Alberto Anile, Sordi segreto. Riflessioni, scoperte, materiale dall’archivio personale dell’attore, pp. 192, Bianco e nero n. 592, Edizioni del CSC-Edizioni Sabinae, euro 16,00 stampa
Alberto Sordi è probabilmente l’attore più rappresentativo non solo di una grande parte del cinema italiano ma anche la figura che, più di altri, è identificabile come l’archetipo dell’italiano. L’Italia si è sentita, e si sente tuttora, rappresentata da Sordi, eppure la sfilata dei suoi personaggi è, senza quasi eccezioni, una rassegna di mostri.
Su questo paradosso è il caso di riflettere se davvero si vuole tentare di svelare il “mistero Sordi”, così decisivo e importante per capire anche il “mistero Italia”.
Uno strumento per risolvere l’enigma Sordi, oltre che una piacevolissima lettura, può essere proprio questo numero speciale di Bianco e Nero. La più antica e longeva rivista italiana di studi cinematografici, legata strettamente al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e diretta attualmente da Felice Laudadio, esce tre volte all’anno.
Il menù di questo speciale Sordi segreto è dedicato alle molte sfaccettature di un attore spesso sottovalutato proprio a causa della sua enorme popolarità.
Gran parte dei lavori di questo volume si è basato sul Fondo Alberto Sordi depositato presso la Cineteca Nazionale, un archivio vastissimo pieno di documenti e rarità. I contributi specifici sono di Felice Laudadio, Walter Veltroni, Goffredo Fofi, Maurizio Porro, Marco Vanelli, Alberto Crespi, Alberto Anile, Maria Gabriella Giannice, Arturo Pérez-Reverte, Alberto Sordi, Gianni Amelio, Tatti Sanguineti, Steve Della Casa, Daniela Currò, David Grieco, Luca Matera, Francis Ford Coppola, Stefano Masi, Simone Starace e Gigi Proietti.
Tra i molti articoli interessanti spicca quello di Sanguineti, “Un italiano in Brasile. Un progetto lungo vent’anni”. Sanguineti è, a mio parere, uno dei critici più grandi che abbiamo in Italia, un fiume in piena di passione e sapienza filologica e il suo articolo può essere considerato come un “contenuto extra” dell’imperdibile libro sullo sceneggiatore Rodolfo Sonego: Il cervello di Alberto Sordi, da lui pubblicato nel 2015 per Adelphi. Questa citazione non vuole però mettere in secondo piano gli altri contributi, tutti ricchi di spunti per costruire il ritratto di questo enorme attore. Dal Sordi doppiatore (Gemma e Gimmelli) ai progetti di film mai girati (Anile), a interviste d’epoca di grande importanza (“Finito il lavoro ritorno me stesso” o il dialogo del 1999 su “Una vita difficile”).
Anche Goffredo Fofi, autore di una monografia uscita nel 2004 intitolata Alberto Sordi: L’Italia in bianco e nero, contribuisce con un gustoso saggio breve. Fofi ebbe da Sordi la proposta di scrivere un libro su di lui già negli anni Settanta, dopo che il critico pubblicò un decisivo saggio su Totò, probabilmente il primo libro che lo valutasse seriamente. Fofi rifiutò per quel diffuso disgusto di molti intellettuali per la figura di Sordi. Non si può dimenticare la battuta di Nanni Moretti all’interno di Ecce Bombo (“Ve lo meritate Alberto Sordi”). Certo, erano gli anni dei film da regista di Sordi, molto probabilmente tra le sue cose peggiori. Ma è significativo, anche per capire la complessità di reazioni che questo attore ha provocato nel tempo, come uno dei più intelligenti critici italiani, uno dei pochi che avevano capito Totò, all’epoca non fosse in grado di apprezzare fino in fondo il contributo di Alberto Sordi.
I diversi testi raccolti nel volume speciale sono legati dal filo rosso indicato dal titolo: Sordi segreto. Probabilmente nel cinema italiano non esiste, infatti, figura più celebre e, nello stesso tempo, sconosciuta, per l’estrema riservatezza, la poca disponibilità alle interviste e per il desiderio di vivere la propria vita privata fuori dai salotti e dai riflettori. Questi testi, dai molteplici punti di vista del critico, del collaboratore, del collega attore o regista, possono essere chiavi per iniziare a guardare a Sordi non più superficialmente come maschera della romanità ma finalmente come uno dei più coraggiosi, intelligenti studiosi di quell’enigma che è l’italiano.
Ma cosa intendo dire quando scrivo del mistero di Sordi? Mi riferisco da un lato, certamente, all’impenetrabilità della sua persona, che è rimasta nell’ombra, nonostante la fama e nonostante le caratteristiche proverbiali che lo riguardano (la tirchieria, la pigrizia, ecc.). Ma dall’altro mi riferisco a ciò cui accennavo all’inizio, ovvero al fatto che l’attore più amato del cinema degli anni Sessanta e oltre, quello in cui l’italiano più ha amato riconoscersi è quello che più si è dedicato all’interpretazione di figure pavide e meschine.
Nel modo in cui Sordi si è occupato di questi personaggi essi risultano comprensibili e addirittura amabili. Nessun altro attore, né Tognazzi né Gassman (pure all’opera con personaggi apparentemente simili) sarebbero riusciti nell’intento. Sordi era attratto dai ruoli più ripugnanti, almeno nella prima lunga parte della sua carriera, quella più significativa, e li interpretava con un equilibrio davvero miracoloso. Alcune sue parti vennero rifiutate da altri celebri attori perché troppo grigie, troppo invischiate in doppiezze morali. Anche il Silvio Magnozzi di Una vita difficile, per esempio, nonostante la sua finale ribellione attraverso la celebre sberla al capo, rimane un uomo che ha vissuto un ideale controvoglia e quasi per pigrizia. Dopo un primo periodo di insuccessi (la distribuzione lo rifiutava perché si credeva che il pubblico lo odiasse) finalmente l’attore convinse il pubblico italiano scendendo nelle bassezze di personaggi sempre più ambigui.
Il mistero e il capolavoro di Sordi sta proprio qui: di essere amato per il coraggio di aver incarnato l’opacità morale dell’italiano.
Il numero della rivista è ordinabile in libreria e on-line su tutte le principali piattaforme.