La polemica politico-filosofica sui Quaderni Neri e sul pensiero di Heidegger è scoppiata quando i primi volumi di questi quaderni ricoperti di tela cerata nera, i cosiddetti Schwarze Hefte, sono stati pubblicati in Germania come volumi n. 94, 95, 96 e 97 della Martin Heidegger Gesamtausgabe, l’Opera Completa di Martin Heidegger, a cura di Peter Trawny. Quest’ultimo volume dei Quaderni Neri di Heidegger, cioè il volume 98 della Gesamtausgabe, pubblicato in Germania nel 2015, che approda in Italia con tre anni di ritardo, è un volume a dir poco “esplosivo”. Basti pensare che era stato già preannunciato da Bompiani nel settembre del 2017, poi è slittato al gennaio del 2018; successivamente l’uscita del volume è stata ulteriormente rimandata di parecchi mesi, fino allo scorso novembre. Perché tanta cautela? Perché finalmente in questi Quaderni Neri Heidegger si mette a nudo e rivela quali sono le sue opinioni più “politiche” su ciò che sta accadendo intorno a lui – sono gli anni che vanno dal 1942 al 1948, gli anni della Conferenza di Wansee, della Seconda guerra mondiale, della Campagna di Russia e della disastrosa sconfitta del Terzo Reich – e soprattutto chiarisce in alcuni passi, ormai diventati celebri prima ancora dell’uscita del volume, le principali caratteristiche del suo antisemitismo.
I lettori più attenti avranno certamente seguito le numerose polemiche sull’antisemitismo di Heidegger scoppiate in Germania nel 2014, poi riprese in Europa e in Occidente, con articoli indignati su tutte le principali riviste filosofiche e sui quotidiani di tutto il mondo. In Italia, la “bomba Heidegger” è scoppiata dapprima con la pubblicazione di un articolo della filosofa Donatella Di Cesare su La Lettura dell’8 Febbraio del 2015, e poi successivamente con il Convegno sui Quaderni Neri organizzato sempre da Di Cesare all’Università “La Sapienza” di Roma nel Novembre 2015, con polemiche roventi che hanno consigliato alla traduttrice, Alessandra Iadicicco, e ai curatori dei Quaderni Neri italiani di procedere con i piedi di piombo. Ne è testimonianza la Nota del Traduttore che introduce il volume, estremamente prudente sulla traduzione di alcuni termini, tra cui Juden, Judentum e WeltJudentum. Tutto questo perché nel Quarto Volume dei Quaderni Neri possiamo effettivamente misurare quanto grande sia stato l’errore filosofico, l’errore metafisico di Heidegger. Finalmente possiamo stabilire in che misura la sua speculazione filosofica sia stata influenzata dal suo antisemitismo.
Ricordiamo le prime polemiche sull’antisemitismo di Heidegger – tutt’altro che pretestuose, a quanto pare – sollevate dallo studioso Victor Farias alla fine degli anni Ottanta (Victor Farias, Heidegger e il Nazismo, tr. M. Marchetti e P. Amari, Bollati Boringhieri, 1988). All’epoca ci fu una risposta unanime da parte di una nutrita schiera di “heideggeriani di sinistra” – tra cui Jacques Derrida – che, a costo di arrampicarsi sugli specchi, si sforzarono di separare quanto più possibile il lascito filosofico di Heidegger dalla pesante eredità del Nazismo e da qualsiasi sospetto di antisemitismo. Già all’epoca l’operazione sembrava disperata: il pensiero heideggeriano, con tutto il suo retaggio implicito di nazionalsocialismo “filosofico” e di antisemitismo, aveva ormai pervaso l’intero corpo della filosofia occidentale, e ci si accorgeva improvvisamente che non era affatto un pensiero di sinistra o assimilabile da parte della sinistra filosofica.
Ormai era ed è impossibile cancellare Martin Heidegger dalla Storia della Filosofia, dai manuali di Storia della Filosofia, rinnegare il lascito filosofico di Heidegger. È diventato ormai impossibile separare il contributo filosofico di Heidegger dal resto della filosofia europea e occidentale. Non possiamo certo cancellare tutto ciò che è venuto fuori dopo Heidegger e grazie ad Heidegger, cioè la riflessione sul circolo ermeneutico di Hans-Georg Gadamer (Verità e Metodo), l’esistenzialismo, la filosofia di Hans Jonas (Gnosi e spirito tardo-antico ) e di Hannah Arendt, tutta la riflessione sulla differenza originaria di Derrida e il post-strutturalismo, il pensiero debole di Vattimo e altro ancora. A meno che non accettiamo la soluzione drastica dei neopragmatisti americani, come Richard Rorty, convinti che è ormai inutile continuare ad arrovellarsi sulle vecchie questioni filosofiche – la vecchia disputa Platone-Nietzsche sulla metafisica e sul suo possibile superamento – le vecchie dispute sulle quali si sono arrovellati per secoli i filosofi, per cui conviene gettare via il bambino-Heidegger con l’acqua sporca.
Una cosa è certa: di fronte ai Quaderni neri, di fronte ad alcune considerazioni espresse da Heidegger nei Quaderni neri, anche gli heideggeriani più accaniti dovranno ammettere che Heidegger è stato e ha continuato ad essere anche dopo il 1945 un antisemita, e che nemmeno in questi quaderni non destinati alla pubblicazione, dove poteva tranquillamente rivelare i suoi più intimi pensieri, ha speso mai una sola frase per condannare lo sterminio degli ebrei, l’orrore assoluto della Shoa.
I lettori più attenti di PULP avranno già letto il nostro articolo su “Zarathustra nella Foresta Nera”, la recensione del Nietzsche di Heidegger, uscito nel Luglio 2018 per Adelphi, e avranno certamente seguito sui principali quotidiani italiani le numerose polemiche sul pensiero di Heidegger scoppiate anche in Italia. A questo proposito si vedano i libri di Donatella Di Cesare, Heidegger e gli Ebrei. I Quaderni Neri (Bollati Boringhieri, 2015) e I “quaderni neri” di Heidegger (Mimesis, 2016), le opere di Peter Trawny, tra cui Heidegger e il mito della Cospirazione Ebraica (Bompiani, 2015), oltre all’imprescindibile volume a cura di Adriano Fabris Metafisica e Antisemitismo. I Quaderni neri di Heidegger tra Filosofia e Politica (ETS, 2014). Sull’altro versante, cioè la schiera di coloro che considerano Peter Trawny un vero e proprio traditore e che si ostinano a negare su tutta la linea che Heidegger sia mai stato antisemita, si segnala l’opera di Friedrich-Wilhelm Von Hermann e Francesco Alfieri, Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri (Morcelliana, 2016).
Peter Trawny è stato considerato fino al 2014, anche dagli heideggeriani di più stretta osservanza, compresi i parenti di Heidegger, il più geloso custode dell’ortodossia heideggeriana. Lo stesso Heidegger aveva stabilito che i Quaderni Neri dovessero essere pubblicati come ultimi volumi della sua opera completa, quindi almeno cinquant’anni dopo la sua morte. Giustamente i curatori della Gesamtausgabe, tra cui lo stesso Trawny, hanno deciso che non si poteva aspettare che si concludessero le travagliate vicende editoriali dei volumi ancora in progress, e hanno deciso di pubblicare in anticipo i Quaderni. Poi, con l’uscita soprattutto di questo quarto volume di Note, contenente appunti e osservazioni varie che Heidegger scrisse tra il 1942 e il 1948, è cambiato tutto. Improvvisamente i parenti del filosofo tedesco, tra cui alcuni illustri professori universitari, e il suo amico Von Hermann, si sono resi conto che la pubblicazione dei Quaderni neri rischiava di rinfocolare le polemiche sull’antisemitismo di Heidegger e sulla sua adesione al Nazionalsocialismo.
Alcuni passi di questo libro vanno dunque letti alla luce delle polemiche che sono scoppiate a partire dal 2014. Questi quaderni rappresentano infatti un documento eccezionale, perché in essi si coglie il pensiero di Heidegger nel suo farsi, nella sua prima elaborazione, quella più sincera e più genuina, per quanto possa essere schietto un filosofo così difficile e sfuggente. In questi quaderni, un vero e proprio taccuino o diario filosofico, Heidegger appuntava le sue riflessioni e le sue considerazioni, per poi riprenderle in un secondo momento nelle sue opere destinate a un pubblico più vasto. Prima dei Quaderni Neri molti pensavano che Heidegger avesse aderito al Nazismo soltanto per un breve periodo, nel periodo del suo Rettorato presso l’Università di Friburgo (1933-34), come testimoniato nel suo famoso discorso di insediamento L’Autoaffermazione dell’Università Tedesca del 1933. Si tratta della cosiddetta “tesi minimalista” sull’adesione al Nazismo di Heidegger, del tentativo di ridurre ciò che di inaccettabile c’è nel suo pensiero a quello che lo stesso Heidegger chiama “L’errore del 1933”, quando aveva pensato che il Nazionalsocialismo di Hitler potesse rappresentare a livello della Storia dell’Essere, nel Destino della Germania, ciò che lui stesso aveva prefigurato, reinterpretando il pensiero dell’ultimo Nietzsche (l’eterno ritorno e la volontà di potenza), come il tentativo di superamento della metafisica tramite la volontà di volontà. Il Destino storico della Germania negli anni Trenta – secondo l’Heidegger del 1933-34, e adesso possiamo aggiungere anche dopo “l’errore del 1933” – era quello di salvare l’Occidente, di salvarlo dalle due ideologie apparentemente contrapposte del bolscevismo e dell’americanismo, di salvarlo da quel processo di omologazione e globalizzazione mondiale che stava fagocitando nel suo ideale cosmopolita l’intero pianeta. È quel fenomeno che Heidegger definisce come “Macchinazione” (Machenschaft) nel grandioso sforzo interpretativo compiuto nel suo Nietzsche (1961):
Dove poi con la macchinazione (Machenschaft) giunge al potere la mancanza di senso, qui la repressione del senso, e quindi di ogni domandare che cerca la verità dell’Essere, deve essere sostituita con l’instaurazione macchinosa di “fini” (valori). Ci si attende di conseguenza l’edificazione di nuovi valori da parte della “vita”, dopo che questa è stata prima totalmente mobilitata, come se la mobilitazione totale fosse qualcosa in sé e non l’organizzazione dell’incondizionata mancanza di senso partendo dalla e per la volontà di potenza. Siffatte posizioni che conferiscono potere alla potenza non si regolano più su “misure” e “ideali” che ancora potrebbero essere in sé fondati, ma stanno” al servizio” della mera espansione della potenza e vengono valutati unicamente a seconda di questo valore pratico così stimato. L’età della compiuta mancanza di senso è quindi il tempo dell’invenzione e dell’imposizione, in base alla potenza, di “visioni del mondo”, le quali spingono all’estremo tutta la commutabilità del rappresentare e del fabbricare, poiché esse, secondo la loro essenza, scaturiscono da una autoinstaurazione dell’uomo nell’ente, la quale poggia solo su se stessa, e dal suo incondizionato dominio su tutti i mezzi di potere dell’orbe terrestre e su questo stesso.
(Martin Heidegger, Nietzsche, p. 555)
Nel suo solito linguaggio esoterico, che si rivela nascondendosi, Heidegger ci sta dicendo che il “progresso” del nostro mondo moderno è spinto da un immane meccanismo impersonale che ci impone dei “fini” e dei “valori”, ma che in realtà rappresenta l’approdo finale del nichilismo, cioè la totale mancanza di senso dal quale scaturisce la volontà di volontà. Semplificando ancora, ciò che fa girare il mondo moderno è una colossale cospirazione, una macchinazione, un complotto della Tecnica, che prescinde dalla volontà dei singoli uomini. Qualcuno ha addirittura suggerito che questa colossale cospirazione o macchinazione immaginata da Heidegger non sia altro che l’ennesima versione, più filosofica e metafisica, della vecchia cospirazione ebraica costruita a tavolino dall’Ochrana, la polizia segreta zarista, con il libello antisemita I Protocolli dei Savi di Sion.
Siamo arrivati dunque al punto cruciale, cioè l’antisemitismo di Heidegger, che sulla scia degli studi di Peter Trawny e di Donatella Di Cesare, definiremo come “Antisemitismo Metafisico”. Infatti nei Quaderni neri Heidegger cita diverse volte gli ebrei, l’ebraismo e l’ebraismo mondiale; dunque l’antisemitismo del filosofo di Messkirch non è più classificabile come un semplice abbaglio preso nel 1933-34 e poi ripudiato nell’immediato dopoguerra, ma come una costante che accompagna tutta l’opera di Heidegger anche dopo la fine della Seconda guerra mondiale e la scoperta dell’orrore assoluto dei campi di concentramento.
L’antisemitismo di Heidegger non è un antisemitismo che prende le mosse dalla presunta inferiorità della razza ebraica o da un tipo di razzismo di tipo biologico: tutt’altro. Nella vita di tutti i giorni, nei suoi corsi universitari, nelle sue amicizie, perfino nei suoi rapporti intimi (Hannah Arendt), Heidgger non aveva alcun problema a frequentare degli ebrei. Heidegger non disprezzava i singoli ebrei, ma considerava l’ebraismo in generale, in astratto, una minaccia mortale per la Germania e per i tedeschi. Come in molti altri casi, compreso lo stesso Hitler, l’antisemitismo di Heidegger sembra nascere anzi da una segreta e inconfessabile ammirazione per gli ebrei stessi, per la loro capacità di sopravvivenza e per la loro abilità nelle scienze esatte, come la chimica, la fisica e la matematica, quelle stesse scienze che avevano impresso un’incredibile accelerazione al progresso.
Un’altra mossa tipica dell’antisemitismo più elaborato – più metafisico – come quello di Heidegger, è quella di attribuire agli ebrei stessi la causa dell’antisemitismo, la causa della distruzione e della politica di sterminio di cui sono stati vittime. Hitler arrivò ad affermare, nel suo testamento politico, che la guerra mondiale era stata scatenata dagli ebrei. I più rozzi dissero all’epoca – e alcuni purtroppo dicono ancora – che gli ebrei “se l’erano cercata”, perché sono sempre stati un popolo senza uno Stato, ospiti di altri Stati e di altri popoli con i quali rifiutavano di integrarsi completamente; quelli un po’ più “raffinati” dicevano che i primi razzisti sono stati proprio loro, gli ebrei, con quella storia del “popolo eletto”.
Ma l’antisemitismo di Heidegger è ancora più rarefatto e raffinato: è un antisemitismo filosofico, un antisemitismo metafisico. Heidegger sembra volerci dire nei Quaderni neri: “Per carità, non mi confondete con quei rozzi individui che rappresentano gli Ebrei come degli esseri ripugnanti con il naso adunco che tentano di violentare le fanciulle ariane o che sacrificano i bambini cristiani nelle loro “pasque di sangue”, non mi confondete con quei rozzi individui che vanno in giro a spaccare le vetrine dei negozi gestiti dagli ebrei: io sono un’altra cosa ”. In questo senso, in questo volume troviamo la già famosa “nota per gli asini” (p.212) in cui Heidegger chiarisce che le sue osservazioni sugli ebrei non vanno confuse con l’antisemitismo “volgare” dei nazisti. Il suo antisemitismo infatti prescinde completamente dalla politica di sterminio del Terzo Reich, non tiene minimamente conto della Shoah, ma è un antisemitismo che individua nella figura cosmopolita dell’ebreo errante ciò che rischia di annientare tutti i nostri valori occidentali che nascono dal rapporto imprescindibile tra il sangue e il suolo, in particolare il sangue tedesco con il suolo tedesco. Eppure questo suo antisemitismo non è, proprio perché basato su un ragionamento filosofico, meno pericoloso di quello volgare, ma è invece più pericoloso ancora delle rozze argomentazioni di Julius Streicher, il famigerato Direttore di Der Sturmer.
Prendiamo per esempio la scandalosa osservazione contenuta proprio in quest’ultimo quaderno, sulla Shoa vista come “l’Autoannientamento” (Selbstvernichtung ) degli ebrei. Nel già citato articolo uscito su La Lettura nel Febbraio 2015, Donatella Di Cesare ha rivelato, prima ancora che fosse disponibile la traduzione italiana del testo di Heidegger, questa gravissima accusa che Heidegger rivolge agli ebrei. Secondo Donatella Di Cesare, lo sterminio degli Ebrei per Heidegger non è stato un annientamento, ma è stato in realtà un autoannientamento, il compimento del Destino dell’Essere nella Storia della Metafisica. In pratica, gli ebrei avrebbero creato da loro stessi, nella loro storia millenaria, le premesse che hanno portato a questo ineluttabile scontro con i tedeschi e con l’Occidente, e dunque al loro “autoannientamento” da parte della Macchinazione della Modernità e della Tecnica, di cui essi sono stati gli agenti. Ecco, secondo i suoi più grandi accusatori, Heidegger avrebbe tentato di fornire delle solide fondamenta filosofiche al movimento politico del Nazionalsocialismo, finendo in ultima analisi per giustificare le atrocità che il Terzo Reich ha perpetrato in uno dei periodi più bui della storia europea e mondiale, un periodo che ha portato alla realizzazione dei campi di sterminio (Vernichtungslager) e alla cosiddetta “industrializzazione della morte”, le famigerate “fabbriche dei cadaveri” dove, come giustamente è stato detto, ai prigionieri non veniva solo sottratta la possibilità di una vita dignitosa, ma perfino la possibilità di una morte dignitosa.
Dunque l’Ebreo rappresenta l’oblio dell’Essere. La questione ebraica è una questione metafisica. Troppo rozzo e brutale parlare di sterminio degli ebrei: meglio parlare di “Soluzione finale” della questione ebraica, oppure di “autoannientamento” degli ebrei.
Cosa può contrastare, secondo Heidegger, questo enorme meccanismo che rischia di schiacciare i popoli d’Europa e l’intero Occidente? Qui spunta fuori un aspetto della “poetica” di Heidegger che molti di noi avevano trascurato come marginale, ma che alla luce di queste riflessioni torna centrale. È la retorica del contadino tedesco, di cui sono piene le orrende “poesie filosofiche” di Heidegger (vedere ad esempio Aus der Erfahrung des Denkens ). Il contadino (Bauer) tedesco è infatti profondamente ostile alla modernità e a tutto ciò che gli ricorda la cultura cosmopolita dei “cittadini”, tanto più se ebrei, o comunisti, o entrambi. Il contadino tedesco, ovvero il pastore dell’Essere, che con i suoi lenti gesti quotidiani asseconda il ritmo della natura, è sempre pronto a scendere dalle montagne o ad allontanarsi dalla sua amata baita nella Foresta Nera quando si tratta di picchiare con dei nodosi bastoni di quercia i “rossi” o i “giudei”. La retorica del contadino tedesco, che spacca la legna e mangia il suo nero pane di segale, e l’altrettanto nauseante retorica del Blut und Boden, del sacro sangue e del sacro suolo tedeschi, sarebbe dunque proprio il nucleo centrale della riflessione più segreta di Heidegger nei Quaderni Neri, l’idea di una “segreta Germania spirituale”, la convinzione che l’unica risposta politica al mondialismo, al planetarismo, cioè a quella che noi chiamiamo globalizzazione, sia il tenace attaccamento alla tradizione e alla cultura contadina, tanto da individuare perfino nella radio, che entrò in tutte le case dei contadini tedeschi all’inizio degli anni Trenta, un elemento corruttore che allontanava i contadini dall’Essere. In un altro passo dei Quaderni neri Heidegger dice che solo l’aratro può sconfiggere la falce e martello, solo la cultura contadina può sconfiggere il comunismo e il bolscevismo. Solo il ritorno al passato rurale può consentire ai tedeschi di sfuggire a questo infernale meccanismo, a questa cospirazione planetaria.
E arriviamo infine alla sua tesi più scandalosa: Auschwitz rappresenta il culmine di questo meccanismo, il culmine della Metafisica, l’approdo finale dell’Occidente, la purificazione dell’Essere. Ma neppure il più fanatico dei nazisti aveva mai osato dire che l’Essere va purificato facendo bruciare i forni giorno e notte. Certo, Heidegger questo non l’ha mai detto, ma la sua astratta ricerca di una purezza originaria, di un “nuovo inizio” per l’Occidente, presuppone che prima si sia fatta tabula rasa della civiltà precedente, dominata dal nichilismo e dalla Tecnica. Ecco perché, secondo questo nuovo Heidegger “politico” dei Quaderni neri, il compito storico dei tedeschi, il loro Destino, era quello di fermare gli ebrei, di reagire alla macchinazione degli ebrei. L’accusa rivolta agli ebrei era quella di essere senza radici, dei senza-mondo (Weltlos). Da senza-mondo a immondo il passo è breve…
Che fare dunque, dopo lo scandalo dei Quaderni Neri, dell’eredità di Heidegger? Ancora una volta è Donatella Di Cesare a suggerire una strategia. Nel suo libro Heidegger & sons. Eredità e futuro di un filosofo, del 2015 (Bollati-Boringhieri), suggerisce di usare Heidegger contro Heidegger, cioè di utilizzare le categorie filosofiche e le strategie per rivelare-nascondere il proprio pensiero individuate da Heidegger per approdare a posizioni politico-filosofiche che sicuramente non sarebbero piaciute al Filosofo della Foresta Nera…