver attraversato il mondo con le sue contraddizioni. Un cerchio, tuttavia, inevitabilmente imperfetto, che proprio dall’imperfezione trarrà la sua forza, trasformandola in apertura, verso Sé e verso l’Altro. Solo accettando di mantenere l’Io al centro (senza turbamenti né sensi di colpa) e scegliendo di conoscerci senza ipocrisia, facendo emergere quello che Socrate chiamava il daimon, l’essenza più vera che ci rappresenta e alla quale restare fedeli anche nei momenti più bui, potremo sia aprirci alla conoscenza del mondo, sia perseguire un’idea di felicità duratura e sostanziale, che non si esaurisca nella realizzazione di desideri effimeri e temporanei quali possono essere quelli materiali. A tal proposito il libro di Gaspari sfiora un’altra tematica fondamentale: se in quanto individui non ci sentiamo in grado di controllare le nostre emozioni, ci sarà invece chi saprà usarle, facendo leva su sentimenti condivisi, per i propri fini, politici o commerciali – basti pensare alle “nostalgie generazionali” (una canzone che andava di moda quando eravamo bambini, un oggetto tipico della nostra adolescenza adesso scomparso) sfruttate dalle strategie pubblicitarie per invogliare all’acquisto di determinati prodotti. Conoscere le nostre emozioni è anche un modo – l’unico, forse – per difenderci da questo tipo di attacchi subdoli al potere decisionale di ciascun individuo. La conoscenza (e, prima ancora, l’accettazione) delle emozioni diventa così un mezzo attraverso il quale l’uomo può difendere la sua libertà, affermare la propria unicità e al contempo accogliere l’Altro in quanto suo simile. In una prospettiva spinoziana, vivere in modo virtuoso significherà dunque, secondo Ilaria Gaspari, “vivere nel modo più attivo possibile, non soffocando le emozioni (…), ma cercando di decifrare la lingua degli affetti, che possiamo comprendere solo riconoscendoci negli altri, specchiandoci in chi ci sta di fronte e scoprendo quanto ci somigliamo, quanto gli altri sanno essere causa di quello che proviamo noi, e viceversa. E allora il premio, che non è un premio (…) si rivela per quello che è: il mondo intero, e l’infinita, stupefacente possibilità di aprirci alla vita che ci si spalanca davanti”.