Uno spettro si aggira per l’Europa. Molti spettri si aggirano per l’Europa. Questi spettri li abbiamo visti ciclicamente nascere ed evolvere, assumere moltitudini di forme e nomi, senza essere mai riusciti realmente ad afferrarli, farli sparire alla luce del giorno.
Ciò che ci ha sempre tratto in inganno è stato non considerare la storia nel suo valore reale, che non è la narrazione di un fatto concluso e privo di ricadute infinitamente declinabili come la cultura dei media quotidianamente intende in accordo con una visione istituzionalizzante, annalistica, e tutto sommato giustificata, ma che è la ricerca e la descrizione dei molteplici e concomitanti punti di trasformazione che sono il segno rivelatore di ogni realtà umana, privata e collettiva.
Tenterò, tenteremo allora questa volta di descriverne se non altro le movenze grazie alla scia lasciataci in dote da Dominique Manotti. Dominique Manotti (Marie Noëlle Thibaut), nata il 23 dicembre 1942 a Parigi, li conosce sin dalla sua frequentazione dei movimenti di protesta contro la guerra d’Algeria, evento che contribuì nel 1965 alla rottura di molti studenti – tra cui la Manotti stessa – con il Partito Comunista Francese, i cui dirigenti erano accusati di avere al cospetto della questione un atteggiamento morbido, se non connivente. Il Partito, orgoglioso portavoce per la pace in Algeria, non aveva in realtà mai denunciato né i massacri, né le torture, né le continue ingerenze del governo nell’autodeterminazione degli algerini nelle loro istituzioni. Tali notizie, che circolavano negli ambienti universitari, non erano mai state affrontate nei luoghi ufficiali. Questa differenza sostanziale lasciava intendere quali fossero i rapporti di forza all’interno del quadro politico ed economico. Quando comincia il Maggio del 1968, la Manotti insegna al liceo di Chantilly. Partecipa alla notte delle barricate a Parigi l’11 e in seguito, insieme ai suoi studenti ed alcuni colleghi, all’occupazione dello stesso liceo di Chantilly fino alla fine del movimento. Da quel momento fu per loro impossibile entrare in qualsiasi negozio o caffè. Partecipa così alla realtà sperimentale dell’università di Vincennes nella quale furono aboliti i prerequisiti di iscrizione oltre ai test d’ingresso, aperte le porte ai lavoratori e snellito ogni rapporto interno sia dal punto di vista didattico che professionale. Nel 1980 la decisione unilaterale della ministra dell’università Alice-Saunier Seité ne ordinò il trasferimento a Saint-Denis e pose di fatto fine a tale realtà. I fatti susseguenti spinsero la Manotti, già insegnante di storia economica moderna e contemporanea, a scrivere romanzi dal respiro noir nel quale confluiranno i suoi studi e le sue esperienze.
L’antefatto del romanzo poggia sull’occupazione avutasi in Francia il 20 dicembre 2002 delle fabbriche di Fameck e di Villers-la Montagne – nella zona della Mosella – della multinazionale Daewoo, con il conseguente sequestro dei dirigenti, l’allora direttore coreano Im Kwon–sik, del direttore delle risorse umane Martin Kiffer, del direttore finanziario Shim Jae-hae e del direttore di produzione Kim Jong-kil, da parte degli operai. Fameck nel 1946-1947 fu uno dei tanti palcoscenici presso i quali si consumarono gli effetti del protocollo italo-belga inteso tra Alcide De Gasperi ed il governo fiammingo in merito all’invio di 50.000 operai italiani in cambio di forniture di carbone, scambio le cui condizioni furono conosciute da tutto il mondo dopo il disastro di Marcinelle del 1956, nel quale perirono 262 lavoratori tra cui 136 operai immigrati italiani.
Queste fabbriche appartengono, insieme ad altre, alla zona chiamata Polo Europa, un vasto parco commerciale situato nella zona di Mont-Saint-Martin di proprietà di Immochan, una filiale del gruppo immobiliare Auchan, divenuta nel 2018 Ceetrus che si occupa di infrastrutture, società commerciali e investimenti.
Gli operai avevano saputo che non sarebbe stata pagata loro né la tredicesima, né il mese di dicembre, a fronte della fuga di notizie sulla chiusura della fabbrica in crisi finanziaria, e che – una volta ottenuti i fondi europei – avrebbe spostato la produzione in Cina e in Corea.
Una corsa contro il tempo, dal momento che il 9 gennaio il tribunale del commercio ne avrebbe decretato o meno il fallimento, con la sanguinosa conseguenza che, in caso della prima ipotesi, oltre a perdere il lavoro non avrebbero ricevuto nemmeno l’indennità di licenziamento. Il 23 gennaio 2003 la fabbrica di Fameck, nella quale ci fu il sequestro, chiuse a causa di un incendio doloso che ne distrusse gran parte.
Il corpo
Da qui inizia la narrazione che si avvale di un vero e proprio gioco delle carte, carte che in parte terremo coperte al fine di tenere accesa la fiamma rivelatrice che troveremo alla fine del romanzo.
In primo luogo dobbiamo chiarire cosa intendiamo per carte. Le carte sono i documenti storici, l’elemento unificante tra personaggio storico e personaggio umano. Tutto il romanzo moderno è imbevuto di tale dialettica. Il personaggio umano è il personaggio prodotto dalla creatività dell’autore; la sua intima realtà è a noi rivelata. Il personaggio storico è il personaggio prodotto dai fatti reali la cui interiorità non solo è celata ma anche distorta.
Dal personaggio così veniamo a identificare la creatività dell’autore come l’incognita che spariglia e distribuisce le carte e che è data dalla summa delle sue esperienze, mentre la storia del romanzo come sedimento quiescente-attivo della storia dalla quale dipende l’eterna relatività degli eventi. Ne converremo che il romanzo è un componimento di mezzo tra due tipi narrazioni, una diretta e una riflessa, le quali risultano essere il prodotto caratterizzante di una volontà che desidera annullare la tradizione del passato e intende crearsi invece come eredità culturale. Ammesso questo, il che potrebbe essere largamente condivisibile, c’è però da chiedersi perché la volontà – nel romanzo del Novecento, come nella vita del resto – si uccide come figlia e intende riconcepirsi come genitrice. Questo è spiegabile con una nascita senza precedenti nella storia, la nascita dell’autocoscienza, sempre esistita, ma in questo secolo divenuta osservabile da un’angolazione collettiva e riflessa. L’autocoscienza non si pone tanto il problema con il passato, ma intende preservarsi nel futuro. Questo sentimento nella nostra epoca è stato meglio conservato nella politica, poiché essa, sostituendosi alla religione in termini di verticalità di rapporti, ha fornito la dimensione ideale per l’esercizio della prassi. Questa prassi è stata però, di volta in volta, contaminata ogni volta che la forbice tra classe dirigente e classe lavoratrice si allargava gradualmente, con il risultato che l’azione politica non si è costituita più prassi in quanto capacità dell’uomo di determinare il suo destino, ma come mezzo di controllo pratico e intellettuale, e configurandosi come nuova tradizione. Per questo motivo oggi, per esempio, l’occupazione di una fabbrica o la decisione di un gruppo umano a boicottare un prodotto è descritta come eccezionalità, con la discriminante che mentre nel mondo del sentimento religioso la verticalità sociale era solida ma l’individuo restava integro, nella realtà del sentimento politico l’illusione di una vulnerabilità della verticalità ha disintegrato l’individuo intimamente. Ciò che rende dunque l’autocoscienza realmente libera di realizzarsi come felice genitrice è fare sempre i conti con la prassi affinché il rapporto con la tradizione (qualsiasi essa sia) resti libero, pari, vivo.
L’anima
Il noir non è il noir. Vi sono molti modi di percepire il reale, e vi sono molte anime in un singolo modo di percepire il reale. In questo caso ci occuperemo dalla rappresentazione della complicazione per la condizione umana. Il meccanismo dell’intrigo quindi si usa per illuminare la complessità e come conditio sine qua non per la realizzazione della narrazione. Subentra in maniera prepotente la psicanalisi, e subentra tanto più prepotentemente quanto più non vista. Questo avviene poiché le nostre ossessioni sono sulla punta del nostro naso e sono principalmente quelle che sembrano slegate dalla narrazione. Queste sono il cibo e il sesso. Ma sulla tavola del potere, il potere è intercambiabile.
Dovremo trovare così un nuovo elemento fisso che leghi ogni trasformazione. Questo elemento è la dipendenza. La dipendenza è il motivo di ogni tipo di crimine, piccolo e grande, meditato e inconsapevole, subito e inflitto. Vi è una variabile impazzita che però mette a nudo il tutto. Se generalmente il noir ha come palcoscenico l’ambiente metropolitano che potenzia l’individuo, questo romanzo ha come palcoscenico la periferia francese che rende più aspra la scalata del personaggio al suo compimento.
Il crimine è devianza, e le devianze spesso nascono dai rapporti sentimentali. L’uomo investigatore, dunque l’uomo meditativo, poiché chi opera sul crimine compie sempre un esercizio filosofico, è l’uomo che non ha rapporti sentimentali. Nel modello dell’indagine l’investigatore talvolta però può avere dipendenze sentimentali, e la misura di queste decideranno la sua misura nella corresponsabilità del crimine.
Lo spirito
L’arbitrarietà del potere questa volta, in questo nostro contesto storico trattato dal romanzo, si è materializzata in una speciale declinazione, ovvero nell’aggressione selvaggia del capitale privato nei confronti dello stato e del bene pubblico, evento dal quale, inconsciamente e in vie del tutto parallele, si sono originati i fantasmi attuali, creati a loro volta proprio dall’apprendimento da parte del vecchio potere della lezione precedentemente frequentata nei primi vent’anni del secondo dopoguerra, duranti i quali ha sentito vacillare le sue fondamenta. Questo nuovo potere ha fatto propri i capisaldi della controcultura con la quale lottò, riuscendo ora a ottenere due risultati: il primo, un’intoccabilità e un’immunità morale verso la quale ogni volontà di dissenso è soffocata sul nascere nel dissenziente stesso che non trova collocata l’idealizzazione di sé – quindi la continuazione della tradizione – il secondo, fomentare il proprio consenso proprio nel momento in cui coloro che credevano di minarne l’anima morale ne passavano moralmente all’interno, ed erano coloro che in realtà non aspettavano altro che trovarsi dalla cosiddetta parte del giusto. Questo procedimento ha realizzato che chiunque all’interno della collettività si sentisse nel giusto e, contemporaneamente, minato da una forza anonima superiore. L’effetto è stato un indebolimento della capacità dell’uomo di fare collettività con la concomitante ulteriore verticalizzazione del potere. Questa duplice dimensione ha permesso che il capitalismo acquisisse una materia morale che non ha mai posseduto prima e attraverso la quale passa ogni tipo di crimine. Questa materia morale appena descritta, molto abilmente e senza nessuno scrupolo, questo nuovo potere l’ha chiamata Europa, avvalendosi della sua attribuzione come arma di difesa e offesa, e alienando la specifica dimensione culturale di tale termine ai fini di un inconscio procedimento di identificazione del giusto e del buono con il termine Europa.
Lo stile
Azione e reazione. L’universo stilistico della Manotti è essenziale, scarno e plastico allo stesso tempo. Cruda è la scrittura, ma i gesti dei suoi personaggi sono pesanti quanto macigni e un solo movimento della mano contiene pagine di dialogo interiore. La linea temporale adottata è progressiva e le diverse vicende sono condensate per giustapposizione. Il romanzo possiede una struttura sontuosa, dunque, che riesce a tenere agganciate le differenti storie con abilità giornalistica e spessore saggistico e che rendono la sua lettura incredibilmente efficace.
Ricadute nel romanzo
Ora faremo un lavoro di traduzione e proveremo, con un raffronto italiano, a dare forma alle inquietudini presenti nel romanzo della Manotti. Il cartello finanziario. Citeremo due punti. Il primo: nel 1981 c’è stata la divisione tra il Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia, quindi con l’affido diretto al mercato finanziario l’unica capacità del Paese di finanziarsi e colmare monetariamente il proprio disavanzo, costato al paese mille miliardi di lire per volere univoco dell’allora ministro Beniamino Andreatta. Venne rimosso l’obbligo da parte di Palazzo Koch di acquistare i Titoli di Stato emessi sul mercato primario – quelli collocati mensilmente dal Tesoro – che aveva consentito fino ad allora al Paese di tenere sotto controllo il debito pubblico. Perso questo strumento, anticipando quanto sarebbe avvenuto successivamente con l’ingresso nell’Unione Monetaria, l’Italia, per finanziare la propria spesa, dovette iniziare ad attingere ai mercati finanziari privati, con tassi d’interesse di tutt’altra entità rispetto a quelli garantiti in precedenza. Gli effetti furono immediati: sempre ragionando in euro, i 142 miliardi di debito del 1981 dopo tre anni erano raddoppiati. A spese del cittadino comune. Ciò che spinse Andreatta a operare questo stravolgimento strutturale, come raccontò lui stesso dieci anni dopo in una lettera pubblicata sul “Sole 24 Ore”, era la necessità di salvaguardare i rapporti tra Unione Europea e Italia. A essere in pericolo era infatti la partecipazione del nostro Paese all’interno dello SME, ossia l’accordo precursore del sistema Euro, basato sulla parità di cambio prefissata tra i Paesi europei aderenti.
Il secondo: Mario Monti, può essere considerato l’apice, con l’arrivo del governo tecnico. Mario Monti membro del direttivo del club finanziario Bilderberg di Rockefeller dal 2010, e nel 2011 nominato Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana, membro della Commissione Trilaterale – quella stessa commissione che in un report scrisse che la democrazia non è sempre applicabile – come documentato da The crisis of democracy di Michel J. Crozier, Samuel P. Huntington, Joji Watanuk, e proveniente dalla Goldman Sachs, operante in essa tra il 2005 e il 2011 in qualità di International Advisor. Firma i Monti Bond ai Monti dei Paschi di Siena per la risoluzione di un contratto da 2 miliardi e mezzo tra lo Stato italiano e la Banca Morgan Stanley e che riguardava non meglio precisati derivati. I soldi vennero restituiti alla Banca dal Tesoro e il buco coperto da una garanzia di banche italiane.
Vi è un ulteriore punto che fa il paio nel romanzo e nel quale vi si trova una importante chiave di lettura: Emmanuel Macron nel settembre 2008 viene assunto presso la banca d’affari Rothschild & Cie Banque. Due anni dopo è promosso ad associato all’interno della banca. Gli viene affidata la responsabilità di una delle più importanti negoziazioni dell’anno, tra Nestlé e Pfizer. Questa transazione, valutata più di 12 miliardi di euro, gli permette di guadagnare circa 3,3 milioni di euro. Lo scontro ha permesso alla Nestlé di crescere in Cina e nei mercati emergenti, dove non aveva grandi quote di mercato, e di aggiudicarsi marchi come Sma e Promil che si sono andati ad aggiungere ad altri già in suo possesso, quali Lactogen e Nestogen. L’operazione a tutti gli analisti delle principali banche d’affari era apparsa conveniente dal punto di vista industriale, ma aveva fatto storcere il naso a molti perché era stata giudicata troppo costosa. Nestlé, per sconfiggere i concorrenti, ha sborsato 11 miliardi di dollari. E un ruolo di primo piano nel convincere la Nestlé ad alzare la posta, l’avrebbe avuto proprio Macron.
Fine
Il gioco delle carte è concluso, le chiavi sono state lasciate. Il romanzo moderno ancora una volta diventa uno strumento preziosissimo per la comprensione della realtà, e ciò che chiamiamo noir non è altro che la tensione dello spirito contemporaneo rappresentata. La verità è un luttuoso furore che può condurre lontano dal mondo. Ma ciò che veramente conta è restare uomini in mezzo alle rovine.