Il mosaico di lezioni di Ian McEwan

In Lezioni (Einaudi), ultima opera di Ian McEwan, la moltiplicazione delle voci porta con sé una moltiplicazione di punti di vista, una molteplicità di verità individuali che sommandosi non danno un risultato univoco, ma contribuiscono a creare quel mosaico di domande in cui si frammenta la verità di ciascuno di noi di fronte alla grande Storia a cui, se pur inconsapevolmente, partecipiamo con le nostre decisioni quotidiane.

Ian McEwan torna in libreria con quello che il Publishers Weekly definisce “la sua opera migliore dai tempi di Espiazione”. E già dalle prime pagine di Lezioni (tr. Susanna Basso, Einaudi Editore, pp. 576, euro 23,00 stampa, euro 10,99 epub) intuiamo l’ampiezza di respiro e la grandiosità del progetto, grazie a un incipit denso di promesse e contenuti – dal ricordo traumatico della lezione di pianoforte che resterà indelebile e inalterata nella mente del protagonista, all’abbandono della moglie, alle riflessioni sulla genitorialità.

Quello che però ancora non possiamo sapere, è quanto intimamente coinvolgente, quanto profondamente incisiva risulterà la lettura di questa vita qualunque, una vita come tante segnata da traumi e affetti, passioni e talenti sprecati. Roland Baines ci appare fin da subito come qualcuno di vicino, qualcuno che, come tutti, è il prodotto unico – e per questo, anche lui, solo davanti al proprio destino – di caso e libero arbitrio, di storie individuali che si intrecciano con la grande Storia che passa e incombe.

Roland Baines è tutto questo, e molto più. È un personaggio destinato a entrare nell’immaginario profondo della nostra epoca, a segnare un punto fermo di riferimento nei continui tentativi di indagare il contemporaneo attraverso l’arte. E se pensavamo che il romanzo non fosse più la forma espressiva privilegiata per parlare di un presente che corre sempre più veloce, e che il suo destino sarebbe stato quello di essere sostituito da forme narrative più agili, ecco che arriva Lezioni a smentirci, nel modo più grandioso e sontuoso possibile: quello di McEwan è un romanzo di impianto classico, che ricorda per struttura e ampiezza i grandi romanzi del secolo scorso, e che tuttavia riesce a colpire nel segno di una contemporaneità ancora in divenire, intrecciando momenti epocali della nostra collettiva storia recente (dalla caduta del muro di Berlino alla Brexit alla pandemia) ai grandi temi dell’esistenza individuale, l’amore, l’abbandono, la malattia, la morte.

Ma chi è Roland Baines? Di lui apprendiamo subito la sua ferita infantile, l’incontro che segnerà la sua adolescenza e, probabilmente la sua intera vita. A undici anni Roland, figlio dell’autoritario Capitano Baines e della remissiva Rosalind, viene mandato a studiare lontano dalla calda Libia in cui è cresciuto, nel severo collegio inglese dove incontrerà Miriam Cornell, la maestra di pianoforte che per punirlo quando sbaglia lo pizzica tra le cosce, e per premiarlo per una buona esecuzione lo bacia sulle labbra. Il talento di Roland al pianoforte esplode insieme all’ossessione di Miriam per lui, e monta insieme alla loro furiosa relazione, per scemare non appena i due si allontanano. A interrogarsi sul nesso tra il danno subito sul piano emotivo e il suo mancato successo come pianista è lo stesso Roland ormai adulto, impiegato come maestro di tennis part-time e musicista di pianobar, appena abbandonato, insieme a figlioletto di sette mesi di cui si occupa da solo, dalla giovane moglie Alissa, che li lascia senza una parola di spiegazione.

Quello che a prima vista sembra uno schema ricorrente tra Roland e le sue donne, volitive e spietate (Miriam e Alissa) oppure indifese (la madre), lascia trasparire nel corso dell’opera una più profonda complessità d’indagine – da cui emerge evidente tutta la maestria di McEwan. La prima parte del romanzo ci presenta un uomo vittima degli eventi, la maggior parte dei quali traumatici e perpetrati contro di lui da donne (la madre che rinuncia a lottare per averlo vicino a sé, le molestie dell’insegnante, l’abbandono della moglie); lui, Roland, sembra lasciarsi trasportare da questo flusso di maree fatto di passioni e affetti, partecipe ma mai artefice del proprio destino, consapevole dei segni e dei solchi che si scavano nella sua vita, ma arrendevole di fronte alle grandi sfide della vita.

Prende forma il ritratto di un uomo, se non debole, estremamente malleabile, un uomo comune che ha accettato il mutare del suo ruolo nella società e, per non piegarsi alla riproduzione di un superato modello maschile prepotente e autoritario paterno, accetta quella che gli appare come unica alternativa possibile: ritaglia per se stesso un posto di comprimario nella propria stessa vita, assistendo da spettatore stanco al film già scritto del fluire degli avvenimenti che lo riguardano. Il rischio di scivolare nel ruolo di vittima è alto, soprattutto quando si trova a fronteggiare l’abbandono di Alissa, ma McEwan decide di salvare il suo personaggio da tale caduta di stile, gliela fa solo intravedere, per poi traghettarlo verso più sfaccettate complessità.

La seconda e soprattutto la terza parte del romanzo ci mostrano infatti un protagonista maggiormente incline a mettersi in discussione, ad assumersi la propria parte di responsabilità nel concatenarsi degli eventi e più disposto all’ascolto. Non è un caso che le ultime donne della sua vita, Daphne e, soprattutto, Stephanie, siano personaggi completamente nuovi e portino con il loro arrivo uno scompiglio silenzioso finalmente in grado di smuovere Roland. A questo punto, è dunque lecito chiederci, oltre a chi sia Roland Baines, chi sono loro, le donne che hanno segnato irrimediabilmente la sua vita.

La prima figura femminile che compare nella vita di Roland è naturalmente Rosalind, sua madre: di lei l’autore tratteggia un personaggio mansueto nella sua remissività, una donna devota al marito al punto di reprimere per lui ogni slancio personale, ogni guizzo di imprevedibilità. Per questo, una volta avvinti nella trama e avvolti in una totale fiducia nella strada che l’autore sembra aver tracciato per lei, relegandola a un triste sfondo, resteremo sorpresi e attenti davanti alla complessità che anche lei, con i suoi segreti e il suo dolore ingoiato, riserva nell’ultima parte del libro.

E se Miriam, con la portata del danno esistenziale che rappresenta per Roland, incarna nel corso del romanzo le diverse sfaccettature che può assumere l’ossessione – le molestie, innanzitutto, ma anche la colpa, la passione e la confusione tra lecito e illecito, tra impulsi e ragione – il personaggio femminile che più lascia senza fiato per i suoi assoluti, per il glaciale sottrarsi a una vita convenzionale in nome dell’ambizione e del talento, è senza dubbio Alissa. Con lei McEwan tocca uno dei temi portanti della modernità, ovvero la crisi della famiglia tradizionale, la difficoltà del conciliare maternità e ambizione personale, e lo fa senza mai dare o suggerire giudizi, ma mostrando attraverso la forza di un singolo racconto, di una singola donna, la ferita aperta di una società che di fronte alle oggettive difficoltà poste da un carico eccessivo di aspettative nei confronti della genitorialità, anziché farsene carico fa ricadere interamente sul singolo le responsabilità dei propri fallimenti. Di fronte al groviglio di sentimenti che accompagnano la lettura del primo romanzo della madre di suo figlio, Roland, scrive McEwan:

“pensò alla loro misera casetta a Clapham Old Town, due vani sopra, tre sotto, piena di infiltrazioni, umida, stipata di libri e giornali […] Due adulti, un neonato, notti di sonno interrotto, cacca e latte, mucchi di roba da lavare, un tavolino in due in camera da letto su cui lavorare […] Siamo onesti. Avrebbe mai voluto, anzi potuto, scrivere Il viaggio in quella casa? No, impossibile […].Oppure, assumendo la posizione opposta, sì, certo, era più che possibile – era anzi suo preciso dovere scrivere in qualsiasi luogo, e in qualsiasi condizione – compresa quella della maternità – in cui le sue scelte di persona adulta l’avessero catapultata. Solo che non era realistico”.

Il tema dell’abbandono e del ritrovamento, cruciale e ricorrente sotto diversi aspetti nel corso di tutto il romanzo, fa pensare a un riferimento autobiografico dell’autore che da adulto scoprì l’esistenza di un fratello dato in adozione dalla madre al tempo della Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia la sua totale integrazione nel corpus dell’opera, al pari di altri temi vitali che costituiscono l’impalcatura storica e sociale dalla quale si affacciano i personaggi, rende del tutto irrilevante il mero dato biografico, a meno che non si voglia leggerlo come ulteriore conferma del fatto che, per McEwan, la vita si integra nella letteratura, così come la letteratura entra a far parte della vita.

I riferimenti bibliografici sono in effetti molteplici e sono spesso elementi fondativi delle personalità dei personaggi. Nel pieno del caos mentale e fisico seguito alla scomparsa di Alissa, Roland ritrova Gioventù e altri due racconti, di Conrad, un libro che, in un’edizione economica, “lo aveva sempre seguito, senza farsi notare. […] Gioventù è speciale perché, come spiega Conrad nella sua Nota dell’Autore, si tratta di ‘un’opera della memoria’”.

Da Conrad a Nabokov fino a Herta Muller, la letteratura come agente di memoria e di produzione di immaginario attraversa tutta l’opera di McEwan, poiché le letture che facciamo (e tra esse hanno un posto speciale quelle compiute in concomitanza con i grandi passaggi della vita) influenzano la nostra personalità. Con le sue citazioni sempre appropriate e che non sfociano mai, in nessun caso, in uno sfoggio culturale fine a se stesso, McEwan dà, se mai ce ne fosse bisogno, un’ulteriore riprova dell’intrinseca necessità dell’arte letteraria che, lungi dall’essere un mero orpello da conversazione, è ancora oggi – in un presente che rifugge spaventato da opere lunghe, complesse e per di più di impianto “tradizionale” come quella che si sta qui discutendo – uno strumento vitale di interpretazione della realtà, espressione e anelito alla bellezza del mondo, laddove non è solo la vita a influenzare la letteratura, ma è anche la letteratura a influenzare la vita. All’interno di questo elegante quanto luminoso intrecciarsi di libri e eventi, non possiamo che sorridere quando, verso la fine del romanzo, dopo che l’opera che è rimasta in sottotraccia eppure mai nominata in tutte le oltre cinquecento pagine di Lezioni, viene finalmente citata, per essere subito liquidata:

“Il lockdown era agli sgoccioli e in quella stanza erano raccolti tutti gli altri progetti non portati a termine. […] Si era ripromesso di leggere L’uomo senza qualità di Musil in lingua originale. In tre mesi era arrivato a pagina 79.”

Un altro grande tema che attraversa l’opera, senza mai diventare preponderante ma comunque sempre presente, è la politica. La politica di cui ci parla McEwan attraverso Lezioni fotografa con spietata esattezza tutte le contraddizioni, l’intreccio di teoria, ideali e influenza sulle vite dei singoli la posizione politica più tipica – a prescindere dallo schieramento favorito – del cittadino contemporaneo, ovvero un cittadino che oscilla senza sosta tra l’imperativo morale di affermare le proprie convinzioni e di restarvi fedele e le convenienze personali, tra il fascino per i grandi movimenti che hanno scosso il passato e costruito il presente (la narrazione delle vicende della Rosa Bianca ne è un esempio, anche se perfino in questo caso McEwan riesce a integrare la leggenda con il volto più prosaico e dunque reale dei sacrifici compiuti dai loro protagonisti) e il timore tutto borghese, al confine con la noia, di esporsi, come tanti novelli Pereira a cui non è mai capitato di incontrare un Monteiro Rossi.

Ma è davvero il coraggio ciò che manca a Roland Baines? Oppure la sua vita, costruita come per reazione a quello che sembravano decidere per lui, è in realtà frutto di scelte precise e – seppur in diversa misura – consapevoli? La risposta a questa domanda è celata nei diversi strati narrativi di cui si compone l’opera: accanto alla voce pacata del narratore, si strutturano, perfettamente integrati, nuovi piani di racconto, dai diari personali della madre di Alissa, in cui la donna parla del suo viaggio per documentare e intervistare i membri della Rosa Bianca, sfociato poi nell’incontro con il futuro marito, ai romanzi della stessa Alissa, nei quali Roland cerca ossessivamente se stesso. Accanto alla funzione puramente strutturale di questi racconti nel racconto, ne intravediamo un’altra, altrettanto, se non più importante: la moltiplicazione delle voci porta infatti con sé una moltiplicazione di punti di vista, una molteplicità di verità individuali che sommandosi non danno un risultato univoco, ma contribuiscono a creare quel mosaico di domande in cui si frammenta la verità di ciascuno di noi di fronte alla grande Storia a cui, se pur inconsapevolmente, partecipiamo con le nostre decisioni quotidiane.

E in quanto al caleidoscopico moltiplicarsi di punti di vista, intimamente connesso con l’accettazione di più vie, tutte altrettanto legittime, di stare al mondo, sono ancora una volta i personaggi femminili a indicare una strada: la trasformazione di Alissa, l’incontro con Daphne e, soprattutto, quello con la piccola Stephanie segnano l’inizio di un nuovo sguardo di Roland Baines sul mondo, una prospettiva che, seppur raccorciata dall’inesorabile scorrere del tempo, si fa più aperta, meno insicura, più tollerante. Un paesaggio nuovo dove una piccola mano tesa rappresenta una nuova possibilità di fiducia, di riconciliazione tra passato, presente, e la possibilità non più negata di un futuro.