Costa fatica leggere questo libro, e costa fatica recensirlo. Fatica, scrivo, ma ancor più che fatica disagio, disgusto, angoscia. Non è certo colpa dell’autrice, la brava giornalista Rai Ilaria Amenta – che, confessa, ha passato molte notti insonni e si è dovuta prendere lunghe pause di decompressione nel corso dello scrutinio ed elaborazione dei materiali inediti qui raccolti –, ma dell’orrore profondo, della depravazione, del tanfo di mattatoio che pervadono i fatti trattati e, ancor di più, il personaggio osceno che ne è protagonista.
Amenta ha avuto accesso ai diari inediti di Angelo Izzo, neofascista, stupratore e pluriomicida, reo insieme ad altri “drughi pariolini” – come si autodefinivano questi giovinastri dell’alta borghesia nera romana, ispirandosi ai personaggi dediti all’ultraviolenza del film di Stanley Kubrick Arancia meccanica (che sono però nel film e nel romanzo omonimo di Anthony Burgess da cui è tratto, ragazzi appartenenti al proletariato e alla piccola borghesia…) – del massacro del Circeo nel 1975, e trent’anni dopo, ottenuta per buona condotta la libertà vigilata, dell’uccisione di altre due donne, madre e figlia, a Ferrazzano, presso Campobasso dove l’assassino svolgeva servizi sociali in un’associazione umanitaria. Pagine e pagine di sproloqui magniloquenti e perversi in cui Izzo, grafomane con troppo tempo a disposizione da occupare nelle ore vuote del suo ergastolo, ha riversato il flusso malato delle sue memorie, manifestando quella classica personalità narcisistica, mitomane e megalomane, tipica di gran parte dei serial-killer psicopatici: nessun indizio di pentimento e un’empatia verso le vittime pari a quella di un rettile. La giornalista, per fortuna, taglia e censura, per questioni di buon gusto e per rispetto verso i superstiti, gran parte del testo originale parafrasando, riassumendo, omettendo, ma quello che lascia è più che sufficiente per dare il voltastomaco: solo un esempio per tutti, la parmigiana di melanzane che Izzo prepara mentre aspetta tranquillo le già predestinate vittime di Ferrazzano – una delle due è una ragazzina di quattordici anni – e che si mangia voracemente dopo averle soffocate “perché uccidere fa venire fame”.
Se American Psycho era solo un romanzo di Bret Easton Ellis, quest’Italian Psycho non è purtroppo un personaggio letterario e metaforico ma una persona orribilmente reale la cui esistenza ci impone domande altrettanto orribili: di fronte a casi così estremi, a figure così irredimibili e pericolose non potrebbe essere quella capitale l’unica pena proporzionata all’enormità dei reati commessi e alla pervicacia nel continuare a commetterli appena possibile? La risposta è imbarazzante. Izzo, tra l’altro, ammette di aver inscenato meticolosamente, per anni, il suo falso ravvedimento; di aver avviato una remunerativa carriera di “collaboratore di giustizia” facendo rivelazioni – alcune attendibile, altre inventate – su fatti e retroscena dell’ambiente del terrorismo nero di cui aveva fatto direttamente parte in gioventù – partecipando a rapine, attentati, omicidi su commissione, ecc. – o che aveva appreso indirettamente attraverso le confidenze dei molti “camerati” compagni di prigionia nel corso degli anni, all’unico scopo di poter ottenere una riduzione di pena e una libertà condizionata che gli permettesse di riprendere il filo delle sue innumerevoli attività criminali e dare di nuovo libero sfogo alla propria sessualità sadica e omicida. L’astuto manipolatore c’era riuscito: aveva convinto gli inquirenti, insensibili ai numerosi e accorati avvertimenti e alla messa in guardia di Donatella Colasanti, la vittima sopravvissuta al massacro del Circeo; aveva contrattato la semilibertà e incantato molti collaboratori dell’associazione di Campobasso presso la quale prestava servizio, che lo consideravano un uomo gentile e disponibile, simpatico e cordiale; aveva sedotto varie donne – almeno così racconta – sebbene nel 2005 ormai non fosse che un ultracinquantenne sovrappeso e assai poco attraente. Parlare di genio del male, di Lucifero incarnato, lusingherebbe solo la megalomania del personaggio, nutrita di deliranti teorie naziste e di superomistiche concezioni esoteriche. Izzo è solo l’esponente più manifesto di un sottobosco aberrante; il massacro del Circeo è solo la punta emersa di un iceberg di violenze carnali, omicidi impuniti, rapimenti, aggressioni, commesse da una banda di figli di papà straricchi e viziati – rampolli di imprenditori, professionisti, “palazzinari” (come il padre di Izzo) –, allievi della Scuola cattolica secondo quanto raccontato nel romanzo omonimo di Edoardo Albinati, contro ragazze proletarie e piccolo-borghesi abbagliate dalle ville, dalle Ferrari, dai Rolex, dagli abiti su misura sfoggiati dai “drughi”, strettamente legati al terrorismo nero – ancora oggi Izzo millanta di poter “tenere per le palle” vari attuali membri del governo, oggi persone rispettabili, con la minaccia di scoprire i loro passati altarini – e alla criminalità comune (Banda della Magliana, Clan dei Marsigliesi, Triadi cinesi, con cui trafficano intorno a rapine, sequestri, spaccio di eroina). Una lotta di classe a rovescio, secondo l’interpretazione all’epoca già proposta da Pasolini e soprattutto da Calvino.
Certo Izzo è uno psicopatico, ma al massacro del Circeo non partecipa attivamente solo lui, la presenza di almeno altri due assassini è accertata: Andrea Ghira e Gianni Guido. Il primo si sottrasse subito alla giustizia, i familiari, borghesi miliardari, fecero quadrato per difenderne l’intoccabilità e, con essa, quella dei propri privilegi semifeudali, l’ampia rete di connivenze e di relazioni altolocate gli permise la fuga all’estero e la latitanza sotto una nuova identità: si sarebbe in seguito, secondo una poco attendibile versione ufficiale, arruolato nella Legione straniera spagnola, il Tercio, e sarebbe morto di overdose a Melilla; l’esame del DNA sui resti sembrerebbe provarlo ma il condizionale è d’obbligo, perché secondo i parenti delle vittime, Lopez e Colasanti, Ghira è vivo e vegeto e vive tutt’ora a Roma. Il secondo, condannato all’ergastolo, vede ridotta la sua pena a 30 anni dopo aver risarcito la famiglia della ragazza uccisa, Rosaria Lopez, con cento milioni di lire – la sopravvissuta, Donatella Colasanti, non perdonerà mai la famiglia Lopez per aver accettato quei soldi – evade dal carcere nel 1981 e si rifugia a Buenos Aires, viene riconosciuto e arrestato, fugge di nuovo ed è libero fino al 1994 quando è rintracciato a Panama; sconta 14 anni a Rebibbia ed è libero dal 2009: anche lui oggi gira tranquillo per Roma, libero e non pentito. Una psicopatia sociale quindi, che si estende ben aldilà del singolo, una psicopatia di classe che la legge non ha saputo o voluto punire in modo adeguato. È, a questo proposito, ancora più inquietante la presunta rivelazione di Izzo, la cui attendibilità non è possibile verificare, sul fatto che nella villa del Circeo fosse presente anche una donna – un’amichetta dei “drughi” – che avrebbe partecipato alle sevizie sulle due ragazze ma se ne sarebbe andata via prima del capitolo finale, quando Izzo ha affogato Lopez nella vasca da bagno mentre Ghira e Guido strangolavano con una cinghia Colasanti (che non morì).
Ma le rivelazioni del serial-killer, attendibili o meno che siano, non finiscono qui. Altrettanto inquietante è il racconto del rapimento di Rossella Corazzin, diciassettenne scomparsa in Cadore e mai ritrovata, che Izzo sostiene essere stata prelevata per venire sacrificata durante il rito d’iniziazione di una loggia para-massonica di estrema destra, La Rosa Rossa, nella villa del medico perugino Francesco Narducci, implicato nei delitti del Mostro di Firenze e ripescato, ammesso che il corpo fosse davvero il suo, affogato nel lago Trasimeno nel 1985. Izzo confessa di aver partecipato alla multipla deflorazione rituale della vergine ma non al rapimento né al successivo sacrificio umano della ragazza. Le connivenze fra logge massoniche, esoterismo, satanismo, magia nera, pretesi cavalieri templari e neofascismo non sono una novità. Izzo racconta anche di aver frequentato in gioventù la casa di Julius Evola, patrono dell’esoterismo nero, figura sicuramente luciferina ma che non ci sentiremmo di equiparare al satanismo. La verità e la menzogna, l’invenzione e la testimonianza, si mescolano inestricabilmente nelle sue parole: inquinare le acque, depistare, confondere fanno parte della sua strategia e forse anche del suo divertimento. Ci auguriamo che possa restare a marcire nella sua cella fino alla fine dei suoi giorni.
Amenta conclude il suo libro in un’aria finalmente più pura, con un pensiero alle vittime del Circeo, una passeggiata nei due giardini di Roma che le onorano: quello, un po’ dimenticato, per Rosaria Lopez, inaugurato nel 2006 e quello del 2021 per Donatella Colasanti, la sopravvissuta, scomparsa per un tumore al seno nel 2005 a 47 anni, facendo in tempo a sapere dei nuovi delitti del suo carnefice. Una donna ferita ma sempre dignitosa, combattiva, che mai aveva accettato soldi dalle famiglie dei suoi torturatori, femminista senza fanatismi, che mai incoraggiò processi trasformati in un’arena per donne arrabbiate ma piuttosto li vide come occasioni di discussione rivolte agli uomini, perché capissero, perché cambiassero. Una donna che, nonostante tutto, scriveva poesie.