Il pugile poetante

Arthur Cravan, Grande trampoliere smarrito, tr. di Maurizia Balmelli e Nicola Muschitiello, a cura di Edgardo Franzosini, Adelphi, pp. 195, euro 13 stampa, euro 6,99 ebook

L’arte, la letteratura e la Storia brulicano di personaggi di ardua collocazione. C’è chi è vissuto poco ma tanto intensamente da aver consegnato ai posteri una quantità tale di opere, aneddoti, persino leggende, da mettere in difficoltà chi vorrebbe avvicinarvisi. Una di queste figure è senz’altro Arthur Cravan, di cui Adelphi ci restituisce un’ottima selezione di scritti. «Arthur Cravan» è in realtà uno dei tanti pseudonimi di Fabian Avenarius Lloyd, che fu pugile, conferenziere, giornalista, scrittore, poeta e viaggiatore, nonché unico redattore, editore e distributore della rivista Maintenant. Una montagna d’uomo che sfiorava i due metri: una stazza proporzionata al suo talento.

In Grande trampoliere smarrito troviamo alcune sue prose e scritti di vario genere, un assaggio delle sue poesie e delle sue lettere, in dosi sufficienti per farci un’idea della follia del personaggio, che era anche, tra le mille cose, nipote di Oscar Wilde – il padre ne era stato il cognato. Impossibile per il poeta-pugile non giocare con una simile parentela. Allo zio sono infatti dedicati «Documenti inediti su Oscar Wilde» e «Oscar Wilde è vivo!»: il primo, un ritratto fisico e umano dello scrittore irlandese; il secondo, un racconto che alimenta la leggenda sulla misteriosa morte di Wilde, che qui ricompare al nipote una notte del 1913 con tanto di barba incanutita, dicendogli di tacere sul loro incontro per almeno sei mesi. In poche pagine, il lettore è messo dinanzi a una narrazione scoppiettante e a una scrittura tuttora fresca. Gli stessi crismi sono riscontrabili pure in «André Gide», nel quale Cravan descrive l’incontro col signore delle lettere francesi: un ometto, secondo l’autore, tutt’al più «prudente», quasi intimorito dall’ego e dalla mole di Arthur.

Egli seppe dire la sua anche coi versi. Ad esempio, «Poeta e pugile» e «Annotazioni» sono prosimetri: l’uno su un viaggio in nave verso l’America; l’altro, un ibrido dadaista che sovrappone immagini surreali e talvolta blasfeme («dio abbaia, bisogna aprirgli»). «Parole», più filastrocca che poesia, sta in equilibrio tra slanci vitali e pulsioni mortifere; «Arthur», da cui è tratta la citazione che dà il titolo al libro, è l’esaltazione del corpo e della propensione alla sconfitta del pugile, mentre «Languore di elefante» e «Hi» ne sono l’ideale prosecuzione, in una poetica dai tratti futuristi.

Insomma, non è un caso che per lui abbiano speso parole d’elogio due tipi come André Breton e Blaise Cendrars – quest’ultimo lo riteneva addirittura influenza fondamentale per Marcel Duchamp. Inoltre, la personalità inquieta di Cravan è qui testimoniata anche da alcuni brani del suo epistolario, rivelatori d’un carattere estroverso e immodesto eppure nel contempo assai insicuro.

Impreziosisce il tutto la curatela di uno scrittore che di fronte a un eccentrico non si tira mai indietro: Edgardo Franzosini, autore di Questa vita tuttavia mi pesa molto (Adelphi, 2015) – romanzo biografico sullo scultore Rembrandt Bugatti. Franzosini firma «L’importanza di non chiamarsi Fabian Avenarius Lloyd»: un gioiello di racconto dove Franzosini, da narratore garbato e capace d’entrare in punta dei piedi nelle vite altrui, ripercorre i momenti chiave dell’esistenza di Cravan. Dall’educazione svizzera alle fughe; dalle prime botte date e prese sul ring alla vittoria dei medio-massimi francesi, fino alla sconfitta per K.O. niente meno che contro Jack Johnson. Poi la rivista, le lodi e le stroncature dei pittori del suo tempo; la bizzarra querelle con Apollinaire, i viaggi, gli amori e la morte in stile Majorana nel 1918, su una nave partita da Città del Messico e scesa al largo del Pacifico. Ecco, non proprio la solita cronologia della vita e delle opere che molti lettori salterebbero a piè pari.

Non si sa poi che fine abbia fatto, quel matto di Arthur Cravan. Sappiamo però che ha lasciato un bel po’ di roba da farci leggere: e Grande trampoliere smarrito è senza dubbio un buon biglietto d’ingresso per la sua opera.

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