Jean-Marie Gustave Le Clézio, Bitna sotto il cielo di Seul, tr. Anna Maria Lorusso, La nave di Teseo, pp. 155, euro 18,00 stampa
Jean-Marie Gustave Le Clézio, nasce a Nizza il 13 aprile 1940, da padre anglo-bretone e madre francese. Durante il suo discorso per la premiazione come Nobel per la letteratura nel 2008, grazie al romanzo Il continente invisibile, disse: “Se esaminassi le circostanze che mi hanno indotto a scrivere, vedo che all’inizio di tutto questo, per me, c’è la guerra”. Le Clézio con tali parole si riferiva alla volta in cui iniziò a scrivere racconti, su una barca diretta in Nigeria, terminato il secondo conflitto mondiale, per raggiungere il padre, un chirurgo nell’esercito britannico. La vita di Le Clézio è contraddistinta, per ragioni quasi intrinseche per la sua discendenza da coloni franco mauriziani, da continui spostamenti, nuovi inizi, il desiderio di appagare una visione che contenga una varietà di realtà. Toccherà, prima da militare in ambito cooperativo e poi da studioso, Thailandia, Messico, Panama, Marocco, Mauritius, Corea. Divenuto famoso nel 1963 con il romanzo Il verbale, sullo straniamento e la personalità, la sua produzione si lega a doppio filo con l’editore Gallimard, per il quale fonderà una collana dedicata a miti e letterature antiche. L’esperienza del suo complesso rapporto con il padre, la vita d’oltreoceano, il lavoro di studioso e traduttore di lingue native, confluiscono in un unicum in tutti i suoi lavori.
La letteratura, così come la cultura francese, possiede, tra i vari caratteri, una spiccata peculiarità: il sapersi relazionare con l’esotismo facendone espressione propria, e con il quale, ceduti a sua volta elementi identitari, instaura con esso un dialogo avvincente e proficuo.
Il dominio di questa lettura è però altrove e trova luogo in un aspetto della fantasia, in quella fantasia che scaturisce dalla fame di un presente in perenne caduta che indaga l’inerzia apparente d’un passato reso incorrotto dalla sua intangibilità; e se la pratica della vita è il sogno, la storia di Bitna è il sogno di innumerevoli vite, prima e dopo di lei.
Bitna è una adolescente figlia di mercanti di pesce della provincia del Jeolla, una territorio meridionale della Corea del Sud. I genitori, pur non essendo ricchi, decidono di offrirle l’opportunità di ricevere un’istruzione universitaria. Bitna così si trasferisce nella gigantesca capitale, Seul, dove sarà ospitata malvolentieri dalla zia e dalla cugina. Inizia in questo modo per la ragazzina l’avventuroso e tortuoso apprendistato alla vita adulta. La provincia si scontra con la ferina e ambigua città, e nell’imponente solitudine spirituale della metropoli Bitna prende a fantasticare sulle vite degli altri, grazie anche allo sguardo datole in eredità dal suo mondo rurale. Ciò che Bitna ama sopra ogni cosa sono i volti e le librerie, certamente un connubio stravagante, ma che sin dal principio rappresentano per lei vie di una momentanea fuga nell’attesa di comprendere la nuova realtà nella quale è immersa. Ciò che ritrova nei volti degli uomini sono le storie, quel che essi sono disposti a negare e rinnegare per timore di essere, e di non essere compresi. Bitna comprende che la gente di città non ama essere conosciuta, così si rifugia nelle librerie. Qui potrà guardare gli altri e fantasticare su di essi senza essere rifiutata. Qui un’occasione allettante si prospetta: in libreria Bitna si imbatte in un annuncio di una anziana donna inferma, Salomé, che offre una discreta paga in cambio di qualcuno che possa tenerle compagnia. Una anziana donna inferma, è questo il primo contatto umano, la prima vera amicizia di una ragazza di provincia trovatasi sola e senza soldi nella grande città, in attesa di compiere il sogno dei suoi genitori lontani. Bitna decide che le racconterà delle storie.
Il romanzo scompare e la storia di Bitna diventa il narrare di Bitna in sé, il narrare una storia dalla quale Bitna è a sua volta narrata. La letteratura così ridiventa forma di vita slegata dagli uomini, i quali credendo di narrare, dimenticano, e nel dimenticare, ricordano. Le storie di Bitna sono l’incontro tra l’abulia di un passato intellegibile e la nevrosi di un eterno presente incomunicabile. Da questo incontro nascono sei cornici narrative che racchiudono in esse il primo anno della ragazza a Seul e che accompagneranno Salomé nella sua malattia. Bitna annota tutto, nomi, luoghi, persone, ed è in questo continuo annotare che prende forma e vita il romanzo stesso. La tenera amicizia con Salomé inizia quasi da subito, amicizia che progressivamente va a macchiarsi di pari passo con gli affanni che Bitna vivrà nella metropoli, nella quale le grandi attese e le grandi speranze della ragazzina vengono di volta in volta mortificate e frustrate, salvo poi rianimarsi in una sempre nuova luce bambina e palpitante, in equilibrio tra il disordine, il nervosismo e la frenesia della città in cui è facile perdere e guadagnare tutto.
I personaggi di questi sei racconti sono accomunati dalla solitudine che nasce dall’abbandono della vita negata. Tutti i personaggi sono stati abbandonati e a loro volta abbandonano; ciò che li contraddistingue è silenzio di fondo che abita i loro rapporti con l’altro il quale rappresenta solo una sponda, un pretesto per compiere il personale cammino a ritroso. Per ognuno di essi vivere è la promessa di un ritorno.
Questo sentimento è figlio di un’esperienza comune presso i personaggi di Bitna e quelli del romanzo stesso; la Guerra di Corea del 1950-1953, nei confronti della quale tutti, direttamente o indirettamente, hanno avuto a che fare. Questa è raccontata trasversalmente sin dal bombardamento della città di Gaesong da parte dell’esercito nordcoreano con la seguente occupazione, il governo provvisorio del liberale Syngman Rhee a Pusan che mise in ginocchio l’intera popolazione costretta al digiuno, fino a passare per i fatti di Pohandong, di Masang, le fughe nelle campagne, le fughe attraverso i fiumi, sulle isole. Questa tensione si scioglierà in seguito nella storia dei Due Draghi, il Drago del Nord e il Drago del Sud, che la piccola trovatella Naomi racconta alla vecchia infermiera Hana, due Draghi che dormono nel mare e che aspettano il giorno nel quale potranno ritornare insieme, Due Draghi che nessuno ha mai visto, ma che tutti ne sentono il respiro nell’aria.
Attraverso il romanzo Le Clézio ci mostra la Corea del Sud delle automobili Kia, degli istituti di lingua francese, delle chiese cattoliche, delle Coca-Cola, dei siti internet JobKorea, delle radio che trasmettono i brani di Dalida, dei locali notturni e dei complessi rock. Alcuni dei personaggi hanno soprannomi inglesi, parlano di Schubert, parlano francese, alcuni quartieri hanno nomi ispanici. È il mondo nuovo che prende il sopravvento e nel quale l’individuo si muove a fatica, si forza a comprendere qualcosa che in cuor suo sa che non esiste, è il mondo nuovo figlio di una guerra tra vincitori che confonde e ricatta con la solitudine chi non si omologa a esso, generatosi da un’occupazione militare, da un litigio tra divinità egoiste e da esse fatto irrimediabilmente a pezzi, diviso, e che si ritrova a odiare sé stesso senza nemmeno sapere il motivo. La Corea non è dunque solo una penisola che si getta nel mare, ma diventa metafora di qualcosa di più grande, forse di assoluto. Sono scenari, quelli che adopera l’autore, che possono essere validi tanto per Berlino quanto per Parigi, Londra, San Francisco, Giacarta, Sidney, Vancouver o Bucarest.
Ciò che è messo in salvo e proietta nel futuro con speranza è la consapevolezza dell’inestinguibile desiderio di ascoltare e di essere ascoltati, di raccontare ed essere raccontati. In questa consapevolezza, persino due generazioni così lontane, come quelle a cui appartengono Bitna e l’anziana Salomé, riescono a toccarsi reciprocamente nell’intimo. Bitna accompagnerà Salomé alla fine del suo cammino, e una volta trovatasi definitivamente sola e perduta, sarà pronta alla vita.