Alcune canzoni dei Mountain Goats – “The Best Ever Death Metal Band Out of Denton” (da All Hail West Texas, 2002), per esempio, oppure “For the Portuguese Goth Metal Bands” (da Goths, 2017) – chiamano in causa alcuni generi dell’heavy metal con un’attitudine ironica che risulta ulteriormente rimarcata dal genere praticato dal gruppo delle capre di montagna, dichiaratamente lo-fi. Tuttavia, il cantante e frontman dei Mountain Goats, John Darnielle, resta serissimo al riguardo e nelle interviste cita spesso varie band metal tra le sue influenze musicali dirette. Non può che essere diversamente, del resto, visto che Darnielle – già noto come narratore al pubblico italiano per la traduzione de Il lupo nel furgone bianco (Rizzoli, 2018) – ha scritto un diario e romanzo di de-formazione dedicato fin dal titolo a uno degli album più importanti dei Black Sabbath: Master of Reality, appunto.
Il libro – pubblicato in originale nel 2008, nella collana di letteratura e musica 33 1/3, diretta da un tal Jonathan Lethem per la casa editrice Continuum – è stato ora riscoperto e pubblicato in italiano da Minimum Fax per la spigliata traduzione di Assunta Martinese. A differenza di altri titoli della collana 33 1/3, caratterizzati da una scrittura ibrida tra saggistica e narrativa, Master of Reality è, come si anticipava, un’opera di fiction interamente basata sul diario del protagonista, di nome Roger, che ci presenta la storia di un adolescente che nell’ottobre 1985 fa esperienza dell’internamento psichiatrico. Nel riprendere il punto di vista di Roger con vividezza iper-realistica, la narrazione permette anche di esplorare, a livello meta-testuale, i limiti della forma-diario: con grande frequenza, infatti, Roger si rivolge a un fantomatico interlocutore di nome “Gary” che potrebbe essere in grado di leggere le pagine di Roger a scopo clinico, ma che potrebbe, d’altra parte, non esistere nemmeno, in quanto possibile figurazione paranoide che lo stesso Roger si è creato. Qualcosa di simile accade anche al lettore di Master of Reality: chi legge potrebbe forse adottare la stessa prospettiva disciplinante e repressiva imputata da Roger a Gary, oppure potrebbe restare impigliato, come Roger, in una fantasia dai labilissimi confini. D’altronde, “il diario non è un modo di spiegarsi”, come puntualmente Roger ci spiega – rinsaldando così il paradosso, anziché scioglierlo –verso la fine della prima parte, datata 1985.
Com’è prevedibile, in ogni caso, non è soltanto l’impianto meta-letterario a conferire dignità e valore al testo di Darnielle. La costante presenza del disco dei Black Sabbath nelle pagine di Darnielle, infatti, è certamente un’occasione per una lunga e approfondita disamina musicale dell’album Master of Reality, ma funge anche da appiglio analitico, apparentemente condotto da Roger con estrema lucidità e naturalezza, per continuare a confondere le carte nella testa del lettore. In alcune delle pagine più gustose del libro, si legge come il personale dell’ospedale psichiatrico, “Gary” incluso, possa essere più facilmente un pubblico da Rush o Led Zeppelin – simboli di un certo sound heavy, forse più disciplinato e normalizzato – che non da Black Sabbath; più avanti, però, Roger esprime il timore che lo stesso Ozzy Osbourne possa fare o aver fatto comunella con i suoi aguzzini.
Rispetto ai Black Sabbath, dunque, Roger non si comporta come un fan, poiché la sua “storia patologica” si presterebbe molto facilmente a un’estremizzazione caricaturale del fandom; Roger, invece, racconta la produzione artistica dei Black Sabbath cogliendone nel dettaglio lo sviluppo artistico – secondo una sensibilità autoriale che deriva, con ogni probabilità, dalla carriera musicale intrapresa dallo stesso Darnielle con i Mountain Goats – e umano. In questo senso, ancora una volta, e in modo sempre inquietante, Roger appunta che i Black Sabbath sono “come noi” e che “questo è carino”, dal suo punto di vista; tuttavia, l’inclusione dei lettori nel pronome plurale “noi” non può che destare qualche ulteriore sospetto, e qualche brivido, in chi legge.
Infine, come ogni libro dedicato a un album che si rispetti, c’è anche una ghost track, anzi un intero ghost album, a rivaleggiare con Master of Reality: si tratta di quel Born Again (1983) dei Black Sabbath che è anche il primo album registrato dal gruppo senza Ozzy Osbourne alla voce, sostituito dall’ex-Deep Purple Ian Gillan. Scelta di ripartenza e di normalizzazione che Roger continua a esplorare dal punto di vista, tanto critico quanto umano, in tutta la sua ironia, perché né l’album, né Roger – come evidenzia la seconda parte del diario, scritta nel 1995 – possono ambire a una vera e propria rinascita.
Il paradosso continua e si acuisce anche molto oltre la fine di questo breve ma prezioso testo. Per dirne una, poco prima che il libro venisse pubblicato negli States, la famiglia di Ozzy Osbourne è stata protagonista di uno sgangherato reality show, The Osbournes (2002-2005). Tuttavia, a differenza della realtà come reality, la realtà si poteva già toccare con mano molto prima, attraverso il folle prisma di una canzone, o di un album, dei Black Sabbath – il prisma, appunto, di Master of Reality. Anzi, la realtà si può forse toccare soltanto in quel modo, all’interno di un sabba nero, prima che qualcuno lo giudichi patologico, o pericoloso, e ne reprima il potenziale.