Il noir americano diventa “country”

Daniel Woodrell, La versione della cameriera, tr. Guido Calza, pp. 192, NN Editore, euro 18,00 stampa

West Plains, Missouri, è una cittadina come tante, adagiata nello sterminato Midwest statunitense. Non ci sarebbe nulla di rilevante in questo piccolo centro, se non fosse per due aspetti: il primo, un tragico evento, ancora oggi ricordato: l’esplosione che distrusse una sala da ballo del paese avvenuta nell’aprile del 1928, uccidendo trentasette persone e ferendone altre ventidue. Incidente o atto delittuoso? Nessuno lo sa, il mistero resta a oggi inviolato.

L’altro dato importante è che a West Plains vive uno dei più apprezzati autori americani contemporanei, Daniel Woodrell, nato nel 1953 a Springfield, terza città dello stato. Woodrell ha fatto di quest’angolo di terra americana ai piedi dei monti Ozark il palcoscenico perfetto per i suoi racconti “country noir”, definizione coniata dallo stesso scrittore per descrivere le sue storie, tutte basate su fatti criminosi.

E proprio all’evento che ha dato celebrità alla cittadina dove vive (qui chiamata West Table), Woodrell si è ispirato per il suo ultimo romanzo, La versione della cameriera, uscito negli States nel 2013 e pubblicato ora in Italia da NN Editore.

La cameriera in questione è Alma, che per cinquant’anni ha lavorato nelle case ricche del paese, mandando avanti la famiglia, soprattutto dopo la morte del marito in un incidente d’auto dalle dinamiche misteriose, con quel poco di dignità che una cruda miseria, da cui non riuscirà mai ad emanciparsi, le permette.

Siamo nell’estate del 1965. Alek, voce narrante principale – ma non unica – di questo romanzo, è il nipote di Alma, mandato dalla nonna a trascorrere le vacanze estive.

Non è una donna facile, Alma, quasi una strega uscita da una fiaba, “e non di quelle allegre”, dai capelli “bianchi, macchiati di grigio”, così lunghi da doverli avvolgere attorno al braccio per non inciamparvi, ai quali dedica un tempo infinito, ogni giorno, per tenerli in ordine. E non è nemmeno la nonna amorevole pronta a prendersi cura del nipote. Nonostante tutto, Alma cerca di mettere a proprio agio Alek, che diventa così il confidente di quella che è l’ossessione di Alma: l’esplosione, avvenuta nel 1929, della sala da ballo di West Table, che ha ucciso quarantadue persone, tra cui l’amata sorella Ruby.

Una sorella molto diversa da Alma. Ruby è bella, sfrontata, passa da un uomo all’altro senza pensieri, nella speranza di ottenere dagli amanti qualcosa per cui valga la pena di vivere. Fino a incontrare Arthur Glencross, il datore di lavoro di Alma, uno degli uomini più rispettati del paese, con il quale ha un rapporto diverso, quasi d’amore. E proprio questa relazione sarà al centro della tragica vicenda che il romanzo racconta.

Alma sa; questa è la certezza che la tiene viva. Lei sa chi ha provocato l’esplosione e non vede l’ora di parlare, fare un po’ di giustizia, in un mondo dove questa parola ha perso il suo significato.

Il ricordo di Alma, la storia della sua vita e della sua famiglia, la dolorosa vicenda di Ruby, ci scorre davanti veloce, attraverso le parole di Alek. E, inframmezzate ai suoi ricordi di ragazzino, ascoltiamo le storie delle altre voci di questo breve ma intenso romanzo, che si alternano in un gioco corale di racconti in terza persona, quasi fossero dei resoconti giornalistici, di coloro coinvolti nella tragedia, fino ad arrivare al drammatico finale, quando la versione della cameriera Alma viene finalmente svelata.

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