Se sulla forma-romanzo pende la spada di Damocle della cosiddetta “idea forte”, prospettando a ogni piè sospinto il rischio del romanzo a tesi, questo non esclude, tuttavia, che un’idea forte possa presiedere con successo all’organizzazione di un testo, magari ibrido, esibendone così i valori più rilevanti. Ancora meglio, però, è quando l’idea si fa storia, e magari una storia dai tratti affascinanti e allo stesso tempo inquietanti come quella del Postino di Mozzi, firmato da Fernando Guglielmo Castanar (ma anche da molti altri autori) e pubblicato da Arkadia.
Di Castanar si sa, in generale, molto poco e la nota biografica pubblicata in coda è forse lo scritto più esaustivo su di lui: “Il padre triestino, la madre toscana, dopo l’adolescenza nel Nord Est vorrebbe vedere anche come si vive nel Nord Ovest, ma si ferma prima, sulle colline del pavese. Pensionato. Ha scritto alcune cose, le mandava agli editori, forse non piacevano, e comunque non rispondevano. Così ha scritto questa storia”. Oltre a questa nota, la cui veridicità sembra dubbia già in partenza, al lettore del libro è dato sapere che Castanar è stato, per qualche tempo, il postino di Giulio Mozzi – persona realmente esistente, questa, e che viene presentata nel libro con il suo effettivo curriculum di scrittore, poeta e consulente editoriale.
Parte da questo incontro – che, leggendo il libro, ci si chiederà più di una volta se sia avvenuto davvero – la storia e insieme l’idea cui si alludeva in precedenza. Di questa, non si vorrebbero svelare molti altri dettagli; sarà sufficiente, forse, aggiungere che sono via via coinvolti numerosi altri scrittori (da Franco Arminio a Valentina Di Cesare, da Marino Magliani a Giorgio Vasta, ma l’elenco è ancora lungo), nonché il loro scambio epistolare, mediato dal postino, con Mozzi.
In altre parole, quel che si va man mano costruendo è un panorama vario, ma sempre convincente, della produzione letteraria degli ultimi due decenni; le implicazioni metatestuali, tuttavia, riguardano anche tutto ciò che non è giunto a pubblicazione, producendo, da un lato, la “regale marginalità” – secondo l’eccellente definizione data nel testo – dell’autore inedito e, dall’altro, la condizione di “ex-scrittori” per chi ha pubblicato e considera ora la sua attività di scrittore un fatto del passato (com’è accaduto davvero, per la sfortuna dei lettori, con Matteo Galiazzo o lo stesso Mozzi). Il libro, tuttavia, si può leggere anche abbandonando lo sguardo d’insieme e saltabeccando dal testo di un autore a un altro, trovando, spesso, una riuscita formale autonoma e chiaramente indicativa dello stile, dei tic linguistici e dei temi di questo o quello scrittore.
In chiusura di libro, certo, resta il dubbio (imparagonabile, però, ad altri gossip, come quello sorto qualche tempo fa attorno alla vera identità di Elena Ferrante): chi è Castanar? È il postino pensionato della nota biografica finale oppure il nom de plume di uno degli autori antologizzati, o forse di Mozzi stesso? L’interrogativo resta avvincente e al tempo stesso più speculativo che altro: Castanar è, in fondo, il postino che ha scritto questo libro. Un postino che, di fatto, può scrivere una volta sola e, nello scrivere trascinato da una storia e da un’idea e da una storia forte, scrivere un libro necessario.